Il lavoro casalingo: un percorso di letture

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Bollettino speciale ADAPT 29 ottobre 2024, n. 6
 
Inquadrare il fenomeno del lavoro casalingo in Italia significa avviare un percorso di letture che si interseca inevitabilmente con una pluralità di discipline e tematiche e con concettualizzazioni che mutano nel corso del tempo.
 
Per parlare di lavoro casalingo è necessario anzitutto stabilire un perimetro: chi sono e che cosa fanno coloro che si dedicano a questa attività? L’identificazione del “chi” è uno degli aspetti a cui occorre prestare immediatamente attenzione, considerata anche l’assenza di neutralità del processo di categorizzazione (E. Canaglia, 2010) di questo gruppo sociale (R. Sarti, 2014).
 
Il punto di partenza sono le rilevazioni statistiche che nel tempo hanno assistito a una evoluzione delle denominazioni e descrizioni. Come ripercorso da R. Sarti (2014), nelle differenti rilevazioni censuarie si sono sviluppati dei dibattiti metodologici relativi alla definizione di tale categoria al punto che, considerata la variazione numerica dettata da diverse concettualizzazioni del termine, l’autrice afferma che «le rilevazioni censuarie non mirano solo a rappresentare la realtà, ma anche a trasformarla» (R. Sarti, 2014, p. 61).
 
L’Istat, nell’ultimo focus dedicato al lavoro casalingo  risalente al 2017, definisce la figura come «persona di 15 anni e più che si dedica prevalentemente alle faccende domestiche». Attualmente il database Istat denomina infatti la categoria anche al maschile: “casalinga/o”, confermando quel processo di progressiva apertura della categoria, senza distinzione di sesso.
 
Risale al 2017 l’ultimo focus di Istat espressamente dedicato alle casalinghe in Italia, all’interno del quale, incrociando dati provenienti da differenti indagini campionarie (rilevazione sulle forze di lavoro, indagine sulle spese per consumi, indagini uso del tempo, indagine aspetti della vita quotidiana, indagine sulla formazione degli adulti), riporta una fotografia nitida circa le caratteristiche socio-anagrafiche ed economiche del mondo casalingo in Italia. Questi dati, per essere poi maggiormente compresi, devono essere letti con gli altri indicatori che forniscono informazioni sulla condizione delle donne italiane nel mercato del lavoro salariato (tasso di occupazione, dimissioni dopo la maternità, gender pay gap, occupazione per settore, ecc.).
 
In un’ottica comparata è anche importante confrontare il numero di casalinghe in Italia con quello degli altri paesi europei, considerando che come ricordato da T. Toffanin (2018) in Italia, alla fine degli anni Sessanta del Novecento, si è registrato il più alto numero di casalinghe in Europa.
 
Attualmente è possibile reperire dati attraverso il database Istat che scompone il numero di inattivi per condizione dichiarata e include all’interno del conteggio le persone che sono casalighi/e (per un approfondimento statistico del fenomeno si rinvia a M. Corti, S. Negri e V. Virgili, Il lavoro casalingo: una prima fotografia statistica). In generale, la quantificazione del fenomeno è un aspetto imprescindibile per poterlo inquadrare al meglio e ricavare informazioni sulle principali caratteristiche del contesto di riferimento. Per questo, oltre ai database e all’indagine sopra citata, al fine di ricostruire le caratteristiche e la condizione di questa categoria sociale è utile considerare altri rapporti di ricerca che forniscono dati dettagliati. Un rapporto di ricerca da consultare è quello pubblicato dall’Istat nel 2019 (I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo) che contiene un focus sul lavoro non retribuito, il valore della produzione familiare e il diverso utilizzo del tempo tra i generi. In generale tutti i rapporti statistici riguardo alle indagini multiscopo sulle famiglie e l’uso del tempo forniscono dei dati di interesse per approfondire il lavoro casalingo. Senza alcuna pretesa di esaustività si richiamano qui due report Istat che, seppur risalenti nel tempo, ricostruiscono questi aspetti (Cambiamenti nei tempi di vita e attività del tempo libero, 2011 e I tempi della vita quotidiana, 2016).
 
Dopo aver inquadrato la categoria da un punto di vista statistico è possibile fornire una parziale risposta alle domande iniziali (“chi sono le casalinghe?” e “che cosa fanno”?) riprendendo le descrizioni contenute nei dizionari della lingua italiana, le immagini diffuse dai media e le concettualizzazioni normative.
 
Prendendo in esame i principali vocabolari della lingua italiana si può osservare che la casalinga è definita, nella maggior parte dei casi, come la «donna che attende in casa propria alle faccende domestiche e non ha altra professione» (Treccani, vocabolario online). Parrebbe dunque che gli elementi distintivi della categoria siano l’essere donna e lo svolgimento esclusivo di attività di cura e pulizia all’interno della propria casa e per la propria famiglia, escludendo lo svolgimento di lavori retribuiti all’esterno delle mura domestiche. Ci sono però definizioni che ne ampliano i confini e indicano la necessaria apertura della categoria alla componente maschile in quanto oggigiorno è anacronistico riferirsi a questo insieme soltanto al femminile (Dizionario De Agostini Editore, online; Accademia della Crusca).
 
Anche il senso comune, i media e la cinematografia hanno contribuito a diffondere delle precise immagini e definizioni della figura della casalinga. Basti pensare alla figura stereotipata della “casalinga di Voghera”, alla serie televisiva “desperate housewives”, o a film come “Sogni d’oro” di Nanni Moretti in cui compare la figura della “casalinga di Treviso”. Tra i media non mancano anche le declinazioni al maschile della figura. Ne è un esempio la sitcom italiana “Il mammo” che veicola una precisa immagine dell’uomo che svolge le faccende domestiche e si occupa della cura dei figli.
 
A livello normativo, invece, con la Legge 5 marzo 1963, n. 389 (per un approfondimento si rinvia all’articolo di F. Cucchisi e F. Simonini, Il lavoro casalingo fra riconoscimenti giurisprudenziali) e (poche) istanze normative si riconosce nella precedente iscrizione all’assicurazione facoltativa a norma dell’art. 85, n. 4 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, il criterio attraverso il quale è possibile rientrare nella categoria di casalinghe.
 
Dopo aver delineato i confini fumosi che definiscono la figura e raccolto informazioni statistiche, il lavoro casalingo richiede anche di essere analizzato all’interno della cornice storico-culturale che contraddistingue il rapporto tra donne e lavoro nel nostro Paese.
 
Per questo è utile ripercorrere la dicotomia che storicamente divide il lavoro produttivo dal lavoro improduttivo (A. Smith, 1995; K. Marx, 2013), nonché la distinzione che si è diffusa da fine Ottocento tra lavoro svolto per il mercato e lavoro non svolto per il mercato (N. Folbre, 1991). Nondimeno, particolarmente rilevanti appaiono anche le conseguenze della separazione tra pubblico e privato che si è sviluppata conseguentemente al processo di industrializzazione (C. Saraceno, M. Naldini, 2013) e la successiva netta opposizione tra lavoro e cura come sfere distinte della vita. Entra in questa riflessione anche il processo di naturalizzazione del lavoro di cura come mero appannaggio femminile (T. Toffanin, 2018), anche a partire dalla concezione della famiglia come società naturale. Tuttavia, l’analisi del lavoro casalingo è un percorso di indagine non soltanto sul ruolo della donna nella società ma anche sulle strutture famigliari e la loro evoluzione nel tempo in termini di abitudini e composizione (C. Saraceno, M. Naldini, 2013). Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, lo sviluppo del modello del “male breadwinner” ha condotto, fino agli anni Settanta del Novecento, ad una crescita netta della professione della casalinga come diretta conseguenza di quel modello di produzione familiare (C. Saraceno, M. Naldini, 2013, p. 215; L. Zanuso, 1984).
 
Una ulteriore angolazione dalla quale studiare il fenomeno e connessa alla precedente riguarda le motivazioni e la decisionalità: nello scenario attuale rimanere ancora da capire quanto essere casalingo o casalinga sia frutto di una scelta volontaria o di una necessità, o, nel caso femminile, del persistere di un bias culturale che assegna ancora alle donne il carico del lavoro di cura. Secondo il focus Istat del 2017, «il motivo principale per cui le giovani casalinghe di 15-34 anni non cercano lavoro è di natura familiare nel 73% dei casi (61,2% per le casalinghe di 35-44 anni)». Dalle rilevazioni, inoltre, emerge che molte casalinghe sono scoraggiate perché, pur avendo cercato un lavoro, non l’hanno trovato. Stando a questi dati, seppur risalenti nel tempo, parrebbe dunque che si tratti non tanto di una scelta ma di una condizione dettata da bisogni che rimangono insoddisfatti a livello pubblico a causa di una scarsa rete di servizi sociali e di assistenza o da peculiari condizioni lavorative (inattività, sfiducia, insoddisfazione). Una ricerca promossa dal Dipartimento di Scienze della Politica e Sociologia dell’Università di Firenze (F. M. Alacevich, A. Tonarelli, 2013) ha infatti rilevato che oggigiorno esistono differenti tipi di casalinghe e che sono sempre meno le donne che diventano casalinghe per «vocazione» (F. M. Alacevich, A. Tonarelli, 2013, p. 137), sono invece di più le donne che diventano casalinghe a seguito di particolari condizioni del mercato del lavoro (M. Esposito, 2023).
 
I due precedenti percorsi di ricerca (evoluzione della figura e indagine sulle motivazioni personali) sono interconnessi con tematiche di carattere macro. L’esistenza, l’evoluzione, la numerosità del gruppo delle casalinghe e la sua variazione nel tempo sollevano infatti la necessità di studiare ampie questioni che, inevitabilmente, si intersecano con le traiettorie di sviluppo dello Stato sociale e alla redistribuzione delle risorse per far fronte ai cambiamenti che riguardano, anche, la domanda e l’offerta del lavoro di cura.
 
Un altro aspetto al quale occorre guardare è come il legislatore ha tutelato la figura della casalinga e come è cambiato nel tempo il suo riconoscimento istituzionale. Andando oltre al mero riconoscimento istituzionale, una pista di indagine interessante riguarda il riconoscimento sociale e la considerazione che le casalinghe e i casalinghi hanno a livello sociale e come questi sono cambiati nel tempo. Invero, possono essere indagati gli stereotipi, i pregiudizi e le immagini costruite socialmente che determinano lo status di casalinga/o.
 
Scandagliando la tematica in una prospettiva identitaria e di riconoscimento sociale non è da tralasciare una pista di ricerca che analizza le motivazioni, il ruolo e le attività delle associazioni di casalinghe che si sono diffuse in Italia più o meno omogeneamente su tutto il territorio nazionale (si ricordano qui Confcasalinghe, Assocasalinghe, Moica, Obiettivo famiglia/federcasalinghe). In questo spaccato ricoprono un interessante approfondimento i movimenti dei casalinghi e padri casalinghi, diffusi in tempi recenti che vogliono vedere riconosciuto il proprio ruolo e identità (tra gli altri si ricorda il blog il meraviglioso mondo dei papà).
 
Infine, in un percorso di ricerca sul lavoro domestico familiare, bisogna fare chiarezza sulle differenze e similarità tra questo tipo di attività e il lavoro domestico retribuito svolto da componenti esterni ed estranei al nucleo familiare (si vedano i contributi raccolti in L. Casano, 2022) e che ha costituito un vero e proprio mercato del lavoro della cura.
 
Come evidenziato da questa breve ricostruzione della letteratura di riferimento il lavoro casalingo è un fenomeno complesso che per essere compreso deve essere studiato in costante relazione con il contesto nel quale è inserito e alle più ampie dinamiche sociali, storiche e istituzionali.
 
Stefania Negri
Ricercatrice ADAPT Senior Fellow
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Riferimenti bibliografici essenziali
 
Alacevich F. M., Tonarelli A., Convinte o disperate: casalinghe italiane in tempo di crisi, in International Journal of gender studies, vol. 2, n. 4, 2013, pp. 120-140.

Caniglia E. (A cura di), Harvey Sacks. L’analisi delle categorie, Armando Editore, 2010.

Casano L. (A cura di), Verso un mercato del lavoro di cura: questioni giuridiche e nodi istituzionali, Adapt University Press, 2022.

Folbre N., The unproductive housewife: her evolution in nineteenth-century economic thought, in Signs. Journal of women in culture and society, vol. 16, n. 3, 1991, pp. 463-484.

Marx K., Il capitale, Sbardella E. (A cura di), Newton Compton, Roma, 2013.

Saraceno C., Naldini M., Sociologia della famiglia. Terza Edizione, Il Mulino, Bologna, 2013.

Sarti R., Promesse mancate e attese deluse. Spunti di riflessione su lavoro domestico e diritti in Italia, 2014.

Smith A., La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma, 1995.

Toffanin T., Donne al lavoro in Italia tra parità formale e disparità sostanziale, in Società e trasformazioni sociali, 2018, pp. 121-130.

Zanuso L., La segregazione occupazionale: i dati di lungo periodo (1901-71), in G. Barile (A cura di), Lavoro femminile, sviluppo tecnologico, segregazione occupazionale, Angeli, Milano, 1984.

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