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Bollettino speciale ADAPT 28 ottobre 2024, n. 6
La diffusione del lavoro casalingo obbliga a interrogarsi intorno al suo inquadramento giuridico e a individuare l’apparato di tutele che l’ordinamento predispone a favore di coloro che si dedicano in via esclusiva, ormai a prescindere dal genere, alla cura della propria famiglia e dell’ambiente domestico.
A tal proposito va osservato che sia il legislatore (art. 143 cod. civ.; art. 6, comma 1, L. 3 dicembre 1999, n. 493), sia la giurisprudenza (ex multis Corte Cost. n. 28/1995; Cass., n. 20324/2005; Cass. n. 22909/2012; Cass. n. 24471/2014), non hanno mancato di riconoscere il valore sociale ed economico del lavoro svolto in ambito domestico, valorizzando gli indiscutibili vantaggi che l’intera collettività trae da tale attività. In particolare, la Corte costituzionale, chiamata a valutare la legittimità dell’art. 4 L. 30 dicembre 1986, n. 943 (oggi abrogato dal d.lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286), in materia di diritto al ricongiungimento familiare dei lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia e occupati, ha espressamente ricondotto il lavoro svolto nell’ambito della famiglia «nella tutela che l’art. 35 della Costituzione riconosce al lavoro in tutte le sue forme», chiarendo dunque che quella casalinga costituisce a tutti gli effetti un’attività lavorativa.
Tuttavia, l’affermazione di tali principi sul piano giurisprudenziale deve fare i conti con il profondo iato che intercorre fra la rilevanza sociale del fenomeno e la (scarsa) attenzione riservata dal legislatore sotto il profilo più strettamente giuslavoristico, testimoniata dall’episodicità delle previsioni normative, orientate per lo più a garantire tutele di carattere previdenziale e assicurativo.
Al fine di assicurare una tutela pensionistica alle c.d. “casalinghe”, il legislatore, con la L. 5 marzo 1963, n. 389, aveva originariamente istituito presso l’INPS la gestione “Mutualità pensioni” – a cui potevano iscriversi le sole «persone di sesso femminile» – la quale è stata successivamente sostituita dal “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari” ad opera del d.lgs. 16 settembre 1996, n. 565.
L’art. 1, comma 2, del decreto da ultimo citato, individua il perimetro dei soggetti “protetti”: oltre a coloro che erano già iscritte nella gestione “Mutualità pensioni”, possono iscriversi al Fondo, su base volontaria, le persone – senza distinzione di genere – che svolgono senza vincolo di subordinazione lavori non retribuiti «in relazione a responsabilità familiari» purché non prestino «attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non [siano] titolari di pensione diretta». Il successivo comma 3 dell’art. 1 precisa, poi, che l’iscrizione al Fondo è compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa a orario ridotto tale da contrarre «il corrispondente periodo assicurativo ai fini della determinazione del diritto alla pensione nel regime ordinario obbligatorio».
L’art. 3, d.lgs. n. 565/1996, individua le prestazioni economiche erogate agli iscritti al Fondo. In particolare, una volta maturati i requisiti anagrafici e contributivi individuati dalla legge, l’iscritto ha diritto all’erogazione del trattamento pensionistico ovvero, nei casi in cui il soggetto vanti un’anzianità contributiva quinquennale e versi in una condizione di assoluta e permanente impossibilità allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, alla pensione di inabilità.
Accanto a questa forma di tutela, a distanza di qualche anno, il legislatore ha istituito con la L. 3 dicembre 1999, n. 493 l’assicurazione obbligatoria per la tutela dal rischio infortunistico dal lavoro svolto in ambito domestico, gestita dall’INAIL.
L’art. 7, comma 3, L. n. 493/1999 individua quali soggetti obbligati coloro che hanno un’età compresa fra i 18 e i 67 anni e svolgono in via esclusiva attività di lavoro in ambito domestico, volta alla cura delle persone e dell’ambiente domestico, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito (art. 6, comma 2, lett. a), L. n. 493/1999). L’art. 6, comma 2, lett. b), L. n. 493/1999, circoscrive l’ambito domestico a quell’insieme di «immobili di civile abitazione e delle relative pertinenze» in cui dimora il nucleo familiare della persona assicurata.
Secondo le indicazioni contenute nella circolare INAIL 11 febbraio 2021, n. 6, l’attività di cura delle persone rilevante ai fini dell’assicurazione in esame è quella rivolta a coloro che fanno parte del nucleo familiare, inteso come famiglia anagrafica ai sensi dell’art. 4, DPR 30 maggio 1989, n. 223, mentre nella cura dell’ambiente domestico sono ricomprese sia quelle attività finalizzate alla cura della casa, sia quelle orientate alla cura «dei soggetti estranei al nucleo familiare, come per esempio gli ospiti (…)».
Pertanto, l’attività di cura delle persone da prendere in considerazione ai fini della tutela assicurativa sarà esclusivamente quella svolta nei confronti dei familiari conviventi con l’assicurato, con conseguente esclusione di quelle attività di cura e assistenza prestate nei confronti di familiari stretti ma non conviventi. Sul tema si è recentemente espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 202/2022 (su cui I. Tagliabue, Lavoro informale di cura e tutele assicurative: dalla Corte costituzionale un sollecito al legislatore per una estensione delle garanzie per i caregivers familiari, in DRI, 2023, n. 1, pp. 157 ss.). In particolare, la questione di costituzionalità riguardava l’estensione del concetto di “ambito domestico” di cui all’art. 6, comma 2, lett. b), L. n. 493/1999 e cioè se allo stesso fossero riconducibili anche altri immobili, diversi dalla propria dimora, in cui viene svolta un’attività di cura e assistenza nei confronti dei familiari sebbene non conviventi, così da garantire l’operatività della tutela assicurativa anche in tali casi. Pur avendo dichiarato l’inammissibilità della questione, la Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare l’urgenza di un intervento da parte del legislatore con riferimento all’estensione della tutela assicurativa di cui alla L. n. 493/1999, valorizzando l’importanza e la dignità del lavoro di cura «nella sua (…) valenza sociale e giuridica, anche in quanto portatrice di un risparmio di elevati costi sociali», a prescindere dal luogo fisico in cui tale attività viene svolta.
L’assicurazione copre gli infortuni avvenuti in occasione e a causa delle attività di cura delle persone e dell’ambiente domestico, purché a tali eventi sia conseguita un’inabilità permanente al lavoro non inferiore al 6%. In particolare, l’art. 9, comma 2-bis, L. n. 493/1999 (introdotto dall’art. 1, comma 543, lett. d), L. 30 dicembre 2018, n. 145) stabilisce che laddove l’infortunio abbia provocato un’inabilità permanente compresa fra il 6% e il 15% l’INAIL corrisponde una prestazione una tantum, mentre nei casi in cui l’invalidità sia non inferiore al 16% viene erogata una rendita diretta per inabilità permanente. Inoltre, con il decreto del 31 gennaio 2006, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ha riconosciuto che nei casi in cui dall’infortunio verificatosi in occasione e a causa del lavoro in ambito domestico sia conseguita la morte dell’assicurato, ai superstiti viene corrisposta una rendita ai sensi dell’art. 85 DPR n. 1124/1965. In aggiunta, l’art. 9, comma 2-ter, L. n. 493/1999 prevede l’erogazione dell’assegno per l’assistenza continuativa di cui all’art. 76, DPR 30 giugno 1965, n. 1124, anche ai casi di infortuni avvenuti in ambiente domestico.
L’art. 8, comma 1, L. n. 493/1999 fissa nella misura di 24 euro annui, esenti da oneri fiscali, l’ammontare del premio che i soggetti obbligati all’iscrizione sono tenuti a corrispondere all’INAIL. L’art. 9, comma 3, esclude, da ultimo, l’operatività del principio di automaticità delle prestazioni e ciò in ragione dell’assenza del vincolo di subordinazione e della coincidenza tra il debitore del premio e il soggetto protetto.
Dopo aver introdotto queste forme di tutela di carattere previdenziale e assicurativo, negli ultimi anni il legislatore è nuovamente intervenuto a sostegno del lavoro casalingo, istituendo, con l’art. 22, comma 1, d.l. n. 104/2020, il c.d. Fondo per la formazione personale delle casalinghe, successivamente esteso anche ai “casalinghi” in sede di conversione del decreto in l. n. 126/2020 (su cui amplius G. Piglialarmi, Il fondo per la formazione personale delle casalinghe, in DRI, 2020, n. 4, pp. 1197 ss.). Tale Fondo è destinato alla promozione di attività di formazione, svolte da enti pubblici e privati, nei confronti di coloro che svolgono attività nell’ambito domestico, prioritariamente donne, finalizzate alla cura delle persone e dell’ambiente domestico, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito. La formazione impartita è rivolta, in particolare, all’acquisizione di competenze digitali, funzionali all’inserimento lavorativo, e alla valorizzazione delle attività di cura. Questa specificazione evidenzia il duplice scopo perseguito dalla norma: da un lato, incrementare in via prioritaria la qualificazione e l’empowerment delle donne, al fine di incentivarne la libera e consapevole partecipazione al mercato del lavoro, dall’altro lato, sviluppare e aggiornare la professionalità di coloro che si occupano di tali attività di cura.
Il legislatore subordina la partecipazione alle attività formative finanziate dal Fondo alla preventiva iscrizione da parte della casalinga o del casalingo all’assicurazione per la tutela dal rischio infortunistico per invalidità permanente derivante dal lavoro svolto in ambito domestico.
In conclusione, se pare innegabile la riconducibilità dell’attività di cura delle persone e dell’ambiente domestico svolta nell’ambito familiare all’ampio concetto di “lavoro” – complice il suo spiccato valore sociale ed economico – l’excursus normativo condotto mostra il carattere episodico e selettivo delle tutele introdotte dal legislatore e, ad un tempo, pone il tema dell’effettività delle stesse, specie con riferimento all’assicurazione contro il rischio infortunistico. Nonostante la sua obbligatorietà, la peculiarità del luogo in cui viene svolta l’attività protetta acuisce, infatti, le difficoltà di accertamento dell’effettiva iscrizione all’assicurazione da parte dei soggetti obbligati. Di tale criticità sembra essere conscio anche il legislatore, dovendosi leggere in questo senso l’art. 22, d.l. n. 104/2020 nella parte in cui subordina la partecipazione alle attività formative alla preventiva iscrizione all’assicurazione in parola. In definitiva, allo stato attuale, la vera partita sembra giocarsi sul piano dell’effettività delle tutele attraverso cui assicurare una più intensa protezione nei confronti di chi si occupa (volontariamente o meno) della cura della famiglia e della casa.
Fulvio Cucchisi
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena