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Bollettino ADAPT 14 giugno 2021, n. 23
L’art. 1, comma 1175 legge n. 296/2006, stabilisce che “a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
I benefici contributivi possono essere individuati in tutti quegli sgravi collegati alla costituzione e gestione del rapporto di lavoro che rappresentano una deroga all’ordinario regime contributivo. Tale deroga, però, non configura una ipotesi agevolativa nel caso in cui lo sgravio non sia costruito come “abbattimento” di una aliquota più onerosa, calcolata secondo i normali parametri statistico-attuariali, ma rappresenti la “regola” per un determinato settore o categoria di lavoratori. Di conseguenza, non rientrano nella nozione in esame quei regimi di contribuzione diversa da quella ordinaria ma che caratterizzano interi settori (ad es. agricoltura e navigazione marittima), territori (ad es. zone montane) ovvero specifiche tipologie contrattuali (apprendistato) con una “speciale” aliquota contributiva prevista dalla legge, ambiti nei quali il totale abbattimento o la riduzione dell’onere economico-patrimoniale nei confronti della platea dei destinatari costituisce l’ipotesi ordinaria (cfr. circolare Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 5 del 30 gennaio 2008).
Occorre premettere inoltre che la natura giuridica del DURC non è costitutiva del diritto a usufruire delle agevolazioni contributive, che sono previste dalla legge ma rappresenta quella di autorizzazione amministrativa al godimento delle agevolazioni. Negli ultimi due anni, un orientamento giurisprudenziale di merito ha collegato tale autorizzazione amministrativa a una serie di principi quali ragionevolezza, razionalità, irretroattività delle sanzioni, rilevamento di irregolarità sostanziali e non formali, corretta indicazione delle cause di irregolarità, proporzionalità tra irregolarità e recupero dei benefici. In questo breve contributo si intendono riportare le principali pronunce per fornire un quadro di sintesi di tali principi.
Tribunale di Roma sentenza 14 febbraio 2019, n. 1490
In tale decisione il Tribunale ha ribadito che il DURC non può essere rilasciato solo a fronte di irregolarità sostanziali che riguardino la contribuzione e non, invece, nel caso di errori commessi nella presentazione delle denunce contributive (trattasi di errori meramente formali). Infatti, non esiste alcuna norma che impedisca il rilascio del documento di fronte ad irregolarità di natura formale ove il datore di lavoro ha commesso, nella presentazione, un errore, la cui entità è peraltro modesta rispetto a quanto dovuto. In questo caso, non si può parlare di denuncia infedele od omessa. A norma dell’art. 3, comma 2, del D.M. 30 gennaio 2015, l’Istituto può rilevare solo le inadempienze già formalmente accertate e comunicate, senza che il datore abbia tempestivamente attivato i ricorsi amministrativi o giurisdizionali. Il DURC, secondo il Tribunale, non può essere negato neanche a fronte di una inadempienza sostanziale, se su questa di dibatte a livello amministrativo o giudiziale. Il sistema normativo si spiega nella direzione di favorire un bilanciamento tra la necessità di un accertamento immediato e la necessità del contribuente di non vedersi negato il documento per violazioni inesistenti e non ancora accertate.
Negare il DURC solo perché il contribuente non è stato in grado in 15 giorni di mettere capo ad una incongruenza intrinseca di qualche denuncia contributiva, oltre ad apparire illegittimo per mancanza di fondamento normativo (non essendo, peraltro, le circolari non sono fonti di diritto oggettivo: Cass. 15482/2018, n. 10595/2016), appare anche contraddittorio e non riconducibile a qualunque riconoscibile canone di razionalità e ragionevolezza. I DURC sono attestazioni di scienza e non atti autoritativi né negoziali produttivi di effetti propri; sicché, applicare ad essi la categoria dell’annullabilità (come fatto dall’INPS nel caso di specie) non ha, ad avviso del giudicante, alcun fondamento giuridico. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il mancato rilascio del DURC.
Tribunale di Milano, sentenza 8 agosto 2019, n. 1762
La fattispecie oggetto di giudizio riguardava un esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato nel corso dell’anno 2015, ai sensi dell’art. 1, commi 118 e ss., della l. n. 190/2014. All’atto di proposizione della domanda di esenzione della contribuzione e durante tutta la data del rapporto di lavoro oggetto di ricorso, il DURC era stato considerato come regolare.
In un periodo successivo, viene riscontrata un’irregolarità dall’INAIL, per un ammontare di euro 210,49. Dopo il sollecito al pagamento, il datore aveva pagato il dovuto entro il termine di 15 giorni (come prescritto dall’art. 4 del D.M. del 30 gennaio 2015). Nonostante l’irregolarità debitamente sanata nei termini imposti dalla legge, l’INPS non rilasciava un DURC regolare e, al contrario, dichiarava il datore di lavoro decaduto da tutte le agevolazioni contributive con effetto retroattivo dalla data di data assunzione.
Per il giudice milanese il diniego, in tal caso, risultava illegittimo per mancanza di un espresso fondamento normativo, oltreché contraddittorio e privo di ragionevolezza. Il giudice osserva, infatti, che i benefici contributivi sono costituiti da sgravi, collegati alla costituzione e gestione del rapporto di lavoro; rappresentano, cioè, una deroga al regime ordinario, un’agevolazione derivante dalla regolarità contributiva, sempre ispirata ai canoni di razionalità: “Il sistema normativo […] mostra di perseguire un bilanciamento tra la necessità di accertamento immediato della situazione contributiva dell’impresa e la necessità che il contribuente non si deve veder negare il DURC per inadempienze inesistenti, dando per esistenti le violazioni già accertate comunicate alla data della richiesta […] O risultanti come tali da autodichiarazioni, con atti contro i quali il contribuente non abbia quella data azionati i rimedi“.
Nella sentenza, che ha visto accogliere l’opposizione del ricorrente, si aggiunge poi che il DURC possa essere negato al datore di lavoro solo a fronte di irregolarità sostanziali, inerenti agli obblighi contributivi, non potendo il rifiuto inerire semplici errori commessi nelle denunce contributive, come previsto dal D.M. del 30 gennaio 2005, piuttosto che irregolarità di entità pressoché irrilevanti e prontamente sanate. Inoltre, l’accertata assenza del DURC determina il venir meno dei benefici de quibus solo per il relativo periodo di assenza dello stesso senza, quindi, legittimare un’efficacia retroattiva per i periodi connotati invece da regolarità contributiva.
La circolare n. 3/2017 dell’INL chiarisce che le violazioni in esame comportano, primariamente, il recupero limitatamente al lavoratore cui gli stessi benefici si riferiscono e, in secondo luogo, esclusivamente per una durata pari al periodo in cui si sia protratta la violazione. La “penalizzazione” deve riguardare, quindi, soltanto i dipendenti per i quali è stata accertata la difformità e per il solo periodo nel quale si è protratto l’accertato comportamento elusivo. L’art. 3 comma 3 del D.M. del 30 gennaio 2015 va letto nel senso che l’INPS può rilevare, in sede di rilascio del DURC, solo inadempienze che abbia già formalmente accertato e comunicato, senza che il contribuente abbia tempestivamente reagito con i prescritti rimedi amministrativi e giurisdizionali. Una diversa interpretazione del sistema integrerebbe un aggiramento del principio espresso dallo stesso D.M. e cioè che il DURC non può essere negato nemmeno per un’inadempienza contributiva sostanziale se questa è controversa in sede di contenzioso amministrativo o giudiziario.
Tribunale di Chieti, sentenza 13 novembre 2019, n. 348
La società ricorrente proponeva opposizione ad un avviso di addebito, deducendo l’inapplicabilità dell’art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006 e l’irretroattività degli effetti conseguenti alla perdita del DURC. Per le assunzioni effettuate negli anni 2015 e 2016 la società ricorrente aveva usufruito dell’esonero contributivo totale di cui all’art. 1, comma 118 della legge n. 190/2014 e all’art. 1, comma 178 della legge n. 208/2015. A luglio 2016 l’INPS ha notificato alla società ricorrente un avviso di addebito dell’importo di euro 57.269,51, relativo a contributi non versati nel mese di dicembre 2015.
Il 15 settembre 2016 la società ricorrente ha provveduto all’integrale pagamento del suddetto importo. Il 3 maggio 2018 l’INPS ha comunicato alla società ricorrente l’esistenza di una posizione di irregolarità ai fini del rilascio del DURC, riferita proprio al suddetto avviso di addebito, invitandola al pagamento dell’importo di euro 1.569,64, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.M. 30 gennaio 2015. È pacifico che l’importo in questione si riferisse ai compensi per la riscossione del credito di cui all’avviso di addebito precedente. Il 27 giugno 2018 la società ricorrente ha pagato la somma richiesta a titolo di compensi di riscossione. Nonostante l’avvenuto integrale pagamento, tanto dei contributi (il 15 settembre 2016) quanto dei compensi di riscossione (il 27 giugno 2018), l’INPS ha considerato la società ricorrente non regolare ai fini del rilascio del DURC, revocando il beneficio dell’esonero contributivo di cui la società ricorrente ha goduto per le assunzioni effettuate negli anni 2015 e 2016 e notificando l’avviso di addebito opposto in giudizio.
Nella sentenza, che accoglie il ricorso del datore di lavoro, si riporta che l’’esame complessivo della disciplina che regola la materia, porta ad affermare che il diniego del DURC sia legittimo solo a fronte di irregolarità sostanziali e relative all’omesso versamento dei contributi, ipotesi, questa, che non ricorre nel caso di specie, in cui l’inadempimento della società ricorrente riguarda unicamente i compensi di riscossione e non anche i contributi.
Viene evidenziato poi che l’avviso a regolarizzare del 3 maggio 2018, non conteneva alcuna analitica indicazione delle cause di irregolarità riscontrate dall’INPS, limitandosi ad un generico richiamo all’avviso di addebito precedente, integralmente pagato dalla società ricorrente.
La società ricorrente, infatti, proprio a causa della mancata specificazione dell’INPS, ha riscontrato difficoltà, sia nel ricostruire le ragioni della irregolarità contestata dall’Istituto previdenziale, sia nell’esecuzione del pagamento, al quale la società ha prontamente provveduto non appena in possesso delle necessarie informazioni. È stata affermata l’illegittimità della revoca degli esoneri e delle agevolazioni contributive di cui la società ha legittimamente goduto nel periodo gennaio 2015- febbraio2018, periodo in cui la stessa doveva considerarsi regolare ai fini del rilascio del DURC. Dunque, il ricorso è stato accolto ed è stata dichiarata l’illegittimità dell’avviso di addebito. condanna l’INPS al rimborso in favore della società ricorrente delle spese di lite.
Tribunale di Chieti, sentenza 2 novembre 2020, n. 276
Con ricorso depositato il 18 ottobre 2019, la società proponeva opposizione ad un avviso di addebito dell’importo complessivo di euro 5.331,69, riferito al periodo contributivo dall’agosto 2018 al dicembre 2018, notificato in data 30 settembre 2019, premettendo di aver usufruito del c.d. esonero contributivo triennale previsto dall’art. 1, comma 118 della legge n. 190/2014, e di aver già ricevuto il primo luglio 2016 l’avviso di addebito, relativo al mancato pagamento di parte dei contributi previdenziali relativi al mese di dicembre 2015 e di aver versato le somme ivi ingiunte il 15 settembre 2016.
Il ricorrente deduceva di aver ricevuto, in data 3 maggio 2018, un invito a regolarizzare, avente ad oggetto ulteriori somme senza alcuna specificazione del titolo di credito ma con riferimento ancora al precedente avviso di addebito già saldato, per un importo pari ad euro 1.569,64 che sarebbe stato pagato solo il 27 giugno 2018. L’azienda deduceva poi che il 3 dicembre 2018, l’INPS le aveva notificato invito a regolarizzare e un avviso di addebito dell’importo complessivo di euro 64.110,29, avente ad oggetto la revoca delle agevolazioni contributive fruite dalla società per il periodo dal dicembre 2015 al febbraio 2018.
Dunque, per l’azienda la revoca delle agevolazioni contributive ex art. 1, comma 1175 della L. 296/2006 non era applicabile al caso di specie e che la perdita dei benefici non avrebbe potuto essere comunque superiore all’inadempienza contributiva rilevata, ovvero euro 1.569,64, in virtù dell’applicazione dell’art. 6, comma 10 del decreto-legge n. 338/1989 (cd. norma calmieratrice).
Il giudice ha ritenuto che una corretta interpretazione dell’art. 1 comma 1175 della l. 296/2006 impedisca per il futuro la fruizione di sgravi contributivi alle aziende che, per irregolarità contestate, non abbiano ottenuto il rilascio del DURC ovvero siano state oggetto di accertamento, ma non possa legittimare il recupero di sgravi fruiti prima che l’irregolarità venisse accertata o sulla base di DURC precedentemente emessi.
Inoltre, solo all’esito della procedura dettata dall’art. 4 del D.M. 30 gennaio del 2015 (invito a regolarizzare e possibilità di adempiere entro 15 giorni per l’interessato), l’INPS avrebbe potuto, ai sensi dell’art. 1 comma 1175 della 1. n. 296 del 2006 disconoscere, per il futuro, i benefici contributivi ai quali il contribuente sarebbe ammesso, altrimenti, a godere non potendo, invece, chiedere la restituzione di benefici già goduti in passato in presenza di irregolarità che non abbiano condotto al diniego di rilascio del DURC.
È stato, infine, riscontrato effettivamente che la diffida fosse priva di un’analitica e dettagliata descrizione del titolo della irregolarità. Il giudice ha accolto l’opposizione proposta avverso l’avviso di addebito, dichiarando illegittima l’iscrizione a ruolo del debito ivi contestato e ha condannato l’INPS al pagamento delle spese.
Corte di Appello di Bari, sentenza 22 marzo 2021, n. 599 (pubblicata il 21 maggio 2021)
Questa recente sentenza ha affermato nuovamente la vigenza nel nostro ordinamento dell’art. 6, comma 10 del decreto-legge n. 338/1989, la c.d. norma calmieratrice, che sancisce il principio di proporzionalità tra omissione retributiva/contributiva e perdita dell’agevolazione. Tale norma, a giudizio della Corte di Appello barese, non è mai stata espressamente abrogata, così come l’intero sistema regolatore fissato dalla normativa del 1989 (tesi sostenuta dall’INPS).
Si legge infatti che “avuto riguardo all’art. 15 Preleggi, tra i riferimenti normativi elencati dall’INPS, per come prospettati, non è dato apprezzare la sussistenza di una legge successiva incompatibile con la precedente o che abbia disciplinato per intero la materia già regolata dalla legge anteriore”. Dunque, con quest’ultima decisione, viene ribadito che la perdita della riduzione non può superare il maggior importo tra contribuzione omessa e retribuzione non corrisposta.
Conclusioni
Da questa breve rassegna giurisprudenziale, emerge una tendenza diffusa dei differenti tribunali italiani nel pronunciarsi per richiedere il rispetto di una serie di principi talvolta trascurati dagli istituti previdenziali. Una domanda, più che un’affermazione, è d’obbligo: il DURC è lo strumento per sanzionare chi, con intento fraudolento, evade la contribuzione dovuta, o un atto di cui servirsi per effettuare un mero controllo burocratico, che finisce talvolta con la richiesta della restituzione dei benefici contributivi anche a chi commette errori puramente formali o di modesta entità? A parere di chi scrive, la risposta non può che essere orientata sulla prima ipotesi. Anche perché è il medesimo D.M. 30 gennaio 2015 che all’art. 3 sancisce il c.d. principio di scostamento non grave, cioè quel principio in base al quale non bisogna considerare grave la differenza tra le somme dovute e quelle versate, pari o inferiore ad euro 150,00 comprensivi di eventuali accessori di legge con riferimento a ciascuna gestione previdenziale.
Si ritiene, pertanto, che un rilascio maggiormente razionalizzato e ponderato dei DURC, adeguato ai principi espressi dalle sentenze sopra citate, comporterebbe una forte riduzione del contenzioso amministrativo con un risparmio di denaro e di risorse da parte della pubblica amministrazione oltre che delle imprese ricorrenti.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena