Agevolazioni per l’assunzione dei lavoratori svantaggiati. Quale tutela dell’occupabilità?

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Bollettino ADAPT 30 maggio 2022, n. 21
 
I dati Istat diffusi a maggio 2022, sulla crescita del numero di occupati (133.000 occupati in più nel primo trimestre, +0,6% rispetto al precedente trimestre), senz’altro positivi, inducono tuttavia qualche riflessione sul ruolo del legislatore nel supportare i nuovi inserimenti al lavoro in relazione alle fasce più deboli del mercato, che in un contesto economico comunque delicato potrebbero risultare marginalizzate nei prossimi trend occupazionali.
 
Come è noto, il quadro delle agevolazioni fruibili dalle imprese intenzionate ad assumere nuovo personale è attualmente piuttosto ampio, articolato e sostanzialmente orientato a stimolare soprattutto l’inserimento di soggetti c.d. svantaggiati, secondo l’ampia nozione riportata dall’art. 2 lettera k) del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003.  La norma, richiamando larticolo  2,  lettera  f),  del regolamento (CE) n. 2204/2002  nonché l’articolo 4, comma 1, della legge 8 novembre 1991, n. 381, include i giovani con meno di 25 anni, gli inoccupati e disoccupati, le donne, gli ultracinquantenni, gli invalidi fisici e psichici, varie altre categorie di persone ritenute in “difficoltà ad entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro”. La regolamentazione agevolativa vigente, che si compone sia di alcune formule strutturali sia, in misura prevalente, di numerose formule temporanee, favorisce infatti l’assunzione di giovani fino a 29 anni di età (apprendistato professionalizzante) od a 25 anni di età (apprendistato di primo livello), di giovani fino a 36 anni mai occupati a tempo indeterminato (art.1 commi da 10 a 15 della Legge n.178/2020), di genitori fino a 35 anni in cerca di occupazione stabile (DM 19 novembre 2010), di lavoratori a termine stabilizzati (Legge n.147/2013, art.1 comma 135), di lavoratori assunti in sostituzione maternità nelle microimprese (art.4 comma 3 del D.Lgs. n.151/2001), di persone prive di occupazione (apprendistato senza limiti di età, percettori di Naspi, percettori del reddito di cittadinanza), di donne svantaggiate e di uomini e donne con almeno 50 anni (art.4 commi da 8 a 11 della Legge 92/2012), di disabili (art.10 del D.Lgs. n.151/2015 e art.13 della Legge n.68/1999), di cassintegrati da almeno 3 mesi (art.4 comma 3 del D.L. n.148/1993).
 
A queste misure nazionali si aggiungono le agevolazioni regionali, anch’esse finalizzate in misura consistente (ad es. il sistema Dote Unica di Regione Lombardia, nelle sue molteplici declinazioni) all’inclusione lavorativa delle categorie svantaggiate. Un insieme di norme mutevole e complesso per requisiti soggettivi ed oggettivi, procedure di accesso, entità e natura del beneficio, compatibilità/incompatibilità con altre misure, ma complessivamente orientato a tutelare i lavoratori intervenendo sostanzialmente sulla modalità contrattuale dell’inserimento al lavoro. Tutte le formule elencate presuppongono infatti, per la fruizione completa o parziale del beneficio, l’instaurazione di un rapporto di lavoro in forma subordinata a tempo pieno ed indeterminato o comunque di lunga durata. Sembra essere questa la principale caratteristica ricorrente del vigente regime di agevolazioni, che seppure con diverse declinazioni incentiva soprattutto i datori di lavoro che offrono una occupazione stabile ai lavoratori svantaggiati, in quanto ritenuti altrimenti probabili destinatari di soluzioni lavorative con orario ridotto, a tempo determinato o comunque con maggiore esposizione al rischio di interruzione.
 
L’attenzione al contratto di lavoro è un aspetto rinvenibile anche nelle disposizioni che solo indirettamente supportano il mercato del lavoro. Si consideri ad esempio la “somministrazione a termine”, formula di inserimento al lavoro non standard ma che può rappresentare un percorso di accesso al lavoro dipendente a tempo indeterminato con le imprese utilizzatrici. Sia le “misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato” di cui all’art.13 del D.Lgs. n.276 del 10 settembre 2003, sia l’art.31 comma 2 del D.Lgs. n.81 del 15 giugno 2015, sia l’art.3 del CCNL Assolavoro-Felsa, Nidil, Uiltemp del 21 dicembre 2018 agevolano con varie soluzioni tecniche le Agenzie somministratrici nell’assunzione e nell’invio in missione di personale in situazione di svantaggio sociale, intervenendo sostanzialmente sui contenuti del contratto tra Agenzia e lavoratore e tra Agenzia e utilizzatore.
 
Sembra quindi evidente un generale orientamento, nella regolamentazione agevolativa del mercato del lavoro affermatasi in applicazione del disposto del D.Lgs. n.276 del 10 settembre 2003, sia legale sia contrattuale collettiva, verso:

– un approccio sistematicamente incentrato sul  rapporto contrattuale instaurato tra il lavoratore e il datore di lavoro, come discriminante per il riconoscimento della agevolazioni;

– il sostegno alla stabilità del rapporto, considerando la natura subordinata a tempo pieno e indeterminato un elemento di maggiore valorizzazione del rapporto di lavoro, secondo una impostazione da sempre presente nell’ordinamento lavoristico nazionale, ancorché affermata, in diversi periodi, con maggiore/minore intensità.
 
In riferimento ai lavoratori svantaggiati, il rapporto contrattuale a tempo pieno e stabile è di più ardua realizzazione, quindi da sostenere con un regime di specifiche incentivazioni, in aggiunta ai vincoli eventualmente previsti per alcune particolari tipologie di prestatori. Si consideri ad esempio il lavoro dei disabili, che la Legge n.68 del 12 marzo 1999 e le molte norme successive e correlate sostengono integrando gli obblighi e le sanzioni con apposite agevolazioni.
 
Ma è questa la modalità più efficace per dare supporto alle categorie svantaggiate?
 
Ciò che sembra difettare, nell’intero quadro normativo progressivamente sviluppatosi secondo questo approccio, è forse un apprezzamento della qualità degli inserimenti al lavoro, ulteriore rispetto al profilo contrattuale. Le misure agevolative sopra richiamate, limitandosi a valorizzare i contratti di lavoro subordinato a tempo pieno, indeterminato o comunque di lunga durata, prescindono da molteplici altre caratteristiche del rapporto, che in svariati contesti possono in realtà rappresentare un elemento molto più efficace di tutela sia dell’occupabilità sia dell’occupazione del prestatore di lavoro appartenente a una fascia debole. Non rilevano infatti, nella regolamentazione vigente, la mansione effettivamente svolta, gli interventi di formazione continua disponibili, la polivalenza del ruolo, la possibilità di maturare esperienze con trasferte-trasferimenti-distacchi, le relazioni inter-funzionali, le prospettive di crescita professionale etc. Elementi che possono essere oggettivamente desunti in parte (mansione, inquadramento) dalla documentazione contrattuale obbligatoria rilasciata all’atto dell’assunzione, in parte (ad es. la qualifica professionale) dalle  comunicazioni amministrative obbligatorie afferenti il rapporto di lavoro in quanto riportate nei quadri che compongono le attuali COB, in parte (ad esempio il passaggio a livello di inquadramento superiore) dalle comunicazioni di variazione del rapporto di lavoro ex art.3 del D.Lgs. n.152/1997, per il resto da semplici rendicontazioni aggiuntive eventualmente richiedibili al datore di lavoro. Questi aspetti possono probabilmente risultare talora più utili, per la tutela occupazionale del personale svantaggiato, rispetto alla mera assegnazione formale di un rapporto a tempo indeterminato. Si considerino peraltro sia l’avvenuto affievolimento delle previgenti rigidità normative, avverso i recessi dai rapporti di lavoro, derivante dal D.Lgs. n.23 del 4 marzo 2015 sia, più in generale, la sempre maggiore incertezza dell’andamento economico internazionale.
 
Il recente susseguirsi degli effetti della Pandemia da Covid – 19, delle criticità indotte dai costi energetici, dalla carenza di materie prime, rappresentano una indubbia conferma dell’esposizione continua del sistema economico a evoluzioni improvvise di grande portata, difficilmente prevedibili e contrastabili, inevitabilmente impattanti sulle dinamiche occupazionali. Come è noto agli operatori del mercato del lavoro, la tutela dell’occupazione oramai sempre più si fonda sul sostegno all’occupabilità, per favorire le transizioni da un contesto lavorativo all’altro. Un aspetto che tuttavia la disciplina delle agevolazioni a sostegno delle categorie deboli del mercato del lavoro non sembra ancora considerare. Forse i prossimi interventi legislativi, che dovranno comunque gestire la fase di ripresa del mercato del lavoro post-pandemica e post-crisi internazionale, potrebbero essere l’occasione per sviluppare in qualche modo – con misure innovative rispetto all’attuale approccio – anche formule mirate ad una valorizzazione degli inserimenti al lavoro non semplicemente stabili, ma di effettiva qualità.
 
Stefano Malandrini

Confindustria Bergamo

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