La voglia di fare presto è tale che la riforma del mercato del lavoro ha scalzato la legge di Stabilità tra le priorità del Parlamento. Dovrebbe essere approvata entro otto giorni, ma non è ancora chiaro su quale testo si voterà il 26 novembre. Esisteva una formulazione sulla quale c’era raccordo tra Palazzo Chigi e Ncd. Ieri, invece, è spuntato un emendamento sottoscritto dal Pd, che riguarda l’articolo 18 e il reintegro nel caso di licenziamenti disciplinari. È una modifica che ha il merito, agli occhi di Matteo Renzi, di disarmare la minoranza interna e tutta la sinistra che in queste settimane ha gridato al tradimento del premier. Ma agli occhi del partito di Angelino Alfano il pregio diventa demerito e disdetta delle intese che erano state raggiunte.
La novità inietta nuove tensioni nella coalizione governativa. Maurizio Sacconi, capogruppo dell’Ncd, avverte che l’emendamento «non corrisponde a quanto concordato. Se vedessimo un testo diverso da quello che conosciamo ce ne andremmo dalla Commissione». Insomma, il contenzioso è aperto. La probabilità che sfoci in una rottura, tuttavia, appare altamente improbabile. Il percorso della riforma è ancora relativamente lungo. E, per quanto vistoso, e magari tendenzialmente aspro, lo scontro è destinato a ridimensionarsi. Per i centristi di Alfano, il problema non è solo il contenuto «di sinistra» che le modifiche comportano.
Il timore è soprattutto di essere infilzato da Forza Italia, pronta a sfruttare l’episodio per raffigurare l’Ncd come prigioniero di Renzi e del Pd. In un momento in cui ciò che rimane del berlusconismo tenta di ricompattarsi, l’incidente viene usato per chiedere ad Alfano di abbandonare il governo. Ma non succederà: tanto più per le manovre di avvicinamento tra FI e una Lega di Matteo Salvini considerata dall’Ncd agli antipodi di qualunque cultura moderata e di governo. A contare sono soprattutto le preoccupazioni elettorali. E dal momento che nell’ipotesi di riforma si parla di una soglia di accesso in Parlamento al 3 per cento, Alfano non può non essere grato al premier.
Il compromesso raggiunto, anche se non formalizzato, è tale da garantire la sopravvivenza del suo partito. Sebbene le carte rimangano coperte. Pur continuando a negare il voto anticipato, nessuno lo esclude del tutto; e nessuno è in grado di prevedere quali saranno gli accordi sia per il Quirinale che per il resto della legislatura. Renzi incassa il riconoscimento della rivista statunitense Foreign Affairs, che lo definisce « la migliore speranza di fare uscire il Paese dalla peggiore crisi economica dagli Anni 30»: un viatico impegnativo di fronte ad un’Europa con «l’encefalogramma piatto» nel giudizio dell’ex presidente della Commissione, Romano Prodi. Ma le divisioni degli avversari fanno miracoli.
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Una modifica che incrina ma non rompe l'alleanza