Qualsiasi sia lo scenario ipotizzato per il futuro del lavoro, esso avrà un impatto sulle competenze richieste ai lavoratori, sulle forme di trasmissione del sapere, sui contenuti e sulle modalità di accesso alla formazione.
Nell’era dei big data, la capacità di leggere e interpretare grandi masse di dati diventerà sempre più cruciale, così come le competenze organizzative, gestionali e la capacità di negoziare e fare rete, per via dell’evoluzione dell’organizzazione del lavoro verso un modello per progetti. Allo stesso tempo, ambienti di lavoro multi-generazionali e collaborativi imporranno il potenziamento di competenze relazionali e comunicative avanzate, mentre la mobilità dei percorsi di carriera richiederà al contempo capacità di sviluppare velocemente competenze specialistiche innestandole su una base di competenze generali ibride.
Questo è quanto emerge dal Report inglese The Future of Work: Jobs and skills in 2030, che ha ispirato le considerazioni contenute in questo articolo e nei due precedenti, e che merita più di una chiave di lettura perché è uno dei rari esempi di forte impegno istituzionale sul fronte dell’analisi previsionale dei fabbisogni professionali, segno della consapevolezza che il primo cambiamento da affrontare è proprio la necessità di prevenire il cambiamento, piuttosto che reagire a esso.
Gli autori del Report esplorano le implicazioni derivanti dalle grandi tendenze economiche e socio-demografiche in tutti i principali ambiti di policy e in diversi settori occupazionali (digitale, commercio e logistica, formazione, servizi alle persone e alle imprese, manifattura, costruzioni).
Se è vero che, come sottolineato nella parte I di questa serie di riflessioni, la tecnologia è ancora uno dei principali driver della trasformazione del lavoro, essa è solo uno dei molti trend che influenzeranno il modo in cui si produrrà e si lavorerà, a maggior ragione nei settori caratterizzati da un’alta intensità di lavoro e da un maggiore peso delle componente personale e relazionale ai fini del rendimento individuale e della produttività, come la formazione e i servizi, in particolare alle persone.
Particolarmente interessante sembra quindi una riflessione sui cambiamenti che potrebbero verificarsi in questi settori alla luce di quattro possibili scenari.
Scenario 1 – Flessibilità spinta, con modesta crescita dell’economia ma anche maggiore insicurezza per i lavoratori, soprattutto i meno qualificati. In questo scenario, si riducono gli investimenti pubblici in formazione ma aumentano gli investimenti delle imprese, interessate allo sviluppo di competenze specifiche e ready-to-use. L’accesso ad opportunità di formazione di qualità diventa più difficile per cui ha meno risorse, mentre la formazione erogata dalle istituzioni terziarie tradizionali assume i tratti dell’elitarietà. Lo sviluppo della formazione employer-led non si traduce, infatti, in un riconoscimento di pari dignità alla formazione in contesto di lavoro con il risultato di amplificare le disuguaglianze tra i lavoratori. Nel settore dei servizi alla persona, a queste tendenze si aggiunge una sempre maggiore richiesta di creatività e capacità di pensiero critico (in tensione con la ridotta capacità di accesso alla formazione non funzionalizzata). Nel settore della sanità sarà sempre più necessario padroneggiare nuove tecnologie, ma soprattutto sviluppare empatia per comprendere la crescente diversità e superare gli steccati professionali (cosiddetta multiprofessionalità) per leggere bisogni complessi. Nel settore educativo, emerge in particolare la necessità di sviluppare intermediary skills, legate alla capacità di sviluppare le relazioni tra studenti, imprese e istituzioni formative. Come dire che chi ha il delicato compito della formazione dei giovani (e non solo) dovrà iniziare davvero a preoccuparsi dell’employability.
Scenario 2 – The Great Divide…
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La Grande Trasformazione del Lavoro – In viaggio verso il 2030 – Parte III: nuove competenze per nuovi bisogni sociali