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Bollettino ADAPT 25 novembre 2024, n. 42
Aumentano nel 2022, per il secondo anno consecutivo dopo la crisi pandemica, gli apprendisti sul territorio nazionale. Lo certifica il XXII Rapporto di monitoraggio Inapp pubblicato il 21 novembre, che restituisce una fotografia complessiva dell’utilizzo di uno strumento che, per svariati motivi, sia normativi che culturali, ha sempre faticato ad affermarsi come un vero e proprio canale di raccordo tra il mondo della formazione e quello del lavoro.
Il ricorso allo strumento
La prima parte del rapporto, che presenta un’analisi statistica dei dati relativi all’apprendistato desumibili dall’archivio Inps delle denunce retributive mensili (UniEmens), si concentra sul numero medio dei rapporti di apprendistato su base annua. Nel 2022 (l’anno più recente considerato nell’analisi) questi sono stati ben 569.264, il 4,5% in più rispetto al 2021 e, soprattutto, 1,4% in più rispetto al 2019. Un dato che segnala, per la prima volta, il completo recupero dopo la contrazione avvenuta in concomitanza con la crisi pandemica. Questo dato però, seppur significativo in senso assoluto, racconta solo una piccola parte delle dinamiche e dei dati che si nascondono dietro all’impiego di uno strumento sempre da declinare al “plurale”, nelle sue diverse tipologie.
Proprio con riferimento alla pluralità delle forme di apprendistato, il titolo del Rapporto “Segnali di potenziamento dell’apprendistato duale” fornisce di per sé il punto di partenza per alcune considerazioni sia sulla diffusione dello strumento, sia soprattutto sulle dinamiche evolutive relative alle differenti forme di apprendistato. Il titolo prende spunto da un dato: la quota di apprendisti assunti con contratto di tipo professionalizzante sul totale cala leggermente tra il 2021 e il 2022, passando dal 97,9% al 97,7%. Un valore in termini assoluti estremamente contenuto, ma che merita di essere sottolineato perché è il frutto di un aumento invece tutt’altro che irrisorio fatto registrare dai rapporti di apprendistato di primo e di terzo livello: i primi passano da 10.256 a 11.775 (+14,8%), i secondi invece passano da 1.178 a 1.307 (+10,9%). Nel caso dei contratti di terzo livello si tratta del valore più elevato almeno a partire dal 2017, nel caso invece di quelli di primo livello, il valore del 2022 si avvicina a quello raggiunto nel 2019, prima della crisi innescata dalla pandemia. I valori quindi, seppure residuali in termini assoluti, hanno fatto registrare variazioni percentuali positive.
La distribuzione territoriale
Anche la distribuzione territoriale nasconde alcune interessanti dinamiche che vale la pena analizzare. In primo luogo, l’aumento complessivo è la diretta conseguenza di una crescita trasversale a livello territoriale, con poche e limitate eccezioni (Trento, Basilicata) ma fortemente ineguale. Aumentano infatti soprattutto gli apprendisti nelle regioni del Centro (+6,2%) e nel Nord-Ovest (+5,6%), mentre nel Nord-Est (+2,6%) e nel Mezzogiorno (+3,3%) la crescita è più contenuta. La regione che fa meglio è la Valle d’Aosta (+15,5%), seguita da Liguria (+9,9%), Lazio (+7,5%) e Toscana (+6,5%). Emergono importanti, seppur limitate nei numeri, differenze anche riguardo alle tipologie di apprendistato in relazione alla distribuzione geografica degli apprendisti: al Nord, la percentuale di rapporti di lavoro di tipo professionalizzante si attesta al 97,0%, al Centro al 99,1%, nel Mezzogiorno al 97,9%. Solo nel Nord-Est questa percentuale scende, seppur di mezzo punto percentuale, al di sotto del 97,0%. Considerato il fatto che al Nord fanno riferimento bon il 54,9% degli apprendisti, è un dato che vale la pena sottolineare.
Con riferimento alle tipologie di attività in cui gli apprendisti trovano impiego emergono alcuni dati interessanti: il 23,1% risulta impiegato nelle attività manufatturiere (inclusa la metalmeccanica), il 19,3% nel Commercio, il 13,9% in Attività di alloggio e ristorazione. Una distribuzione in termini assoluti equilibrata, ma che nasconde alcune interessanti differenze in merito alle tipologie di apprendistato impiegate. La quota di apprendisti assunti con il professionalizzante raggiunge il valore più contenuto nelle Costruzioni (96,1%), Servizi sociali e alla persona (96,9%) e nella Metalmeccanica (97,1%): settori quindi dove, almeno in percentuale rispetto al totale, è più diffuso l’apprendistato duale (di primo e terzo livello). Il valore più elevato si registra in Altre attività di servizi (99,0%).
Chi sono gli apprendisti? Età e genere
Chi sono però gli apprendisti? Dal punto di vista dell’età media, questa è mediamente elevata e si è mantenuta stabile nel periodo 2020-2022, attestandosi a 24,8 anni. Vi sono però alcune differenze territoriali, anche di non lieve entità: il Nord Italia registra un’età media più bassa (24,4 anni) rispetto al Centro e al Sud (25,3 e 25,5 anni rispettivamente). Nel 2022, la classe di età più rappresentata tra gli apprendisti è quella tra i 18 e i 24 anni, in particolare nelle regioni del Nord, dove costituisce oltre il 50% del totale. Il Nord-Est si distingue invece per l’alta percentuale di apprendisti minorenni (1,3% del totale), in gran parte concentrati nella Provincia autonoma di Bolzano. Su questo dato influisce certamente il radicamento del sistema duale “alla tedesca”, che si riflette in una grande diffusione dell’apprendistato di primo livello, con conseguente abbassamento dell’età media degli apprendisti. Al contrario, nelle regioni del Sud, dove la percentuale di adozione dell’apprendistato professionalizzante è ancora superiore alla media nazionale, prevale la fascia di età 25-29 anni (42,5%).
L’aumento complessivo degli apprendisti si estende a quasi tutte le fasce di età nel 2022 rispetto al 2021, ad eccezione della classe 30 e oltre (-4%). Sarebbe interessante indagare le motivazioni che portano a una minore presenza di apprendisti over 30. I minori, che avevano subito più di altri l’impatto negativo della pandemia, hanno invece mostrato una ripresa significativa con aumenti del 19,9% nel 2021 e del 22,6% nel 2022.
L’apprendistato, infine, continua a rivelarsi uno strumento caratterizzato da una significativa disparità di genere, con una prevalenza di lavoratori uomini rispetto alle lavoratrici donne, indipendentemente dalla tipologia di livello considerato. I dati relativi al 2022 evidenziano che solo il 40,1% dei rapporti di lavoro in apprendistato riguarda le donne, una percentuale in linea con gli anni precedenti, ma che sottolinea la persistenza di un gap che non accenna a ridursi.
Se si analizzano i dati in base all’età emerge che il differenziale di genere è molto più alto per le classi di età più giovane. Tra i minori la componente femminile nel 2022 è appena del 24,7%, mentre tra 18 e 24 anni sale al 34,8%, tra 25 e 29 anni si attesta al 44,9%, infine nella classe di età 30 e oltre la componente femminile è del 46,2%. Se si prende in considerazione la composizione percentuale del numero medio di rapporti di lavoro in apprendistato per genere nell’anno 2022, nella fascia minorile (sotto i 18 anni), si registra una fortissima prevalenza maschile: ben il 75,3% dei rapporti di apprendistato riguarda i ragazzi, mentre le ragazze rappresentano solo il 24,7%. Al contrario, nella fascia d’età pari o superiore ai 30 anni, pur continuando a essere in vantaggio gli uomini (53,8%), il divario si riduce notevolmente e la presenza femminile sale al 46,2%, quasi equiparando la distribuzione tra i due generi. Questa dinamica non può essere attribuita ai vincoli legati alla maternità, che tipicamente incidono in fasce di età intermedie (25-35 anni), e non sono rilevanti per le fasce più giovani, come quella minorile. Questa, infatti, non rappresenta un fattore limitante per le ragazze sotto i 18 anni, e dunque non può spiegare la forte disparità osservata in quella fascia d’età.
Questo dato è particolarmente interessante se si prende in considerazione anche quanto emerge dal Rapporto AlmaLaurea 2022, il quale evidenzia come le donne costituiscano la percentuale più alta tra i neolaureati rispetto agli uomini, raggiungendo il 59,4%. I percorsi che integrano formazione a lavoro afferiscono spesso a corsi di formazione professionalizzante che tradizionalmente vedono una maggior componente maschile. Un ipotesi suffragata in parte dal fatto che i dati del 2022 confermano che la maggior parte dei contratti si concentra in settori tradizionalmente maschili. Non è un caso che tipologie di attività come la Metalmeccanica (42.346 contratti), le Attività manifatturiere (89.647), le Costruzioni (59.106) e il Commercio all’ingrosso e la riparazione di auto e moto (110.123), che impiegano forza lavoro soprattutto di genere maschile, siano ai vertici in termini di apprendisti assunti. Al contrario, i Servizi sociali e alla persona, dove trovano impiego 50.899 apprendisti nel 2022, sono uno dei pochi ambiti in cui la partecipazione femminile è preponderante. Questa realtà solleva interrogativi sulle dinamiche di orientamento professionale. Già durante il percorso scolastico, ragazze e ragazzi sembrano essere indirizzati verso settori “tradizionali” per il proprio genere: i primi verso ambiti tecnici e industriali, le seconde verso professioni legate alla cura, al sociale e all’assistenza.
Tra (poche) luci e tante ombre
In sintesi, dal rapporto emergono sia alcuni elementi di cauto ottimismo verso l’evoluzione e l’impiego futuro dell’apprendistato, sia elementi di continuità con il passato. Accanto a dati positivi riguardo la crescita ed il rafforzamento dell’apprendistato duale, permane ad esempio un’età media degli apprendisti elevata e che non accenna a diminuire. Anche la distribuzione territoriale è fortemente ineguale, ma l’aumento degli apprendisti nelle regioni del Centro è anch’esso un segnale, limitato ma importante, di una possibile riduzione in ottica futura di tali disuguaglianze. Non sembrano emergere segnali confortanti invece riguardo al persistente squilibrio di genere, sia complessivo che, ad esempio, per tipologia di attività economica dove trovano impiego gli apprendisti. Un quadro quindi fatto di luci (poche) e ombre.
Risulta difficile credere che i grandi limiti relativi all’impiego dell’apprendistato, come la scarsa valenza formativa di molti percorsi, possano essere scalfiti senza un forte cambiamento culturale nell’approccio a questo strumento da parte delle imprese, delle parti sociali, del sistema scolastico, dei giovani e delle famiglie. Per quanto poi riguarda specificatamente l’apprendistato duale, i limiti all’impiego di questo istituto non sono, prevalentemente, di natura normativa, ma riconducibili ad una scarsa conoscenza dello strumento, dei benefici ad esso connessi e del ruolo che esso può avere sia nel favorire un più lineare ed equo inserimento lavorativo dei giovani, sia per contrastare le difficoltà delle imprese in termini di recruiting e retention.
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
@michele_corti
Matteo Santantonio
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti