Conciliazioni sindacali (anche) “da remoto”: brevi note su un recente accordo sottoscritto a Treviso

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Bollettino ADAPT 28 ottobre 2024 n. 38
 
Il 22 ottobre 2024 è stato sottoscritto a Treviso un accordo collettivo territoriale «per l’individuazione delle sedi e delle modalità per le conciliazioni delle controversie di lavoro (artt. 411 e 412-ter c.p.c.)», anche qualora queste si svolgano “da remoto”. Firmatari dell’accordo risultano essere la Confindustria Veneto Est e le confederazioni sindacali locali Cgil, Cisl e Uil. Scopo dell’accordo è quello di «individuare le sedi e le modalità idonee alla stipulazione di conciliazioni individuali in materia di lavoro» in sede sindacale, al fine di sottrarre gli accordi conciliativi dal regime di impugnazione previsto dall’art. 2113, comma 2 c.c. (come prevede espressamente l’art. 2113, comma 4 c.c.).
 
L’interesse a definire e individuare con un accordo collettivo quali siano gli spazi che possono essere intesi alla stregua di una “sede sindacale” – competenza che sulla materia la contrattazione ha per espressa delega della legge (art. 412-ter c.p.c.) – è dettato da (non meglio precisate) «ragioni organizzative e logistiche». L’accordo prevede espressamente che per “sede sindacale” deve intendersi «qualunque luogo e/o locale», inclusi i locali dell’impresa, o quelli dell’associazione datoriale firmataria, «che sia concordemente individuato quale sede di stipulazione della conciliazione da parte del lavoratore, dell’organizzazione sindacale che lo assiste, del datore di lavoro e di Confindustria Veneto Est», se coinvolta.
 
Inoltre, l’accordo prevede espressamente che la conciliazione si intenderà validamente stipulata ai sensi dell’art. 2113, comma 4 c.c. “in sede sindacale” anche quando questa «sia conclusa in modalità “da remoto”, ovvero per il tramite di piattaforme telematiche che mettano in contatto le parti non fisicamente presenti in uno stesso locale, purché tali piattaforme consentano la identificabilità delle parti stesse».
 
Infine, l’accordo definisce alcuni requisiti che la conciliazione in sede sindacale deve presentare ai fini della produzione degli effetti di cui all’art. 2113, comma 4 c.c. (cioè l’inoppugnabilità) tra i quali: a) l’effettiva assistenza da parte del sindacalista affinché il lavoratore, una volta reso consapevole del contenuto dell’accordo, sia messo in condizione di poter valutare l’opportunità di sottoscrivere il verbale di conciliazione; b) la contestuale presenza del sindacalista nel medesimo luogo in cui si trova il lavoratore al momento della conciliazione, anche quando questa si svolga da remoto; c) la necessità di dare atto nel verbale di conciliazione della consapevolezza da parte del lavoratore del luogo prescelto per negoziare l’accordo di conciliazione e della assistenza sindacale ricevuta; d) nel caso di conciliazioni da remoto, è necessario che il verbale sia sottoscritto dalle parti «tramite firma autografa su copia analogica» dell’accordo condiviso tramite scansione, escludendo così la possibilità di poter utilizzare la firma digitale certificata.
 
L’accordo territoriale solleva inevitabilmente alcuni interrogativi, non solo per diversi aspetti legati al suo contenuto ma anche perché sottoscritto nel bel mezzo dell’iter parlamentare riguardante il DDL Lavoro n. 1532-bis che tra le tante cose detta anche una specifica disposizione per le conciliazioni da remoto (cfr. G. Piglialarmi, N. Serrani, Le conciliazioni in materia di lavoro: le novità del DDL Lavoro, in Bollettino speciale ADAPT 18 ottobre 2024, n. 5).
 
Procedendo con ordine, un primo nodo che la prima lettura dell’accordo solleva riguarda l’efficacia soggettiva dello stesso: per espressa volontà delle parti, questo si applica «senza limiti di tempo, alle conciliazioni tra lavoratori che siano assistiti da funzionari delle organizzazioni sindacali» sottoscriventi e «datori di lavoro associati a Confindustria Veneto Est» o assistiti comunque da quest’ultima. Dunque, il presupposto per poter invocare il rispetto delle modalità conciliative stabilite in questo accordo è che le parti diano mandato di farsi assistere alle organizzazioni sindacali (dei lavoratori e dei datori di lavoro) sottoscriventi.
 
Viene da chiedersi, però, come si concilia il contenuto di questo accordo territoriale – che legittimamente si inserisce in uno spazio regolativo che la legge demanda all’autonomia collettiva (art. 412-ter c.p.c.) – con le specifiche previsioni dei CCNL sottoscritti dalle federazioni di categoria aderenti a Confindustria e le rispettive federazioni sindacali dei lavoratori di categoria aderenti alle tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil. A titolo di esempio, l’art. 80 del CCNL Industria Alimentare (codice E012) prevede espressamente che in caso di controversia tra le parti inerente allo svolgimento del rapporto di lavoro, queste dovranno obbligatoriamente sottoporre la questione «a commissioni costituite dalle strutture territoriali di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil» con la collaborazione delle associazioni datoriali per espletare il tentativo di conciliazione in sede sindacale prima di adire l’autorità giudiziaria.
 
Lasciando da parte la questione relativa al fatto che il CCNL ritenga ancora sussistere un obbligo che non è più tale per la legge (art. 410 c.p.c.), trattandosi solo di una facoltà salvo i casi espressamente previsti – aspetto, questo, che pure meriterebbe qualche riflessione – il CCNL Industria Alimentare individua una specifica commissione territoriale presso la quale esperire il tentativo di conciliazione; commissione, peraltro, che deve essere costituita e gestita da federazioni di categoria (datoriali e sindacali) e non a livello confederale-territoriale. Da questo punto di vista, dunque, si pone un problema di carattere endo-sindacale poiché occorre comprendere se un lavoratore e un’impresa dell’industria alimentare operanti a Treviso e che applicano al rapporto di lavoro il CCNL E012, possano conciliare seguendo l’iter stabilito nel CCNL dalle federazioni di categoria o quello definito nell’accordo territoriale sottoscritto dalle confederazioni sindacali.
 
Il problema potrebbe essere affrontato prendendo le mosse da diversi punti di vista. Per un verso, l’accordo territoriale potrebbe essere applicabile in via residuale, cioè laddove i CCNL ricadenti nel sistema contrattuale di Confindustria non contemplino una specifica disciplina al riguardo. Diversamente, laddove il CCNL applicato nell’impresa detti una specifica disciplina – come nel caso sopra richiamato – le modalità conciliative stabilite dall’accordo territoriale non possono avere alcun seguito, salva l’ipotesi in cui si inquadri il suddetto accordo territoriale nel prisma della contrattazione di prossimità (art. 8 del d.l. n. 138/2011). Come è noto, gli accordi di prossimità – che possono essere sottoscritti sia a livello aziendale che territoriale – possono dettare specifiche disposizioni legate ad alcuni aspetti del rapporto di lavoro, anche in deroga alla legge o al CCNL, purché siano espressamente individuati nel testo dell’accordo – oltreché la volontà di avvalersi di un accordo ex art. 8 – alcuni obiettivi da raggiungere o esigenze da soddisfare.
 
Da questo punto di vista, se l’accordo territoriale interviene su una “materia” che può essere oggetto di un contratto di prossimità (perché inerisce gli aspetti legati, sia pure non direttamente, al recesso dal rapporto di lavoro; cfr. art. 8, comma 2, lett. e) del d.l. n. 138/2011), risulterebbe però assente il riferimento alla disposizione normativa e anche scarsamente motivato sotto il profilo delle esigenze che giustificano una simile pattuizione nel territorio di Treviso (evocare, infatti, una non meglio precisata “ragione logistica” sarebbe poca cosa rispetto ad una giustificazione molto più pregnante che la consolidata giurisprudenza in materia richiede ai fini della legittimità dell’accordo di prossimità).
 
Un altro aspetto controverso riguarda la possibilità di considerare come “sede sindacale” anche i locali aziendali, previo accordo tra le parti e le organizzazioni sindacali. Anche in questo caso, si pone un grosso interrogativo: come si concilia questa scelta delle parti sindacali rispetto a quella “austera” giurisprudenza che ritiene la conciliazione conclusa presso i locali aziendali impugnabile, nonostante questa sia avvenuta in presenza del sindacalista (salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro)? Proprio di recente, infatti, è stato escluso che la sede aziendale possa assurgere a “sede protetta” per espletare un tentativo di conciliazione e sottoscrivere un accordo ex art. 2113, comma 4 c.c. giacché questa non ha «il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore» (Cass. Civ. Sez. Lav. 15 aprile 2024, n. 10065). In altri termini, il fatto che l’art. 412-ter c.p.c. abiliti la contrattazione a definire “sedi” e “modalità” della conciliazione in sede sindacale, non si tradurrebbe in una sorta di “delega in bianco” per cui il contratto o l’accordo collettivo possa poi “eleggere” qualsiasi luogo a sede sindacale. L’approccio del formante giurisprudenziale sembra prediligere, invece, una interpretazione molto più restrittiva, nel senso che il contratto collettivo può definire quali siano le sedi sindacali presso le quali esperire il tentativo di conciliazione purché queste siano idonee a non condizionare la libertà decisionale del lavoratore.
 
Last but not least, viene da chiedersi come si coordinino le disposizioni dell’accordo territoriale relative alle conciliazioni “da remoto” con l’art. 20 del DDL Lavoro che, oltre ad abilitare anche le sedi sindacali a ricorrere alle conciliazioni telematiche, affida ad un decreto ministeriale la competenza a stabilire «le regole tecniche per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» nelle conciliazioni in materia di lavoro che si svolgeranno “a distanza”. Da un lato, è opportuno specificare che ad ora le modalità definite nell’accordo sindacale trevigiano sono ancora del tutto valide ed efficaci posto che l’art. 20, comma 4 del DDL fa salve le modalità e le prassi vigenti fino all’emanazione del decreto ministeriale, che dovrà avvenire nei 12 mesi successivi all’entrata in vigore del DDL. Dall’altro, è pur vero che l’accordo collettivo territoriale registra l’impegno delle parti a modificare l’articolato nel caso di «interventi normativi o giurisprudenziali» riguardanti l’oggetto dell’accordo.
 
Tuttavia, giova precisare che a fare da sfondo a tutti gli aspetti tecnico-giuridici sopra accennati vi sarebbe la volontà dell’autonomia collettiva di voler cominciare a regolare una prassi già molto diffusa quella delle conciliazioni da remoto, appunto – allo scopo di definire delle misure di garanzia in favore del lavoratore e, allo stesso tempo, fornire maggiori rassicurazioni per le imprese circa la inoppugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti attraverso la modalità telematica. In questo senso, l’accordo territoriale può essere inteso come un primo passo verso la regolazione di una procedura (tendenzialmente) rispettosa dei principi giurisprudenziali in materia, onde evitare che tutto venga lasciato all’informalità con non poche conseguenze sulla validità delle conciliazioni in sede sindacale (per alcuni rilievi critici sulle conciliazioni da remoto e i relativi rischi di impugnabilità, sia consentito il rinvio a G. Piglialarmi, Contributo allo studio della certificazione nei rapporti di lavoro, ADAPT University Press, 2024, cap. V).
 
Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

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