Dal boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta, i benefici e le criticità contenute nella nozione di salute sono state riversate ed espresse nella categoria della “qualità di vita”, diventando un modo usuale per riferirsi alla salute in termini di benessere.
Difatti, dal punto di vista concettuale, sono stati individuati diversi approcci a questa categoria che reperiscono il concetto di “qualità di vita” negli stati mentali piacevoli o dolorosi della persona, in risposta alle proprie condizioni psico-fisiche e sociali (P. Sandøe, Quality of Life – Three Competing Views, in Ethical Theory and Moral Practice, Vol. 2, pp. 11-23, 1999). Questa idea deriva da un pensiero sociale condiviso che presuppone di scoprire nelle situazioni gratificanti, condizioni di vita favorevoli che variano dall’istruzione, occupazione, salute al tempo libero (A. Haw, Defining the Quality of Life: a Formula without Numbers, Hastings Center Report, Vol. 7, pp. 5-11, 1977).
In merito, un recente report Eurostat “Quality of life – Facts and views” ha indagato la “qualità della vita” attraverso otto dimensioni: condizioni materiali, occupazione, salute, istruzione, tempo libero e interazioni sociali, sicurezza economica, diritti e grado di soddisfazione della propria vita.
Indubbiamente la dimensione della salute è fondamentale per valutare la qualità della vita: un cattivo stato di salute, non solo riduce potenzialmente la durata della vita ma, a livello collettivo, ostacola lo sviluppo economico e sociale di un Paese, a causa dei costi diretti e indiretti ad esso connessi. La spesa sanitaria, ad esempio, costituisce una parte significativa della spesa pubblica e privata nell’Unione Europea: in media nei paesi membri dell’UE, la spesa sanitaria pro capite è aumentata del 4,6% l’anno in termini reali tra il 2000 e il 2009 (OECD Publishing, Health at a Glance, Europe, 2014).
Tra gli indicatori presi in considerazione nel report Eurostat per valutare la qualità di vita, in riferimento alla salute, assumono particolare rilevanza: la speranza di vita e l’autovalutazione circa il proprio stato di salute (fisica e mentale) e l’accesso alle cure sanitarie.
Con particolare riferimento alla speranza di vita, la popolazione europea sembra essere tra le più longeve: la speranza di vita media è di circa 80 anni (80,3) ed è aumentata di 1,8 anni dal 2005 al 2012. Esiste, però, un divario tra uomo e donna: in media, le donne nell’Unione Europea vivono 5,6 anni più a lungo rispetto agli uomini, anche se la speranza di vita per quest’ultimi sembra aumentare più velocemente, di 2,1 anni tra il 2005 e il 2012, a fronte di 1,6 anni per le donne. Il report Eurostat evidenzia anche come permangano ancora differenze a livello nazionale: in media, i ciprioti, i francesi, gli italiani e gli spagnoli vivono più a lungo rispetto agli altri cittadini europei, con una speranza di vita che ha superato gli 82 anni nel 2013; al contrario, i bulgari, i lettoni e i lituani vivono in media meno di 75 anni. In generale, la speranza di vita è più bassa nei Paesi che hanno aderito all’UE dopo il 2004, con l’eccezione di Cipro e Malta.
In riferimento, al secondo indicatore, la percezione del proprio stato di salute, quasi sette su dieci (67,7%) europei dichiarano di essere in buona salute. In particolare, nel 2013, gli irlandesi hanno valutato il loro stato di salute abbastanza buono (3,6%), seguiti dai maltesi (3,9%), svedesi (4,0%), olandesi (5,4%), finlandesi (6,7%) e ciprioti (6,9%).
Considerando il genere, invece, gli uomini europei tendono a valutare il loro stato di salute più positivo rispetto alle donne. Infatti, il 70,7% degli uomini percepisce il proprio stato di salute come buono o molto buono e solo l’8,4% come cattivo o molto cattivo, mentre le donne rispettivamente il 65% dichiara un buon stato di salute mentre il 10,5% afferma di avere problemi di salute.
Il report Eurostat ha anche evidenziato come spesso la percezione del proprio stato di salute sia associata alla propria situazione occupazionale: coloro che possiedono un più alto livello di istruzione e coloro che partecipano più attivamente al mercato del lavoro, tendono a valutare più positivamente il proprio stato di salute. L’80% degli europei con un lavoro a tempo pieno afferma di godere di buone o ottime condizioni di salute. Tale percentuale cala per i lavoratori part-time (75%) e per i disoccupati (69,5%). I pensionati hanno una percezione del proprio stato di salute di gran lunga peggiore: solo il 40% afferma di godere di buone o ottime condizioni di salute.
Per quel che concerne l’insorgenza delle malattie croniche, nel 2013 circa 8,3% dei cittadini europei ha dichiarato di essere affetto da gravi limitazioni di lunga data a causa di problemi di salute. In particolare, circa un terzo dei cittadini europei (32%) ha riferito di aver una malattia, mentre il 3,6% non poteva soddisfare le esigenze mediche perché l’accesso alle cure è risultato difficoltoso. Si osserva, inoltre, che le persone con malattie di lungo termine risiedono in Finlandia (47,5%) ed Estonia (44,3%), mentre i paesi europei in cui si riscontrano maggiori difficoltà a soddisfare le esigenze mediche sono la Lettonia (13,8%) e la Romania (10,4%).
Da quanto emerso nel suddetto report, possiamo rimandare la nozione di qualità della vita ad una antropologia che la sostanzi e la fondi. Invero, la nozione di qualità della vita, non solo è criterio di eticità per stabilire il diritto alla tutela e alle cure, ma concorre anche a definire gli aspetti della vita di una persona, negando, a volte, il fondamento naturale e culturale dell’uguaglianza.
Questo scenario ci fa riflettere su uno degli aspetti europei non ancora colmati, ovvero quello legato all’accesso alle cure e all’insorgenza crescente delle malattie croniche, che aspetta di essere ratificato attraverso un nuovo modello di welfare sociale europeo, che renderà evidente la necessità di far permanere e/o di reinserire le persone con problemi di salute nel mercato del lavoro, affinché si possa affrontare il declino dell’offerta di lavoro e la carenza di forza-lavoro qualificata.
Un investimento, quindi, sulla salute e sul benessere delle persone diventerà sempre più un bisogno anche economico per gli Stati europei in funzione della sostenibilità dei loro sistemi sanitari e di protezione sociale.
Federica Romano
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
@89fede_romano
Fabiola Silvaggi
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
@FabiolaSilvaggi
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Qualità di vita in Europa: perché è fondamentale investire nella salute?