Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024, n. 43
Il Decreto legislativo n. 125 del 6 settembre 2024 traspone e attua la Direttiva 2022/2464/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, recante modifica del Regolamento 537/2014/UE, nonché delle Direttive 2004/109/CE, 2006/43/CE e 2013/34/UE in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, c.d. “CSRD”).
Detta normativa di legge, che appare di diversificata applicazione, con aspetti di rilevanza immediata per alcune imprese [1], offre spunti e argomenti di grande interesse per le relazioni industriali in Italia, in quanto descrive, in particolare agli artt. 3 e 4, due fattispecie di interlocuzione sindacale che possiamo fin d’ora rubricare come forme di informazione e consultazione collettiva obbligatoria (ma anche, nell’ipotesi di lettura del testo di legge che argomenteremo, come formulazioni ex lege di partecipazione organizzativa dei rappresentanti dei lavoratori).
Un ruolo cruciale è peraltro riconosciuto a banche e istituzioni finanziarie nelle premesse del testo normativo, che richiama il precedente Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 136, recante “attuazione della direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, … per la parte relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari…”. Il Decreto 125 si applica infatti non solo alle “imprese di grandi dimensioni” definite al comma 1, lettera n) dell’art. 1 nonché alle piccole e medie imprese quotate, ma anche, in particolare, alle “imprese di assicurazione” e agli “enti creditizi”, indipendentemente dalla loro forma giuridica; enti definiti, all’art. 4, par. 1, punto 1) del Regolamento europeo n. 575/2013 come imprese “la cui attività consiste nel raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto”.
Non ci soffermeremo, in questa breve nota, su quanto sia oggetto della dovuta “rendicontazione di sostenibilità”, disciplinata agli artt. 3 e art. 4 (rispettivamente per la rendicontazione individuale e per quella consolidata), se non per enfatizzarne l’importanza: essa è inclusa in un’apposita sezione della relazione sulla gestione[2] (rappresentandone un ideale ‘continuum’ e dunque legittimandone una verifica di coerenza ESG) e deve contenere “le informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché le informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione”. La rendicontazione di sostenibilità è, insomma, adempimento che integra una logica di processo (diverso in ciò dalle “vecchie” DNF) e non solo comprende la comunicazione esterna dei dati, ma riguarda e certifica anche l’iter di valutazione interna e lo sviluppo di strategie di sostenibilità. Rappresenta, insomma, una dinamica circolare continua che comprende l’analisi critica e la pianificazione strategica[3]. Ci interessa in questa sede evidenziare esclusivamente il significato concreto e l’impatto del coinvolgimento obbligatorio dei rappresentanti dei lavoratori nel processo di rendicontazione in parola, nonché gli aspetti della rendicontazione di sostenibilità che valorizzano la parabola della possibile partecipazione organizzativa.
Perseguendo tale obiettivo, la rendicontazione individuale di sostenibilità di cui all’art. 3 riguarda, lo ricordiamo, la descrizione del modello e della strategia aziendale, che include sia “i piani dell’impresa, ove predisposti, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile”, sia anche “il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell’impresa tengono conto delle istanze dei portatori di interesse e del loro impatto sulle questioni di sostenibilità” (sub 4). In sostanza, diviene oggetto di rendicontazione non solo cosa l’impresa fa, ma come lo fa, ovvero in che modo essa si assicura e certifica l’adeguata presa in carico delle istanze dei portatori di interesse, tra i quali rientrano indubbiamente le rappresentanze dei lavoratori. L’elemento nodale dell’art. 3 è proprio tale modalità, intesa quale specifico oggetto di rendicontazione: ciò rappresenta il ‘quid novi’ della disciplina normativa del Decreto, che sostanzia anche il punto di incrocio tra aspetti “green” ed aspetti “social” dell’adeguamento d’impresa agli obblighi connessi alla transizione ambientale, climatica ed energetica. La rendicontazione di sostenibilità deve aggiuntivamente comprendere[4], in base al Decreto 125, (punto f, sub 1) “una descrizione delle procedure di dovuta diligenza applicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità”. La nuova normativa italiana sembra evocare ed anticipare parte dei ben più impegnativi obblighi di cui all’art. 5 della recentemente approvata Direttiva sulla ‘due diligence’ 2024/1760 (non ancora oggetto di recepimento legislativo in Italia), che al punto e) postula, tra gli adempimenti necessari a certificare la dovuta diligenza, lo “svolgimento di un dialogo significativo con i portatori di interessi”, strutturato e temporalmente cadenzato in modo da rendere effettivo il ruolo partecipativo individuato dal legislatore comunitario[5]. Anche gli “indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni”, di cui al punto h) dell’art. 3 del Decreto 125, divengono materia oggetto di informazione e consultazione per legge con le rappresentanze dei lavoratori.
Dato il quadro sistematico delle norme del Decreto 125, che sanciscono l’impatto del coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori, possiamo infine concentrare l’attenzione sul contenuto del coinvolgimento stesso. Riportiamo pertanto il testo dell’art. 3 (“Rendicontazione individuale di sostenibilità”), comma 7: “La società, anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia, prevede modalità di informazione dei rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato e discute con loro le informazioni pertinenti e i mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. I rappresentanti dei lavoratori comunicano il parere, ove adottato, all’organo amministrativo e di controllo”. Riportiamo per completezza anche il testo, speculare, dell’art. 4 (“Rendicontazione consolidata di sostenibilità”), comma 9: “La società madre, anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia, prevede modalità di informazione dei rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato e discute con loro le informazioni pertinenti e i mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. I rappresentanti dei lavoratori comunicano il parere, ove adottato, all’organo amministrativo e di controllo”.
Da un’interpretazione letterale e logico-sistematica delle due norme sopra riportate si ricavano alcune considerazioni di taglio non solo giuridico, ma inevitabilmente politico-sindacale.
Il primo elemento testuale normativo oggetto di ermeneutica logico-letterale è la parentetica che contestualizza l’obbligo di dazione delle informazioni alla circostanza che ciò sia “anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia”. A tale riguardo, il richiamo del legislatore potrebbe apparire tautologico e ridondante, a meno che lo si intenda riferito a normativa eteronoma di miglior favore. Ad ogni modo, esso non legittima eccezioni di limitazione o riserva informativa legata alla natura di dati che (come sopra argomentato) divengono, per legge, successivamente oggetto di informazione di rendicontazione pubblica. Neppure il richiamo agli “accordi applicabili” potrebbe intendersi in senso limitativo del diritto di informativa sindacale, che prevale in quanto sancito da fonte (la legge) gerarchicamente superiore. Anche nel caso di preesistenti accordi collettivi che riconoscessero più limitati diritti informativi, gli stessi sarebbero da intendere superati dalla ‘ratio legis’ e dalla ‘vis expansiva’ delle nuove norme, che peraltro essendo intervenute successivamente escludono anche ogni ipotetico intento derogatorio pattizio.
I diritti collettivi espressamente riconosciuti non si esauriscono nella mera informativa sindacale, ma comprendono e anzi presuppongono una interlocuzione negoziale (la “discussione”) che, per logica, deve svolgersi preventivamente alla definizione e pubblicazione della dichiarazione di sostenibilità.
Il livello della interlocuzione deve, poi, risultare “appropriato”: il che implica che esso implica il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori titolate alla contrattazione collettiva ma anche, per gli aspetti di salute e sicurezza eventualmente implicati, la rappresentazione delle questioni rilevanti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Le informazioni che l’azienda è tenuta a fornire devono inoltre essere “pertinenti”: lungi dall’esaurirsi nelle sole informazioni strettamente necessarie a consentire la consultazione, esse devono comprendere, senza omissioni, tutti gli aspetti concernenti il processo di reporting e di costruzione della rendicontazione di sostenibilità. La ‘pertinenza’ delle informazioni, come principio e misura dell’assolvimento dell’obbligo di due diligence informativo-consultiva, supera cioè ogni potenziale eccezione di ‘materia riservata aziendale’ rispetto ad elementi che peraltro sono vocati a divenire, a chiusura del processo di rendicontazione, di pubblico dominio. Ciò postula un ripensamento dell’attuale sistema di relazioni industriali e della materia del confronto sindacale.
Ulteriore elemento di condivisione sindacale preventiva è l’individuazione dei “mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità”: alle rappresentanze dei lavoratori devono essere forniti mezzi per rendere efficace non solo l’acquisizione delle informazioni da rendicontare, ma anche la verifica di veridicità, affidabilità e coerenza delle stesse con l’agito aziendale effettivo, attraverso mezzi giuridici e tecnici che possano rendere effettivo l’esercizio di tale prerogativa collettiva. In tale accezione di senso, l’inadempimento dell’obbligo di mezzi ex lege 125 si traduce, per le aziende, nella soggezione ad argomenti e strumenti nuovi e ulteriori di “whistleblowing” sindacale, che possono denunciare e argomentare anche la semplice inefficacia di mezzi e informazioni forniti alle rappresentanze dei lavoratori.
La consultazione riguarda la fase, successiva all’informazione, della “discussione”, ovvero una potenziale dialettica sindacale che comprende anche, senza esaurirsi in ciò, la possibilità di una formalizzazione del parere delle rappresentanze dei lavoratori all’organo amministrativo o di controllo. Tale elemento certifica il responsabilizzante salto di qualità richiesto nell’esercizio del ruolo di rappresentanza sindacale, e si esprime sia all’interno del sistema di relazioni industriali tradizionali, sia nell’interlocuzione formale con gli organi di amministrazione e di controllo dell’impresa. Tale funzione estende evidentemente, in chiave preventiva e collaborativa (rectius: partecipativa), le potenzialità del c.d. ‘whistleblowing’, ampliando le possibilità di una costruttiva dialettica di relazione anche al di fuori delle previste casistiche di violazioni di norme.
La normativa in commento è responsabilizzante anche sotto il profilo sanzionatorio. Il comma 1 dell’art. 10 prevede che spetta agli amministratori dei soggetti a cui si applica il Decreto 125 la responsabilità di garantire che la rendicontazione di sostenibilità sia redatta in conformità agli obblighi in esso previsti; l’organo di controllo, inoltre, ha il compito di vigilare sull’osservanza delle disposizioni del Decreto, riferendone all’assemblea nella relazione annuale. Come previsto dal nuovo comma 1-quater dell’art. 154-ter del D.Lgs. 58 del 1998 (TUF), introdotto dall’art. 12 comma 1, lett. e) punto 1 del decreto in esame, la rendicontazione di sostenibilità è inserita nella relazione di gestione. Per i primi due anni dall’entrata in vigore del decreto, come stabilita dal richiamato art. 17, comma 1, lett. a), b) e c), tali sanzioni saranno applicate in misura ridotta. Inoltre, qualora la violazione sia connotata da scarsa offensività o pericolosità, si applicano le sanzioni consistenti in una dichiarazione pubblica circa la violazione e in un ordine di eliminare la violazione, previste dall’art. 193, comma 1, lett. a) e b) e comma 1.1. lett. a) e b).
Spetta alla Consob l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 193 TUF previste per la violazione dell’art. 154-ter TUF. È competente il Ministero dell’economia e delle finanze in caso di accertate irregolarità nello svolgimento delle attività di revisione legale o di attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità. Tra le misure sanzionatorie non pecuniarie è compreso l’avvertimento (che comprende l’interruzione della condotta illecita e la possibilità della connessa pubblicità) nonché la censura (dichiarazione pubblica di biasimo connessa, nei casi più gravi, all’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, ovvero alla sospensione dal Registro dei revisori legali per un periodo massimo di tre anni).
In conclusione, sembra dischiudersi una nuova e interessante possibilità di sviluppo delle relazioni industriali, con un ruolo proattivo delle parti sociali aziendali, in chiave reciprocamente responsabilizzante rispetto al processo di rendicontazione di sostenibilità. Auspichiamo che le stesse colgano le opportunità scaturenti dalla nuova normativa, che rende obbligatorio per una serie di imprese il bilancio di sostenibilità già a partire dal corrente anno 2024, cioè con effetti nelle pubblicazioni del 2025.
Domenico Iodice
Responsabile Divisione giuridica – Comitato scientifico Fondazione Fiba
[1] L’entrata in vigore viene disciplinata all’art. 17 del Decreto in maniera differenziata a seconda della dimensione del soggetto tenuto alla rendicontazione di sostenibilità. Il comma 1 prevede che le disposizioni si applichino: a) per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2024 o in data successiva, alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e agli enti di interesse pubblico che sono società madri di un gruppo di grandi dimensioni che, alla data di chiusura del bilancio, superano il numero medio di 500 dipendenti occupati durante l’esercizio; b) per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2025 o in data successiva, alle imprese di grandi dimensioni e alle società madri diverse da quelle sopra indicate alla lettera a); c) per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2026 o in data successiva, alle piccole e medie imprese quotate (ad eccezione delle micro-imprese, anche se quotate) e agli enti piccoli e non complessi come definiti all’art. 4, par. 1, punto 145), del regolamento (UE) n. 575/2013.
[2] Questa, vale ricordarlo, è adempimento dovuto per le imprese di grandi dimensioni, nonché per le piccole e medie imprese quotate, come indicato nell’art. 3.
[3] In tal senso si comprende l’elemento qualificativo che lo distingue, sotto il profilo finalistico, dalla DNF: il bilancio di sostenibilità è un processo, che misura e rendiconta la relazione con gli stakeholder, mentre la dichiarazione non finanziaria è un atto, che ha per obiettivo principale di attrarre capitali per nuovi investimenti.
[4] Si tratta di elementi per l’appunto aggiuntivi a quelli che appartengono alla sfera oggetto di rendicontazione di sostenibilità: fattori ambientali, sociali, relativi ai diritti umani e di governance, compresi i fattori definiti dal Regolamento 2019/2088/UE art. 2, punto 24, come le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva.
[5] Ai sensi del successivo art. 13 della richiamata CSDDD, la consultazione dei portatori di interessi avviene nelle fasi seguenti del processo di attuazione del dovere di diligenza: a) in fase di raccolta delle informazioni necessarie sugli impatti negativi effettivi o potenziali, al fine di individuare e valutare gli impatti negativi e attribuire loro priorità a norma degli articoli 8 e 9; b) in fase di elaborazione di piani d’azione in materia di prevenzione e correttivi a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, e dell’articolo 11, paragrafo 3, e in fase di elaborazione di piani d’azione in materia di prevenzione e correttivi rafforzati a norma dell’articolo 10, paragrafo 6, e dell’articolo 11, paragrafo 7; c) in fase di assunzione della decisione di cessare o sospendere un rapporto d’affari a norma dell’articolo 10, paragrafo 6, e dell’articolo 11, paragrafo 7; d) in fase di adozione di misure adeguate per fornire riparazione agli impatti negativi a norma dell’articolo 12; e) se del caso, in fase di elaborazione di indicatori qualitativi e quantitativi per il monitoraggio richiesto in virtù dell’articolo 15.