Percorsi di lettura sul lavoro/15 – I questionari e i dati nella ricerca giuslavoristica: spunti da A.M. Noack, L.F. Vosko, E. Tucker, R, Casey, Research Methods in Labor Law: Surveys and Administrative Data

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Bollettino ADAPT 9 settembre 2024, n. 31
 
Nel dibattito contemporaneo sul metodo della ricerca giuslavoristica, una crescente attenzione è dedicata alle indagini quantitative e all’utilizzo dei dati statistici. Di questo tema si occupa il capitolo Research Methods in Labor Law: Surveys and Administrative Data, realizzato da Andrea M. Noack, Leah F. Vosko, Eric Tucker e Rebecca Casey all’interno del volume Research methods in labour law: A handbook, curato da Alysia Blackham and Sean Cooney (Edward Elgar Publishing Ltd., 2024).
 
Nel loro lavoro, gli Autori cercano di esaminare come le analisi fondate sui dati – in particolare i dati ricavati da survey e i dati amministrativi – possano essere utilizzate nella ricerca giuslavoristica. Sul punto, non è possibile non premettere che gli Autori si inseriscono in un dibattito piuttosto recente, dal momento che, storicamente, l’uso di indagini statistiche e dati è stato piuttosto limitato nel diritto del lavoro, mentre soltanto negli ultimi decenni i giuristi del lavoro hanno iniziato ad interrogarsi su come impiegare metodologie quantitative nella loro ricerca.
 
Un primo metodo di ricerca da esaminare riguarda l’impiego di questionari (survey), strumenti tradizionalmente propri delle scienze sociali. Mediante i questionari, per gli Autori, è possibile generare nuova conoscenza attraverso l’analisi dell’aggregato delle risposte fornite dagli intervistati alle domande sviluppate dai ricercatori. Nel contesto della ricerca sul diritto del lavoro, i questionari sono stati utilizzati per raccogliere un’ampia varietà di informazioni, soprattutto per quanto attiene all’organizzazione della produzione e alle condizioni di lavoro.
 
Osservando nel dettaglio il metodo in questione, è possibile sottolineare che i ricercatori che impiegano questionari devono considerare che, per ottenere risposte attendibili, è necessario formulare domande comprensibili, progettando attentamente il questionario per far sì che i concetti tecnici propri del diritto possano essere intesi dagli intervistati. Un altro elemento critico di questa metodologia attiene ai tassi di risposta ai questionari, che, secondo gli Autori, sono diminuiti negli ultimi anni a causa del rifiuto di partecipare e delle difficoltà nel contattare intervistati.
 
Nella costruzione dei questionari, inoltre, è importante la selezione dei soggetti a cui somministrare le domande: solitamente i ricercatori tentano di costruire un campione rappresentativo della popolazione, in modo che i loro risultati possano essere estesi anche al di fuori della ridotta platea degli intervistati, ma determinare un campione realmente rappresentativo non è sempre possibile, ad esempio perché la popolazione di riferimento è indeterminabile oppure perché le risposte sono fornite solo da volontari, alterando la rappresentatività del campione degli intervistati.
 
Anche la fase di somministrazione dei questionari è di fondamentale importanza. Gli Autori individuano quattro principali modalità di somministrazione delle domande: dal vivo, via posta, a mezzo telefono e via web. Ognuna di queste modalità ha vantaggi e svantaggi, anche se, di recente, le distinzioni tra le diverse modalità sono diventate meno nette perché i ricercatori cercano di combinarle per massimizzare i vantaggi di ciascuna. La scelta della modalità di somministrazione delle domande dipende sia dall’argomento del questionario sia da considerazioni pratiche, attinenti ad esempio al tempo e alle risorse finanziarie a disposizione. Ultimamente, al fine di massimizzare la copertura delle ricerche, si stanno affermando anche questionari somministrati in modalità mista, affinché gli intervistati siano liberi di scegliere le modalità con cui fornire le risposte.
 
In definitiva, rispetto all’analisi di dati quantitativi raccolti da enti o istituzioni, la ricerca condotta mediante questionario può richiedere più tempo, costi e manodopera per la realizzazione e la somministrazione delle domande, ma ha l’indubbio vantaggio di offrire ai ricercatori l’opportunità di esplorare argomenti per i quali potrebbero non esistere altre fonti di informazione.
 
Una seconda possibilità è quella di sviluppare l’analisi giuslavoristica a partire da dati raccolti da enti pubblici o organizzazioni senza scopo di lucro attraverso propri questionari e diffusi mediante le pubblicazioni istituzionali. Quasi tutti i Paesi, ad esempio, hanno rilevazioni statistiche sulle forze di lavoro, mediante le quali si stimano i tassi di occupazione e disoccupazione, nonché altre caratteristiche del mercato del lavoro. Per gli Autori, l’impiego di questi dati può essere particolarmente utile nel condurre una ricerca giuridica, dal momento che le indagini realizzate dai diversi enti sono spesso condotte su ampia scala e ad intervalli di tempo regolari. Un indubbio vantaggio di fondare una ricerca sull’uso di questi dati, infatti, attiene alla possibilità di consultare le serie storiche, esaminando le evoluzioni del mercato del lavoro nel tempo. Le rilevazioni in questione possono poi riguardare diversi argomenti, come l’organizzazione del lavoro, le retribuzioni, la salute e sicurezza, la conciliazione tra lavoro e vita privata o l’accesso alla formazione per i lavoratori. Accanto alle rilevazioni periodiche, non mancano anche studi istituzionali pubblicati una tantum su temi legati al lavoro, come, ad esempio, è avvenuto durante il periodo pandemico in cui sono state pubblicate diverse ricerche per approfondire gli effetti della pandemia da Covid-19 sui lavoratori.
 
Guardando alle pubblicazioni istituzionali, inoltre, è da evidenziare che sono molto utili per i ricercatori i dati resi noti dalle organizzazioni internazionali, a partire dall’OIL, dall’ONU e dall’OCSE, che curano e rendono disponibili loro database, da cui si può attingere anche per comparare l’andamento del mercato del lavoro in diversi Paesi.
 
Per gli Autori, in ogni caso, la principale complicazione legata all’impiego dei dati curati da organizzazioni pubbliche o non governative riguarda la difficoltà nell’identificare e nell’accedere a tutte le potenziali fonti di dati rilevanti per la propria ricerca. Una volta ottenuto l’accesso, però, attraverso i set di dati esistenti i ricercatori possono condurre analisi di portata più ampia di quanto potrebbero fare attraverso la raccolta e l’elaborazione di dati in prima persona.
 
Una terza metodologia di ricerca esaminata dagli Autori riguarda l’utilizzo di dati amministrativi, ossia di dati raccolti e archiviati nel contesto delle loro normali attività (quindi differenti rispetto ai dati raccolti specificamente per scopi di ricerca) da agenzie e organizzazioni governative o non governative. La consultazione di questi dati, che spesso riguardano l’accesso a determinate prestazioni e servizi, è molto utile soprattutto per ricerche di carattere longitudinale poiché i database amministrativi tendono ad avere serie storiche che coprono molte annualità, rendendoli un terreno ideale per coltivare le analisi dei cambiamenti di lungo periodo nel mercato del lavoro. L’utilizzo delle banche dati amministrative, inoltre, permette ai ricercatori di evitare il rischio della scarsità delle risposte che, invece, è più frequente nella raccolta di dati tramite questionari.
 
I ricercatori che utilizzano dati amministrativi, però, devono tenere conto che si tratta di dati raccolti non direttamente per la ricerca e che, quindi, possono presentare alcune incoerenze e informazioni contraddittorie. Se, infatti, non è infrequente che incongruenze si riscontrino anche nella raccolta di dati ai fini di ricerca, è più facile che in quei casi le inesattezze vengano corrette durante la fase di aggregazione ed elaborazione dei dati; i dati amministrativi, che vengono continuamente generati, non sono invece sottoposti alla stessa revisione, con la conseguenza che gli errori possono essere più frequenti e che il ricercatore è chiamato ad effettuare ulteriori verifiche. Un altro aspetto critico riguarda l’accessibilità dei dati amministrativi, poiché non sempre le amministrazioni pubblicano i dati che raccolgono. In questi casi, dunque, sono i ricercatori che devono richiedere i dati amministrativi e sottoscrivere specifici accordi con le amministrazioni per impiegarli nelle proprie attività di ricerca.
 
Un’ultima metodologia considerata dagli Autori, infine, riguarda l’utilizzo di documenti e pubblicazioni che forniscono dati amministrativi aggregati, quali relazioni annuali e audit. Questa metodologia ha il principale vantaggio di fornire dati amministrativi ai ricercatori che non possono accedere direttamente ai set di dati amministrativi grezzi.
 
Rispetto alla diffusione delle analisi quantitative nel diritto del lavoro, in definitiva, gli Autori osservano che, negli ultimi vent’anni, i ricercatori hanno dovuto affrontare numerose sfide, tra cui il calo dei tassi di risposta e l’erosione della fiducia del pubblico nei questionari. Allo stesso tempo, però, i progressi nel campo dell’informatica hanno reso più immediati l’accesso e la consultazione dei dati raccolti da enti e organizzazioni sia a partire da propri questionari sia nel corso delle proprie attività, moltiplicando le possibilità di utilizzare i dati nella ricerca giuslavoristica.
 
In questo contesto caratterizzato da profondi mutamenti, dunque, anche se le analisi quantitative non sono sempre state centrali nella ricerca giuslavoristica, i dati ricavati da questionari elaborati nell’ambito di ricerche giuslavoristiche hanno permesso di ottenere una vasta gamma di informazioni inedite sui lavoratori e sui datori di lavoro, ma anche sull’organizzazione del lavoro oppure sulla rappresentanza e sui sistemi di relazioni industriali, mentre l’utilizzo dei dati amministrativi è stato utile per lo sviluppo di analisi sul funzionamento degli istituti del diritto del lavoro. Gli Autori, dunque, concludono il loro scritto considerando le metodologie esaminate come fondamentali nella ricerca giuslavoristica, giacché permettono di sviluppare indagini originali e inedite, capaci sia di esaminare in ottica longitudinale le trasformazioni del mercato del lavoro sia di osservarne le future evoluzioni.
 
A margine dell’analisi condotta dagli Autori, è possibile formulare una considerazione ulteriore. Il diritto del lavoro, più di altre discipline giuridiche e forse per il suo peculiare oggetto di studio, è sempre stato permeabile agli spunti e ai metodi elaborati da altre branche del sapere, sviluppando un dialogo intenso con l’economia, la sociologia, la storia, l’antropologia, la medicina e le scienze organizzative. Anche per questa ragione, dunque, non è da sottovalutare il contributo che l’applicazione di metodologie statistiche può dare alla ricerca giuslavoristica, soprattutto se lo studio dei dati viene ibridato con le metodologie di ricerca tradizionali del diritto del lavoro. Da questo punto di vista, in particolare, nuove e originali indagini potrebbero tenere in considerazione che anche dallo studio dei contratti collettivi attraverso metodologie (non solo qualitative ma anche) quantitative si potrebbe giungere a riflessioni giuridicamente rilevanti, nei casi in cui l’esame delle tendenze e dei dati ricavati dalla contrattazione collettiva sia ricondotto ad un’analisi giuridica sulla rispondenza delle previsioni collettive ai vincoli posti dall’ordinamento. In questo modo, si potrebbero aprire inediti spiragli per ricerche che considerino significativi per lo sviluppo di un’analisi giuridica i dati ricavati dai prodotti dei sistemi di relazioni industriali, che, molto spesso, per la funzione che ricoprono nei diversi ordinamenti, possono rivelarsi un utile strumento di lettura della realtà del mercato del lavoro.
 
Francesco Alifano

Assegnista di ricerca Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@FrancescoAlifan

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