Verso un apprendistato “di filiera”. Primo commento all’art. 18 del DDL Lavoro

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino speciale ADAPT 18 ottobre 2024, n. 5
 
C’è già chi scrive (Valentina Conte in un articolo su Repubblica del 6 ottobre 2024) che, con la proposta a tema apprendistato contenuta nel DDL 1532-bis (c.d. DDL Lavoro), «il lavoratore può restare apprendista per 6-7-8 anni di seguito, con un contratto che costa meno, ha meno contributi, sotto inquadrato e risolvibile (si può sciogliere senza patemi)». La proposta viene quindi presentata come inedita negli effetti e dannosa in primis per gli stessi giovani apprendisti, costretti a “far la gavetta” con un contratto sottopagato, scelto evidentemente (solo) in ragione del basso costo e della flessibilità in uscita.
 
Senza entrare nel merito di ogni legittima valutazione politica, riteniamo opportuno proporre un breve chiarimento tecnico, alla luce delle analisi e ricerche condotte da Adapt su questi temi.
 
L’articolato normativo in approvazione (nello specifico, l’articolo 18) mira ad introdurre quello che potremmo definire un apprendistato “di filiera”, in grado di favorire lo sviluppo di percorsi continui di formazione e lavoro, per rispondere ai bisogni delle imprese, ma anche, e soprattutto. degli stessi giovani. Non certo a loro danno. D’altra parte, quanto prefigurato è già possibile oggi, però operando una sorta di stop&go obbligatorio, ossia concludendo un contratto e poi stipulandone uno nuovo. L’articolo 18 semplifica lo svolgimento di questo processo, evitando la (burocratica) successione di due diversi contratti.
 
Questo il testo dell’articolo, introdotto con emendamento al disegno di legge originario durante i lavori svolti nella competente Commissione:
 

Art. 18. (Unico contratto di apprendistato duale)

 

1. All’articolo 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il comma 9 è sostituito dal seguente: «9. Successivamente al conseguimento della qualifica o del diploma professionale ai sensi del decreto legislativo n. 226 del 2005, nonché del diploma di istruzione secondaria superiore o del certificato di specializzazione tecnica superiore è possibile la trasformazione del contratto, previo aggiornamento del piano formativo individuale, in:

a) apprendistato professionalizzante, allo scopo di conseguire la qualificazione professionale ai fini contrattuali. In tale caso, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva di cui all’articolo 42, comma 5;

b) apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale, secondo la durata e le finalità definite ai sensi e per gli effetti dell’articolo 45, nel rispetto dei requisiti dei titoli di studio richiesti per l’accesso ai percorsi».

Si tratta, come evidente, di una modifica all’attuale comma 9 dell’art. 43, dedicato all’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore (c.d. apprendistato di primo livello o apprendistato scolastico). La normativa vigente già contempla esplicitamente la possibile trasformazione in contratto di apprendistato professionalizzante (o apprendistato di secondo livello), una volta conseguito il titolo di studio. Nulla di nuovo nella prima parte del comma 9, quindi, se non per due interessanti modifiche: viene specificato che la possibilità di trasformare il contratto da primo a secondo livello è ammessa anche per quei percorsi che hanno come finalità l’acquisizione di un certificato IFTS, che nell’attuale formulazione del comma sono ingiustamente dimenticati, e viene indicato come requisito necessario per la trasformazione l’aggiornamento del Piano Formativo Individuale (PFI), non richiamato nella formulazione vigente.
 
Innovativo è invece quanto previsto alla lettera b), e cioè la possibilità al termine di un apprendistato di primo livello di vedersi trasformato il contratto in apprendistato di alta formazione e ricerca (o di terzo livello). Prima di riflettere sul senso di questa proposta, è opportuno approfondirne le implicazioni.
 
Di questa disposizione potranno beneficiare i giovani in uscita dai percorsi secondari superiori (quadriennio di Istruzione e Formazione Professionale regionale e quinquennio di istruzione secondaria superiore statale) e post-secondari (percorsi di Istruzione e Formazione tecnica superiore – IFTS) già assunti con contratto di apprendistato di primo livello, allorquando volessero continuare gli studi a livello terziario senza rinunciare all’integrazione tra formazione e lavoro in apprendistato.
 
Risulta difficile immaginare che questo nuovo apprendistato “di filiera” venga attivato per il conseguimento di una laurea. Secondo l’INAPP, tra il 2017 e il 2021 sono stati attivati solo 154 contratti di apprendistato di terzo livello per ottenere una laurea, triennale o magistrale. Numeri residuali, dovuti ad una molteplicità di cause non analizzabili in questo contributo, ma che di fatto suggeriscono di non collocare la possibilità offerta dall’art. 18 nell’ambito delle carriere accademiche. Non è tuttavia da escludersi, anche grazie a questa disposizione, la possibilità di una combinazione virtuosa tra percorsi in apprendistato secondari superiori e lauree professionalizzanti.
 
E’ però al sistema degli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy) che bisogna prioritariamente guardare. Secondo i dati di Sviluppo Lavoro Italia, confermati da una recente ricerca ADAPT, i numeri dell’apprendistato di terzo livello per il conseguimento del diploma ITS sono in rapido aumento. Tra il 2021 e il 2023 c’è stata una crescita pari al +250%, con 760 contratti attivati nel solo 2023. Numeri ancora limitati, come lo sono d’altronde gli iscritti ITS (circa 26.000, dati INDIRE di giugno 2023) rispetto a chi frequenta corsi universitari (quasi 2.000.000, dati USTAT sul 2022), che certificano però un interesse crescente e virtuoso per lo strumento.
 
In questo senso, l’apprendistato “di filiera” potrebbe fornire una soluzione concreta a studenti e imprese desiderose di continuare ad investire sulla formazione dei giovani, rendendo possibile la continuazione degli studi fino al conseguimento del diploma ITS con un unico contratto di apprendistato. Questo va a beneficio di chi, al termine del percorso secondario superiore, è già impegnato in un percorso di apprendistato e vuole continuare a studiare senza rinunciare al lavoro (e allo stipendio) presso l’azienda che l’ha già assunto e formato. La stessa, specularmente, può proporre ad un proprio dipendente un importante (e riconosciuto legalmente) percorso di studi, mantenendo la continuità occupazionale. Lo studente ottiene così un titolo di studio terziario, migliorando sensibilmente il proprio percorso di carriera, arricchendo il curriculum, senza rinunciare ad una stabilità reddituale e contributiva; contemporaneamente l’azienda può insistere nell’investimento formativo del proprio personale, acquisendo nuove competenze che, da sola, non riuscirebbe a formare.
 
Operativamente, gli interessati ad attivare apprendistati “di filiera” dovranno provveder a far sì che lo studente o la studentessa coinvolti risultino formalmente iscritti, o anche solo pre-iscritti, ad un percorso di studi terziario subito dopo il conseguimento del diploma secondario superiore, professionale o del certificato IFTS. In questo modo, acquisito il titolo di studi, la fase di apprendistato di primo livello avrà fine, e potrà subito aver inizio – in forza della pre-iscrizione citata – la fase di terzo livello, con i mesi estivi che potranno essere dedicati alle ferie già maturate, al lavoro e alla formazione aziendale (o interna). Senza una formale adesione al percorso di studio successivo, non è possibile realizzare continuità tra i due livelli, essendo l’apprendistato duale necessariamente connesso al conseguimento di un titolo di studio. Questa esigenza comporterà la costruzione di un accelerato, e virtuoso, meccanismo di dialogo tra le istituzioni formative del secondo ciclo e quelle del terzo ciclo, per non lasciare “scoperto” l’apprendista (e la sua azienda).
 
Opportuna anche una nota sull’attualità dell’articolo 18. La disposizione si inserisce indirettamente nell’ambito della c.d. riforma 4+2 di istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale (legge 8 agosto 2024, n. 121), la quale prevede la possibilità di realizzare percorsi di istruzione tecnica e professionale quadriennali “agganciati” ad una specifica offerta ITS, accessibile anche ai diplomati quadriennali IeFP. L’apprendistato di filiera si propone di essere, perciò, uno strumento utile a raggiungere gli obiettivi della riforma, accompagnando nel passaggio dai 4 (i percorsi secondari superiori) ai 2 (i percorsi ITS) gli studenti con un unico rapporto di lavoro e rendendo concreta la volontà del legislatore di facilitare la costruzione di veri e propri “campus formativi”.
 
Difficile quindi immaginare percorsi che durano 6-7-8 anni. Ancor più irrealistico pensare che questo possa essere concepito solo per conseguire risparmi contributivi e fiscali, considerata la complessità progettuale, pedagogica e giuslavoristica di questi curricula, che richiedono un proficuo coordinamento tra mondo della formazione e mondo del lavoro. Realisticamente i percorsi potranno durare 3-4 anni, con 1 o 2 anni di studi secondari superiori e 2 di istruzione tecnologica superiore.
 
Per quanto concerne il licenziamento degli apprendisti (la citata flessibilità in uscita), si ricorda che per questi contratti valgono le stesse tutele previste per il contratto a tempo indeterminato. La differenza è da ricercarsi nella la libera recidibilità del contratto alla fine del percorso, che è però istituto ben diverso dal licenziamento, essendo il conseguimento del titolo di studio un obiettivo esplicito del contratto; obiettivo che si consegue esattamente al termine del periodo di studi. Anche in questo caso, risulta difficile immaginare che un’azienda, a fronte di un investimento non secondario in termini economici e organizzativi che perdura per 3-4 anni decida infine, arrivato il momento di godere delle competenze acquisite e formate, di sbarazzarsi della risorsa formata. Scenario ancor più teorico in un momento particolare del nostro mercato del lavoro come quello attuale, caratterizzato da una inedita crisi dell’offerta di lavoro (in tema vedi F. Seghezzi, J. Sala, La grande e inedita crisi dell’offerta di lavoro, Working Paper Adapt, 10, 2024), che più facilmente porta alle dimissioni del lavoratore, piuttosto che al licenziamento operato dall’impresa.
 
La disposizione in commento, che va nella direzione di promuovere l’apprendistato duale come pure auspicato dall’ILO in una Raccomandazione dello scorso anno (in tema vedi M. Colombo, Per un apprendistato di qualità: prima lettura della raccomandazione ILO e impatto sul caso italiano, in Bollettino ADAPT, 19 giugno 2023, n. 23 ) risulta quindi essere un’interessante opportunità per costruire un apprendistato “di filiera”, superando le rigidità della normativa vigente semplificando il passaggio da un percorso all’altro, già ad oggi possibile (pur con le precisazioni già ricordate e dettagliate nota n. 1026 del 23 novembre 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro). Un “nuovo” contratto di apprendistato capace di accompagnare giovani e imprese a sviluppare percorsi integrati di formazione e lavoro, che è poi lo scopo ultimo di questo originalissimo istituto.
 
Matteo Colombo

Direttore Fondazione ADAPT

ADAPT Senior Fellow

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@colombo_mat
 
Emmanuele Massagli
Presidente Fondazione Ezio Tarantelli
ADAPT Senior Fellow
@EMassagli

Verso un apprendistato “di filiera”. Primo commento all’art. 18 del DDL Lavoro