Il vincolo dei costi della manodopera negli appalti pubblici secondo la recente giurisprudenza amministrativa

Bollettino ADAPT 20 gennaio 2025, n. 3
 
Con due recenti pronunce risalenti a dicembre 2024, la giurisprudenza amministrativa ha stabilito come interpretare gli articoli 11 e 41 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) in materia di determinazione dei costi della manodopera. In particolare, l’art. 11 (già presente nel precedente Codice è di estrema importanza giacché impone all’impresa partecipante ad una gara pubblica di applicare al personale impiegato in appalto il contratto collettivo leader, cioè quel CCNL firmato dalle associazioni comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori sul piano nazionale. Questa disposizione è stata oggetto di recenti integrazioni (sul punto, si veda il Bollettino Speciale n. 7/2024) anche se, sostanzialmente, la sua portata è rimasta invariata. Rispetto all’art. 30, comma 4 del d.lgs. n. 50/2016, però, l’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 contiene una novità, prevista dal comma 3 della disposizione normativa in questione.
 
Quest’ultima disposizione contiene una sorta di clausola di salvaguardia, che mira a garantire la libertà sindacale delle imprese (tutelata dall’art. 39 della Costituzione), permettendo agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché questo garantisca ai dipendenti le medesime tutele del CCNL indicato nel bando di gara. In tal caso, al fine di dimostrare questa equivalenza, il legislatore al comma 4 richiede agli operatori di esibire una dichiarazione che attesti la bontà del diverso CCNL (c.d. dichiarazione di equivalenza). Proprio su quest’ultimo punto il 6 dicembre 2024 si è espresso il TAR della Toscana, analizzando il ricorso di una società rimasta esclusa dall’aggiudicazione di una concessione di servizi cimiteriali del Comune di Montespertoli.
 
Con la sentenza n. 1440 del 2024 il suddetto Tribunale affronta la questione, oggetto di controversia, relativa alla scelta del CCNL utilizzato dal Responsabile Unico del Procedimento amministrativo (RUP) per effettuare la valutazione di equivalenza delle tutele. Nel caso di specie, la società ricorrente riteneva insussistente l’equivalenza di tutele fra il CCNL applicato dalla società aggiudicataria (CCNL Cooperative Sociali) con quello indicato nella lex specialis dalla stazione appaltante (CCNL Multiservizi), attribuendo al RUP il compimento di un errore di fatto nel valutare le tutele previste dai due CCNL equivalenti.

 
Nel rammentare che l’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 è funzionale ad evitare che a fronte della “frammentazione dei contratti collettivi nell’ambito del medesimo settore, l’operatore economico finisca per optare per un c.c.n.l. che non garantisce al lavoratore le migliori tutele sotto il profilo normativo ed economico”, il TAR accoglie il ricorso ritenendo l’operato del RUP illegittimo.
 
In particolare, il TAR evidenzia come ai fini della verifica dell’equivalenza delle tutele salariali il RUP avesse preso a riferimento non il CCNL Multiservizi siglato l’8 giugno 2021 – contratto collettivo che peraltro è assunto dal Ministero del Lavoro per determinare il costo medio del lavoro ai sensi dell’art. 41, comma 13 del d.lgs. n. 36/2023 – ma un altro CCNL Multiservizi, sottoscritto il 26 novembre 2021 da organizzazioni sindacali non dotate peraltro di un significativo grado di rappresentatività richiesto dalla normativa in materia.
 
Questa scelta errata del RUP ha comportato una valutazione non congrua del CCNL applicato dalla società aggiudicataria e così il TAR ha parzialmente accolto le istanze della ricorrente, motivando che “il RUP, nell’effettuare la valutazione della dichiarazione di equivalenza delle tutele ex art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 presentata dalla controinteressata, avrebbe dovuto prendere in considerazione il CCNL “Multiservizi” siglato l’8 giugno 2021” ed ha disposto pertanto “la ripetizione della verifica della dichiarazione di equivalenza delle tutele dei lavoratori ex art. 11, comma 4 d.lgs. n. 36 del 2023, alla luce del CCNL siglato l’8 giugno 2021”. L’aggiudicazione della gara è stata dunque annullata.
 
Un’altra interessante pronuncia della giustizia amministrativa recentemente pubblicata dal TAR Sicilia (sezione di Catania), sempre concernente la congruità dei costi della manodopera nei contratti pubblici, affronta la questione della mancata determinazione del costo della manodopera nella determinazione della base d’asta. Come emerge dalla sentenza n. 4116 del 2024, la società ricorrente lamentava in particolare che la base d’asta fosse stata elaborata dalla stazione appaltante senza tenere in considerazione il costo della manodopera determinato nelle tabelle ministeriali di cui all’art. 41, comma 13 del d.lgs. n. 36/2023, impedendole così la formulazione di una congrua offerta.
 
La questione oggetto della controversia concerne dunque la possibilità che la lex specialis di gara (cioè il bando) possa prevedere o meno un importo del costo della manodopera inferiore a quello stabilito nelle tabelle ministeriali di riferimento.
 
Il Tribunale interpreta la questione giuridica aderendo all’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (sentenza del 13 dicembre 2019, n. 1058) secondo il quale nella lex specialis di gara “non possono essere ammessi ribassi che integrino un disallineamento evidente e significativo tra il valore assunto a base d’asta e i livelli retributivi orari indicati nelle tabelle ministeriali”.
 
Un altro motivo di ricorso verte sulla violazione dell’art. 110 del d.lgs. n. 36/2023, secondo il quale, in fase di valutazione della congruità dell’offerta, non possono essere ammesse da parte degli operatori giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili. Considerando che, in caso di ribasso complessivo dei costi presentati nell’offerta, per legge il ribasso non può concernere i costi della manodopera e, al massimo, il ribasso può giustificarsi attraverso la dimostrazione di una più efficace organizzazione aziendale da parte dell’operatore economico (articolo 41, comma 14 del d.lgs. n. 36/2023), l’organo giudicante ha rilevato che nel caso di specie l’azienda ospedaliera resistente in giudizio non ha fornito le giustificazioni necessarie in tal senso, e non ha nemmeno dimostrato la sostenibilità degli importi proposti e la piena osservanza dei diritti inderogabili dei lavoratori come sanciti dal CCNL di settore, violando così l’art. 110.
 
Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dal TAR, infatti, nel caso di specie il costo medio orario desunto dalle indicazioni del bando di gara si discosta notevolmente dal valore del costo orario medio, più alto, rinvenibile nelle tabelle ministeriali, con il risultato di un evidente disallineamento tra il valore assunto a base d’asta e i livelli retributivi. Pertanto, il ricorso, fondato, viene accolto dal Tribunale ed il bando di gara impugnato viene annullato.
 

La congruità della base d’asta appare insomma un essenziale presidio per l’interesse pubblico e consente di evitare dinamiche ribassiste a detrimento della retribuzione dei lavoratori coinvolti negli appalti pubblici e concessioni pubbliche.
 

Giulia Comi

Apprendista di Ricerca ADAPT

@giulphil

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