Accertamento tributario e riqualificazione dei contratti certificati: facciamo chiarezza

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Bollettino ADAPT 16 settembre 2024, n. 32
 
Non sono pochi i dubbi e le incertezze che sono emersi tra gli operatori del mercato del lavoro a seguito della pronuncia della Cass. n. 21090 pubblicata lo scorso 29 luglio in materia di efficacia della certificazione e accertamenti tributari.
 
La controversia prende le mosse da una contestazione, da parte dell’Agenzia per le Entrate, su due contratti di appalto (certificati) in quanto, a parere dell’Autorità ispettiva richiamata, avrebbero dissimulato rapporti di somministrazione irregolare di manodopera a causa della assenza di autonomia organizzativa nonché della mancata assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore (quali requisiti di genuinità essenziali per l’applicazione della disciplina in materia di appalto). Tuttavia, dato che tali accertamenti erano intervenuti successivamente alla certificazione dei contratti di appalto ai sensi dell’art. 84, d.lgs. n. 276/2003 (ndr. dalla pronuncia non si evince quale sia l’Ente di certificazione che ha rilasciato il provvedimento in parola né dove lo stesso sia incardinato ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. n. 276/2003: Ente bilaterale, Direzioni provinciali del lavoro e le province, Università pubbliche o private, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, consigli provinciali dei consulenti del lavoro), la società interessata aveva instaurato un giudizio, dapprima, presso la Commissione Tributaria Provinciale di Modena (che si era pronunciata, rigettando il ricorso, con la sentenza n. 275/1/2018) e, successivamente, appellando la pronuncia di primo grado, presso la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna. Quest’ultima, con pronuncia n. 639/14/2019 depositata il 25 marzo 2019, aveva accolto parzialmente l’appello proposto dalla società, sottolineando che la questione principale riguardava la sindacabilità o meno del contratto (nel caso di specie, di appalto) certificato ai sensi degli artt. 75 e ss. del d.lgs. n. 276/2003 stipulato tra le due società. Ed invero, viene affermato che, data l’efficacia della certificazione anche verso i terzi (ai sensi dell’art. 79 del decreto richiamato), tra cui anche l’Agenzia per le Entrate, quest’ultima, prima di poter contestare la genuinità del contratto di appalto, aveva l’onere di impugnare la certificazione davanti al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, sia ai fini della corretta qualificazione giuridica sia ai fini di accertare l’eventuale difformità tra l’oggetto del contratto e la sua esecuzione (adempimento che non era stato compiuto dall’Autorità ispettiva nel caso di specie). Successivamente, l’Agenzia per le Entrate ricorre in Cassazione la quale, con la pronuncia in commento, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in di- versa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili accolti e per la liquidazione delle spese di lite.
 
Orbene, senza poter (e voler) entrare nel merito del percorso logico-giuridico di matrice tributaristica intrapreso dal Giudice, ciò che preme chiarire in questa sede è piuttosto il perimetro di tale pronuncia e le conseguenze che, dal punto di vista degli effetti della certificazione, ne derivano.
 
Innanzitutto è doveroso evidenziare che la richiamata pronuncia della Suprema Corte, contrariamente a quanto sembrerebbe leggendo i primi commenti circolari nelle scorse settimane, non interviene sugli effetti prodotti dalla certificazione che, ai sensi dell’art. 79 del d.lgs. 276/2003, “permangono, anche verso i terzi” (comprese le autorità ispettive) fino all’accoglimento di una sentenza di merito, fatti salvi i procedimenti cautelari. E ciò comporta la diretta conseguenza per cui le autorità ispettive (compresa l’Agenzia per le Entrate) non può riqualificare un contratto di appalto (o un contratto di lavoro) – se certificati – senza prima ricorrere in giudizio.
 
A tal proposito, infatti, merita ricordare che l’ordinanza in oggetto, non si pronuncia sul potere delle autorità ispettive (es. Agenzia delle Entrate) di riqualificazione dei contratti certificati ma, piuttosto, interviene sulla competenza del giudice (nel caso di specie tributario) a pronunciarsi in merito alla qualificazione di un contratto (precedentemente) certificato. Ciò, nonostante l’articolo 80 del decreto richiamato tipizzi l’elenco delle Autorità giudiziarie che è possibile adire al fine di riqualificare un contratto certificato (eventualmente, annullando conseguentemente il relativo provvedimento di certificazione).
 
Ed invero, la Corte di Cassazione, nel caso di specie, si pronuncia sul c.d. potere-dovere di riqualificazione del giudice tributario (e non dell’AE o altra Autorità ispettiva la quale, per contestare un contratto certificato, deve in ogni caso ricorrere in giudizio). Ciò si deduce agilmente leggendo l’Ordinanza che, diffusamente e in più parti, richiama il c.d. “potere-dovere” del giudice tributario. Addirittura, nel principio di diritto che è stato esplicitato chiaramente nella pronuncia si legge che “L’esercizio del potere-dovere del giudice tributario di qualificare l’operazione economica sottostante il contratto, anche sulla base dell’esecuzione dello stesso, e di pronunciarsi sull’obbligazione tributaria instauratasi al verificatesi di un atto o fatto rilevatore di capacità contributiva ex art.53 Cost., non è precluso dalla certificazione del contratto di cui agli artt. 75 e ss. del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e dalla mancata impugnazione di tale certificazione davanti al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro”.
 
Come già anticipato, infatti, ciò che viene messo in discussione nella pronuncia della Cassazione è, semmai, la competenza, in caso di impugnazione del provvedimento di certificazione e contestuale ricorso in giudizio, dell’autorità giudiziaria da dover adire al fine di poter (eventualmente) riqualificare il contratto (certificato). La domanda che si pone la Corte di Cassazione e alla quale, contrariamente a quanto fatto dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, risponde negativamente è, infatti, se l’autorità giudiziaria competente per pronunciarsi sulla qualificazione di un contratto certificato, sia esclusivamente il giudice del lavoro (come previsto dall’art. 80 del d.lgs. 276/2003).
 
Fermo restando che, a parere di chi scrive, l’interpretazione della Corte di Cassazione in commento sembra andare oltre i limiti individuati dal dettato normativo (il riferimento è, ancora, all’art. 80 del d.lgs. n. 276/2003) e nonostante la mancanza di univocità, anche in dottrina, in merito agli effetti della certificazione in sede giudiziaria (per un approfondimento sul punto si veda G. Piglialarmi, Contributo allo studio della certificazione nei rapporti di lavoro, ADAPT University Press, pp. 118 ss, 2024), ciò che parrebbe possibile escludere è una lesione degli effetti “primari” della certificazione, tra cui l’opponibilità agli Enti ispettivi (tra cui l’Agenzia per le Entrate) in quanto tale pronuncia non sembra mettere in discussione la produzione degli effetti del provvedimento di certificazione verso le parti e verso i terzi (comprese le Autorità ispettive verso le quali la certificazione è destinata a produrre gli effetti che, è bene ricordarlo, possono essere civili, amministrativi, fiscali e previdenziali), almeno fino all’accoglimento di una sentenza di merito.
 
Non meno importanti, semmai, risultano ulteriori due aspetti che, l’operatore che intende ricorrere alla certificazione dei contratti dovrebbe tenere in considerazione, anche alla luce della recente pronuncia.
 
In primo luogo, la necessità di evitare il ricorso a quelle certificazioni dirette a salvaguardare soltanto la forma del contratto, a discapito della sostanza e di ciò che, spesso, si nasconde sotto, nel concreto svolgimento del rapporto oggetto del contratto. Ciò, in quanto – a prescindere da quale sia l’Autorità giudiziaria competente ad esprimersi sulla qualificazione di un contratto certificato (compreso il Giudice tributario) nonché a prescindere dagli effetti di cui all’art. 79 che (spesso) vengono ugualmente prodotti – è fondamentale che lo stesso, per essere certificato, sia anche nella sostanza un contratto genuino, con conseguente tenuta giuridica anche a fronte di un eventuale giudizio (nonostante quest’ultimo rappresenti una fase successiva rispetto agli effetti di “opponibilità” spiegati verso i terzi, quali le Autorità ispettive). E tale necessità di porre attenzione sui profili sostanziali della genuinità del contratto, ai fini di beneficiare degli effetti della certificazione, risulta ancora più dirimente oggi, a seguito della presente pronuncia, in quanto una decisione del genere potrebbe assecondare la prassi degli ispettori di procedere e rimettere poi al loro campo (nel caso di specie, tributario) la decisione, contando sull’auspicata azione salvifica del giudice rispetto al proprio verbale di accertamento. Ed invero, come specificato nella Ordinanza in parola, la Cassazione, pronunciandosi sulla competenza del Giudice Tributario, rinvia la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna la quale sarà ora chiamata ad indagare, nel concreto, la presenza o meno degli indici di genuinità del contratto di appalto oggetto della precedente certificazione al fine di poter confermare o annullare il provvedimento di certificazione.
 
In secondo luogo, nel caso di specie, emerge dalla controversia in commento che non tutti i contratti di appalto oggetto dell’accertamento dell’Agenzia per le Entrate erano stati certificati. Sul punto, merita infatti ricordare che, contrariamente a quanto ripercorso sopra, in caso di contratti non certificati, anche le Autorità ispettive – tra le quali l’Agenzia per le Entrate – possono procedere alla contestazione e successiva riqualificazione dei contratti, senza la necessità di adire l’Autorità giudiziaria competente.
 
Chiariti questi primi aspetti, ciò che sembra rimanere in dubbio e che desta non poche perplessità, anche a seguito della posizione espressa dalla Corte di Cassazione dello scorso luglio, è piuttosto la continua erosione che sta subendo, ormai da qualche anno, il ruolo del Giudice del lavoro e, in generale delle figure ispettive del sistema giuslavoristico. Non solo perché è difficile immaginare che un Giudice tributario possa avere le stesse competenze di un Giudice del lavoro nel pronunciarsi correttamente sulla qualificazione di un rapporto (di lavoro o di appalto) districandosi nella complessa disciplina giuslavoristica ma, altresì, in quanto sempre più spesso il sistema ispettivo lavoristico sembra perdere terreno a fronte delle indagini, anche di stampo penalistico, effettuate su istituti e rapporti tipicamente appartenenti alla legislazione sul lavoro.
 

Giada Benincasa

Coordinatrice della Commissione di certificazione DEAL dell’Università di Modena e Reggio Emilia

@BenincasaGiada

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