Negli ultimi due decenni i processi di esternalizzazione di grandi e medie aziende, acuiti anche dalla crisi economica dell’ultimo quinquennio, hanno comportato una larga diffusione del fenomeno del trasferimento di azienda o del ramo di esso, ossia di una sua articolazione dotata di organicità operativa, talvolta con fenomeni di abuso del meccanismo negoziale previsto, dal punto di vista commerciale, dagli artt. 2556 c.c. e regolato sotto i profili del rapporto di lavoro dal noto articolo 2112 c.c.
La definizione dei corretti confini e delle caratteristiche del ramo di azienda, definito dall’art 2112 c.c. come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica e organizzata, ha dato luogo ad un ampio contenzioso poiché in contrasto con le norme sia nazionali che europee vigenti. La corretta individuazione delle concrete caratteristiche dell’idoneo ramo trasferibile non è però agevole, con la conseguenza di esiti giudiziali non sempre univoci (Si veda in tal senso Cass n. 20422/ 2012 in Arg. Dir. Lav., 2011; Cass. n 5117/2012 in Dir. Prat. Lavoro, 2011; Cass. Civ. n 1456/2013, inedita).
Con le seguenti due recenti sentenze (n. 3235 del 26 settembre 2013 e n. 3653 del 18 ottobre 2013) pronunciate dal Tribunale di Milano sezione lavoro i due giudici milanesi (rispettivamente dott.ssa Cuomo e dott. Atanasio) si sono pronunciati in senso sostanzialmente difforme in merito ad una cessione di ramo di azienda effettuata da una società appartenete al gruppo tedesco Deutsche Bank riaccendendo così un animato dibattito giurisprudenziale sull’interpretazione dei requisiti necessari per la sussistenza di un legittimo ramo di azienda.
Nella specie alcuni lavoratori alle dipendenze della società cedente hanno convenuto la società stessa contestando l’illegittimità del trasferimento del proprio rapporto di lavoro alla società cessionaria deducendone l’insussistenza del ramo ceduto per mancanza dei requisiti ex art 2112 c.c. e chiedendo la reintegrazione nel proprio posto di lavoro alle medesime mansioni lavorative precedentemente svolte presso la società cedente.
Nel caso in esame i lavoratori ceduti svolgevano mansioni di commessi nell’ambito del servizio di spedizione della posta da e verso strutture Deutsche Bank.
La peculiarità del caso specifico era che i lavoratori sostenevano che nel trasferimento del ramo di azienda in questione ad essere ceduta fosse stata solo la forza lavoro mentre i quadri dirigenti erano rimasti alle dipendenze della cedente la quale aveva provveduto ad assumere anche altri lavoratori con funzioni direttive che coordinassero le attività degli addetti ceduti alla società cessionaria.
In particolare i lavoratori contestando l’illegittimità del trasferimento asserivano di non essere stati adibiti ad attività lavorative coerenti al ramo di azienda oggetto di cessione.
I due giudici della Corte milanese si sono così pronunciati con due sentenze di contenuto diametralmente opposto sulla cessione di ramo di azienda c.d. “smaterializzata”.
Nella sentenza n. 3235 emessa dal Tribunale di Milano in data 26 settembre 2013 il giudice rigettava le istanze sollevate dai lavoratori col ricorso ritenendone infondate le argomentazioni poste alla base. Essa aderisce all’orientamento maggioritario creatosi ad oggi all’interno della Corte milanese (In senso conforme all’applicazione ex art 32 d.lgs. n. 276/2003, Trib. Milano, n. 2876/2012 est Pattumelli; Trib. Milano, n. 1945/2013; Trib. Milano n. 1360/2013, in Orient. Giur Lav., 2011) che concorda nell’interpretare letteralmente la nozione di trasferimento di ramo di azienda ex art 2112 c.c., così come modificato dall’art 32 d.lgs. n. 276/2003, ammettendo così che il ramo di azienda possa essere “individuato dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”.
Tale orientamento ritiene irrilevante l’eliminazione formale del requisito della preesistenza quale condizione di legittimità del trasferimento, in quanto il concetto stesso di trasferimento di ramo di azienda individuato attraverso le direttive comunitarie (Dir 98/50/ CE della Commissione del 16 luglio 1998; Dir 2001/23/ CE del Consiglio d’Europa del 12 marzo 2001) presuppone già di per sé la preesistenza dell’oggetto del trasferimento.
Non conta quindi che le direttive in parola nulla dicano sulla preesistenza, poiché, si afferma nella decisione in esame, l’intrinseca esigenza di conservazione dell’identità economica nel trasferimento comporta come necessario corollario logico la preesistenza del ramo, «non potendo conservarsi quel che non c’è»
Il giudice milanese ritiene che la modifica apportata alla norma dalla Legge Biagi rispondeva ad esigenze concrete e meritevoli di tutela del sistema produttivo ed economico.
Infatti essa era intesa a favorire il fenomeno delle esternalizzazioni mediante il quale le aziende per concentrare i propri sforzi su ciò che sanno fare meglio affidano le altre operazioni «a soggetti diversi, per i quali la funzione terziarizzata è o diviene mission e core business aziendale» (si veda G. Santoro Passarelli, Il trasferimento di parte dell’azienda tra libertà dell’imprenditore e tutela dei lavoratori, in Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro)
Si pensi per esempio ai servizi di manutenzione immobili o guardiania oppure ai servizi di supporto non scindibili dalla produzione principale che molte aziende non hanno più interesse a svolgere direttamente e che tuttavia difficilmente sono organizzati in modo funzionalmente autonomo tale da preesistere ad un processo di outsourcing.
La sentenza annotata sembra fare anche delle concessioni importanti sotto il profilo della concezione «destrutturata» del ramo d’azienda.
Si ipotizza infatti la configurabilità di un ramo «smaterializzato» o «leggero», «costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente allo svolgimento di un’attività economica»; si ritiene inoltre legittima, in via generale, la cessione del ramo anche in caso di «frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività della società cessionaria».
Per il giudice che ha emesso la sentenza ora in commento il requisito dell’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto non deve coincidere con la materialità dello stesso ( quanto a strutture, beni strumentali e attrezzature), ma può consistere anche in un ramo smaterializzato (Si veda nello stesso senso Cass. n. 21711/2012 in Orient. Giur Lav., 2011) costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente, allo svolgimento di una attività economica organizzata.
In conclusione il giudice che ha emesso la sentenza n. 3235/2013 non ha ravvisato una illegittima cessione di ramo di azienda c.d. smaterializzata o di sola forza lavoro.
Di segno contrario è stata la sentenza n. 3653/2013 emessa (un mese dopo la pronuncia del giudice dott.ssa Cuomo di rigetto del ricorso) dallo stesso Tribunale di Milano, il quale avverso il medesimo caso ha accolto le istanze dei lavoratori configurando una operazione illegittima di cessione di ramo di azienda “smaterializzato”.
Secondo l’interpretazione di tale giudice la società cedente nell’effettuare l’operazione non ha soddisfatto il requisito dell’autonomia funzionale del ramo trasferito, in quanto cedente e cessionario avrebbero creato una struttura produttiva creata ad hoc stravolgendo così l’identità del ramo aziendale
Esposte le soluzioni diverse a cui sono addivenuti i due giudici con le sentenze qui in commento si deve ritenere in conclusione che l’orientamento ancora ad oggi dominante nel tribunale milanese propenda per l’accoglimento e l’interpretazione letterale dell’art 2112 comma 5 c.c. cosi’ come riformulato dall’art 32 d.lgs. n 276/2003, in quanto secondo l’indirizzo maggioritario della Corte milanese non esiste un principio di diritto di fonte europea che si ponga in contrasto con la soppressione del requisito della preesistenza dell’articolazione funzionale come condizione di un legittimo trasferimento e, il concetto di entità economica che conserva l’identità nel trasferimento di titolarità, elaborato nell’ordinamento europeo per tutelare le ragioni dei lavoratori presso il cessionario, è molto più esteso e non coincide affatto con la nozione di articolazione funzionale autonoma preesistente al trasferimento.
Cristina Guelfi
Dottore abilitato al patrocinio presso il Foro di Milano
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L’autonomia funzionale del ramo d’azienda: il caso Deutsche Bank e le due diverse decisioni del Tribunale di Milano