Onorevole Damiano, lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil che ha come bersaglio anche il Jobs Act, ritiene produrrà effetti sul comportamento dei deputati Pd nel voto in Aula la prossima settimana?
Non credo, perché ciascuno svolge il proprio mestiere. Il sindacato compie in autonomia le sue scelte per rappresentare il disagio sociale, noi ci battiamo in Parlamento per migliorare le leggi e tutelare al meglio i lavoratori. Questo è anche la dimostrazione di quanto fossero strumentali le polemiche astiose contro la commissione Lavoro, indicata da commentatori disinformati come cinghia di trasmissione della Cgil. Abbiamo agito con autonomia e intelligenza.
Chi ha vinto sul Jobs Act?
La dialettica e il Parlamento. Come Pd abbiamo portato a casa i risultati che ci eravamo prefissati di ottenere. Questo è il frutto prezioso di un lavoro paziente sui contenuti. Il Pd del Senato ha portato modifiche importanti come la garanzia che di fronte ad un cambio di mansioni venga mantenuta la retribuzione. Altrettanto prezioso è stato il contributo del gruppo Pd della commissione Lavoro della Camera che ha scelto la strada dell’unità, dopo aver trovato posizioni comuni, votando in modo compatto tutti e 21 i deputati sugli emendamenti concordati.
Anche sull’articolo 18?
In questo caso abbiamo avuto una sola astensione nel gruppo, peraltro conosciuta in precedenza, per la quale abbiamo espresso comprensione per la lealtà mostrata. Per molti le scelte compiute sono state anche motivo di intima sofferenza. Il che accresce l’importanza del risultato
Come risponde a Fassina, secondo cui avete sancito la libertà di licenziare?
Sbaglia. Mi sorprende non sia a conoscenza del fatto che eravamo partiti con il rischio della fiducia su un testo del Senato, con il governo che intendeva tutelare in modo esclusivo i licenziamenti discriminatori. Abbiamo fatto passi in avanti, nella tutela dei licenziamenti disciplinari con l’ordine del giorno della direzione del Pd, il cui contenuto è stato tradotto nella delega. Era quello che chiedevamo.
Il contributo della commissione Lavoro della Camera sull’impianto del Ddl delega è stato solo di restyling?
Nelle intenzioni originarie la delega non doveva essere toccata, noi abbiamo approvato 37 emendamenti, di cui 19 del Pd. Naturalmente ci sono emendamenti di diverso peso. Ma abbiamo introdotto correzioni anche rilevanti. Sulla cassa integrazione abbiamo specificato di non erogarla solo se la cessazione dell’azienda è definitiva, consentendone l’utilizzo come ponte verso la ripresa di attività. Abbiamo sancito il graduale superamento delle collaborazioni coordinate e continuative. Sull’autoimpiego è stato riformulato l’emendamento Polverini per agevolare, in caso di crisi, l’acquisizione dell’impresa da parte dei dipendenti. Abbiamo chiarito che i controlli a distanza riguardano gli impianti e gli strumenti di lavoro, non le persone. Abbiamo previsto un utilizzo coerente dei voucher con il progressivo superamento delle forme più precarie; in sostanza per impiegarli in settori caratterizzati da stagionalità e occupazione saltuaria. Sono state recepite le proposte delle deputate Pd sul sostegno alle cure parentali, il testo parlava solo di genitorialità, e sui congedi per donne inserite in percorsi di protezione in caso di violenza.
Avevate posto come condizione per l’accordo una serie di questioni esterne, come le risorse per gli ammortizzatori. Soddisfatti delle risposte?
Sugli ammortizzatori sociali si va nella direzione di aumentare in modo consistente la dotazione per renderne possibile l’estensione universale. Il governo si è anche impegnato a renderci partecipi della scrittura dei decreti. Chiediamo che l’impegno venga rispettato, visto che alcuni senatori affermano da tempo che ci sono già i testi.
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Damiano: "Passi avanti su disciplinari e controlli"