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L’Indagine conoscitiva sul funzionamento dei servizi pubblici per l’impiego promossa dalla Commissione Lavoro del Senato nel corso della XVIII Legislatura ha il merito di avere riportato l’attenzione sul rilevante tema dei servizi per il lavoro. Tuttavia, è opportuno sottolineare che tale impostazione, ossia il focus sui soli servizi pubblici per l’impiego, rischia di alimentare una antica, e certo anacronistica, contrapposizione tra operatori pubblici e privati. È infatti bene ricordare che, almeno a partire dal decreto legislativo n. 469/1997, con il quale si è superato il monopolio pubblico del collocamento, è chiaro che tale attività non è più una «funzione pubblica», riservata a Stato o Regioni, ma è un «servizio pubblico» che, come tale, è definito dagli attori pubblici, ma può essere reso anche da soggetti privati purché autorizzati o accreditati ai sensi della normativa vigente.
Se è profondo e costante il monitoraggio dei centri per l’impiego (prima svolto dall’ISFOL ed ora da ANPAL in collaborazione con INAPP), poco è stato invece fatto per comprendere la multiforme realtà degli operatori privati autorizzati e/o accreditati. Eppure basterebbe svolgere una rapida analisi dell’albo informatico delle agenzie per il lavoro tenuto presso ANPAL per accorgersi di talune evidenti anomalie che caratterizzano l’Italia rispetto non solo al contesto internazionale e comparato ma anche alle logiche di sistema sottese all’impianto di organizzazione e disciplina del mercato del lavoro definito dalla legislazione vigente (legge Biagi – d.lgs. n. 276/2003 e Jobs Act – d.lgs. n. 150/2015).
L’inquadramento del sistema dei servizi per il lavoro
In Italia l’attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro (in senso ampio) non può essere liberamente svolta da intermediari privati, in quanto permangono da un lato il divieto di mediazione, rimanendo infatti in vigore l’articolo 11, comma 1, della legge n. 264/1949 che appunto vieta l’esercizio dell’attività di mediazione se non svolta da uffici autorizzati, e dall’altro il divieto di somministrazione, anche dopo l’abrogazione della legge n. 1369/1960, poiché è prevista dall’articolo 18 del decreto legislativo n. 276/2003 una sanzione di rilevanza penale in caso di svolgimento non autorizzato delle attività in somministrazione. In entrambi i casi, la normativa permette di derogare ai generali divieti attraverso l’autorizzazione, quale provvedimento amministrativo che rimuove il limite imposto per ragioni di interesse pubblico, consentendo di svolgere una attività altrimenti vietata (sia consentito rinviare in generale, su questi temi, a S. Spattini, Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo-contrattualismo. Analisi storico-comparata dei sistemi di regolazione e governo attivo del mercato, Giuffrè, Milano, Collana ADAPT-Fondazione “Marco Biagi”, 2008, n. 16).
Con particolare riferimento all’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro (ossia il corrispondente moderno del collocamento), non è più da tempo, come anticipato, una «funzione pubblica», riservata a Stato o Regioni, ma è un «servizio pubblico» che, come tale, è definito dagli attori pubblici, ma può essere reso anche da soggetti privati purché autorizzati o accreditati ai sensi della normativa vigente (con riferimento al sistema degli accreditamenti, si rimanda a ADAPT, Politiche attive: il tassello (mancante) dei regimi di accreditamento, Working Paper ADAPT, 10 giugno 2015, n. 180).
La regolazione del mercato del lavoro italiano è infatti riconducibile al modello di coesistenza regolata tra operatori pubblici e privati per l’impiego, dove ai soggetti privati è consentito di operare nel mercato soltanto se in possesso dell’apposita autorizzazione, rilasciata a seguito di verifica della sussistenza di specifici requisiti stabiliti dalla normativa (articoli 4, 5 e 6, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276).
La governance del mercato del lavoro non è, tuttavia, soltanto ispirata alla compresenza di operatori pubblici e privati, ma anche all’idea del loro «coordinamento e raccordo […] al fine di un migliore funzionamento del mercato del lavoro» (art. 3, comma 2, lett. c), decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ancora vigente). In linea con la filosofia comunitaria e internazionale (Commissione europea, Modernizzare i servizi pubblici per l’impiego per sostenere la Strategia europea per l’occupazione, COM (1998)641, 16-17; Raccomandazione ILO n. 188 del 1997), la coesistenza è improntata prevalentemente alla cooperazione tra soggetti pubblici e privati, piuttosto che alla complementarietà o alla concorrenza, connaturata comunque alla coesistenza.
Il sistema di regolamentazione e organizzazione del mercato del lavoro non è stato messo in discussione dagli ultimi interventi in materia di servizi per l’impiego e politiche attive per il lavoro ad opera del decreto legislativo n. 150/2015. Infatti, mentre sono stati ridisegnati il segmento pubblico dei servizi per l’impiego e la gestione dell’erogazione di servizi e misure di politica attiva per il lavoro, è stata lasciata sostanzialmente invariata la disciplina del segmento privato (solo marginalmente toccata), confermando il riconoscimento del ruolo dei privati nel mercato del lavoro, innanzitutto, includendoli nella rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro.
Le attività oggetto di autorizzazione
Come anticipato, le attività che in senso ampio riguardano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non sono attività libere, infatti, il decreto legislativo n. 276/2003 ha stabilito (art. 4, comma 1) che le attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione di personale e di supporto alla ricollocazione professionale possano essere svolte soltanto da soggetti in possesso di apposita autorizzazione, rilasciata a seguito di una rigorosa selezione.
Nel mercato del lavoro italiano, queste attività possono essere svolte (con dei distinguo) da diversi soggetti pubblici e privati. Per alcuni di essi, tali funzioni rappresentano le loro attività tipiche, mentre per altri sono soltanto complementari alle attività principali.
Gli operatori del mercato del lavoro
Gli attori pubblici che in primis svolgono l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro sono i centri per l’impiego.
Ma accanto ad essi, altri soggetti pubblici posso operare nel mercato del lavoro sulla base di una autorizzazione, alle condizioni stabilite dal decreto legislativo n. 276/2003, si tratta di: università; istituti di scuola secondaria di secondo grado; comuni ovvero unioni di comuni e comunità montane; camere di commercio (si deve ricordare per completezza anche l’ENPALS, confluito tuttavia nell’INPS). Essi possono essere autorizzati a svolgere, in particolare, attività di intermediazione, che non svolgono a fine di lucro e non costituire la loro attività principale, bensì attività complementare alle loro attività tipiche.
Anche nell’ambito degli operatori privati, si distinguono soggetti che svolgono professionalmente l’attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro, da altri soggetti autorizzabili, per i quali tale attività configura un servizio aggiuntivo e complementare alla loro attività principali.
Sono operatori professionisti dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro le agenzie per il lavoro (nello specifico agenzie di somministrazione di lavoro, di intermediazione, di ricerca e selezione di personale e di ricollocazione professionale) autorizzate e iscritte all’albo informatico ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 276/2003.
Ad esse si aggiungono tutti gli altri soggetti privati autorizzati e iscritti all’albo informatico in regime particolare ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 276/2003. Le categorie di soggetti autorizzabili in questo ambito sono: le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; i patronati; gli enti bilaterali; le associazioni senza fini di lucro aventi come oggetto sociale la tutela del lavoro, l’assistenza e promozione delle attività imprenditoriali, la progettazione e l’erogazione di percorsi formativi e di alternanza, la tutela della disabilità; i gestori di siti internet che svolgano l’attività senza finalità di lucro, nonché l’ordine dei consulenti del lavoro che ha costituito a tal fine una fondazione.
Segue: I numeri
In Italia sono presenti 501 Centri per l’impiego (il Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017 dell’ANPAL li classifica come 501 principali, a cui si aggiungono 51 sedi secondarie e 288 sedi distaccate o sportelli territoriali), che, a seguito del decreto legislativo n. 150/2015, sono stati affidati alle Regioni.
Il conteggio dei soggetti autorizzati (sia pubblici sia privati) può essere effettuato attraverso la consultazione dell’albo informatico delle agenzie per il lavoro tenuto presso ANPAL, che si compone di diverse sezioni, una dedicata a ciascuna tipologia di attività oggetto di autorizzazione. Dall’analisi dell’albo, risulta la situazione rappresentata nella Tabella 1.
Tabella 1
Tipologia di attività autorizzata | N. soggetti autorizzati |
Attività di somministrazione di tipo generalista | 107 |
Attività di somministrazione di tipo specialista | 8 |
Attività di intermediazione | |
Regime ordinario (art. 4, d. lgs. 276/2003, con fine di lucro) | 9 |
Regime particolare (art. 6, d. lgs. 276/2003, senza fine di lucro) | 2526 |
Autorizzazione regionale | 55 |
Attività di ricerca e selezione del personale | 822 |
Attività di supporto alla ricollocazione | 156 |
Fonte: Albo informatico delle agenzie per il lavoro – Sito ANPAL. Nostre elaborazioni
Sono 107 le agenzie di somministrazione di tipo specialista autorizzate alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e indeterminato.
In Europa sono conteggiate in totale 75.800 agenzie private (WEC, Economic Report. Enabling work, Adaptation, Security & Prosperity, 2018 edition, 17). Dal confronto internazionale (Tabella 2), emerge la limitatezza del numero delle agenzie di somministrazione presenti in Italia. La spiegazione risiede sicuramente nel fatto che la legislazione italiana ha requisiti molto severi con riferimento all’acquisizione della relativa autorizzazione, che costituisce pertanto una elevata barriera all’entrata a tale mercato e determina una limitata concorrenza.
Tabella 2
Paese | Numero di agenzie |
Regno Unito | 24.155* |
Germania | 11.494* |
Francia | 1.500* |
Giappone | 20.000** |
Stati Uniti | 17.340** |
Fonte: *Dati 2017 Staffing Insutries Analysts; **Dati 2013 WEC
Le agenzie di somministrazione c.d. di tipo specialista, ossia autorizzate alla sola somministrazione di lavoro a tempo indeterminato per una delle attività di cui all’articolo 20, comma 3, lettere da a) a h), rappresentano una categoria che potremmo definire “residuale”,
poiché il riferimento normativo su cui si basano è ormai abrogato, quindi sarebbe difficile, senza interventi sulla disposizione, poter rilasciare altre autorizzazione riconducibili a tale tipologia. A ben vedere si lascia in parte scoperto un ambito molto specialistico, infatti i requisiti finanziari per l’ottenimento di questa tipologia di autorizzazione erano ridotti rispetto alle agenzie specialiste (che possono svolgere somministrazione a tempo indeterminato), proprio perché la loro operatività era limitata ad una sola attività e l’obiettivo era introdurre nel mercato operatori specializzati alla fornitura di manodopera per attività generalmente svolte in appalto (Cfr. S. Spattini, Mercato della somministrazione e tutele dei lavoratori, in V. Ferro, M. Menegotto, F. Seghezzi (a cura di), Il lavoro temporaneo tra contratti a termine e somministrazione. Prima analisi in vista del c.d. decreto dignità, ADAPT University Press, Modena, ADAPT Labour Studies e-Book series, 2018, n. 72, 7-12, spec. 11).
Con riferimento ai soggetti autorizzati all’attività di intermediazione, sono soltanto 9 quelli autorizzati in regime ordinario. Dato sorprendente se comparato ai 2526 autorizzati in regime particolare e senza fine di lucro oppure agli 822 soggetti autorizzati all’attività di ricerca e selezione.
L’ultima sezione dell’albo è dedicata alle agenzie di supporto alla ricollocazione professionale, che risultano essere 156.
Segue: Le dinamiche dei numeri
Pare interessante approfondire le ragioni della consistenza dei numeri relativi alle diverse tipologie di soggetti autorizzati.
Innanzitutto, ci si interroga sul motivo dell’enorme differenza tra il numero di soggetti autorizzati all’attività di intermediazione in regime ordinario (ai sensi dell’art. 4, del d. lgs. n. 276/2003) e in regime particolare (ai sensi dell’art. 6, del d. lgs. n. 276/2003). È evidente che i requisiti da soddisfare nell’ambito del regime particolare sono minimi rispetto a quelli del regime ordinario. Non ci sono requisiti economici e in sostanza è sufficiente la comunicazione al Ministero del lavoro e la richiesta di iscrizione all’albo. Ovviamente le tue tipologie di autorizzazione non sono indifferenti, i presupposti sono profondamente diversi perché nel caso del regime ordinario le agenzie svolgono tale attività professionalmente e a fine di lucro, mentre per loro natura i soggetti autorizzati in regime particolare svolgono l’attività di intermediazione a complemento e completamento della loro attività principale, oltre che svolgerla senza scopo di lucro.
La sproporzione di soggetti autorizzati in regime particolare rispetto al regime ordinario lascia qualche sospetto circa la completa genuinità della loro collocazione nell’ambito dei soggetti autorizzati in regime particolare.
Con riferimento invece alla grande differenza di numero tra soggetti autorizzati all’intermediazione e alla ricerca e selezione, emerge chiaramente dal confronto (Tabella 3), come i requisiti per l’ottenimento dell’autorizzazione all’attività di ricerca e selezione siano molto meno restrittivi di quelli richiesti per l’attività di intermediazione, in particolare il capitale versato richiesto è la metà e non è prevista una diffusione territoriale minima.
Tabella 3
Intermediazione | Ricerca e selezione | |
Capitale versato | – 50.000, 00 euro | – 25.000, 00 euro |
Diffusione territoriale | – 4 regioni | – non richiesto |
Oggetto sociale | – indicazione nello statuto come prevalente | – indicazione nello statuto (né prevalente, né esclusivo) |
Questo dato comincia a chiarire le ragioni della differenza 9 a 822 tra il numero di soggetti autorizzati all’intermediazione e di quelli autorizzati alla ricerca e selezione e lascia più di qualche dubbio sul fatto che tutti i soggetti autorizzati a svolgere attività di ricerca e selezione si limitino strettamente alle attività rientranti nella relativa definizione normativa, senza invadere l’ambito dell’intermediazione.
Diventano allora rilevanti le definizioni legali di intermediazione e ricerca e selezione, ancora affidate all’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 276/2003, rispettivamente alla lett. b) e c). L’intermediazione è «l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all’inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra l’altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività di intermediazione; dell’orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo». La ricerca e selezione del personale è invece definita come «l’attività di consulenza di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza dell’organizzazione committente, attraverso l’individuazione di candidature idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative in seno all’organizzazione medesima, su specifico incarico della stessa, e comprensiva di: analisi del contesto organizzativo dell’organizzazione committente; individuazione e definizione delle esigenze della stessa; definizione del profilo di competenze e di capacità della candidatura ideale; pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle candidature attraverso una pluralità di canali di reclutamento; valutazione delle candidature individuate attraverso appropriati strumenti selettivi; formazione della rosa di candidature maggiormente idonee; progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo; assistenza nella fase di inserimento dei candidati; verifica e valutazione dell’inserimento e del potenziale dei candidati».
A livello di definizione normativa delle attività di intermediazione e ricerca e selezione del personale, l’elemento distintivo tra le due attività che caratterizza l’attività di intermediazione è rappresentato dalla raccolta di curricula (indipendentemente dalla risposta ad annunci di lavoro) e dalla costruzione di una banca dati dei CV dei lavoratori. Nell’ambito dell’attività di ricerca e selezione del personale, invece, l’attività dell’agenzia è volta a compiere ricerche di personale su incarico del committente, attraverso l’organizzazione di piani di reclutamento calibrati sulla ricerca, consistenti tra l’altro in pubblicazione e diffusione di annunci di lavoro. In questo ambito, la raccolta delle candidature e dei relativi CV è possibile soltanto in risposta alle specifiche campagne e sono da utilizzare ai fini della stessa, mentre non “sarebbe” (rectius è) possibile raccogliere CV indipendentemente dalle ricerche di personale in atto e costituirne una banca dati, in quanto queste attività costruirebbero attività di intermediazione, per la quale, tuttavia, non hanno ottenuto autorizzazione.
A legislazione invariata la verifica dell’attività delle agenzie di ricerca e selezione e di intermediazione è rilevante, poiché, come detto i requisiti per acquisire la relativa autorizzazione sono alquanto differenti. Tuttavia, invece di tollerare una prassi di fatto illegale, a 15 anni dalla definizione del regime di autorizzazioni, il mondo è cambiato, il mercato dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro è più maturo e forse è giunta l’ora di una parziale revisione del regime autorizzatorio. Il vero discrimine è tra intermediazione e interposizione, cioè tra soggetti che si limitano a mettere in contatto datori di lavoratori e lavoratori e soggetti che si frappongono e assumono la titolarità del rapporto di lavoro (agenzie di somministrazione). Si potrebbero allora individuare due tipologie di autorizzazione: una per l’attività di somministrazione (che potrebbe mantenere gli attuali requisiti) e una per le restanti attività oggetto di una autorizzazione, per la quale non dovrebbe essere presente il requisito territoriale, dato che attualmente molta parte di questa attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro avviene online. Questo sarebbe, peraltro, occasione per valutare quale delle nuove piattaforma che che facilitano l’incontro tra domanda ed offerta di servizi dovrebbe ricadere all’interno dell’intermediazione di lavoro.
I numeri e il funzionamento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro
Nell’ottica del funzionamento del mercato del lavoro e del sistema dei servizi per l’impiego, rileva ricordare che l’attività di intermediazione, cioè di mediazione tra domanda e offerta di lavoro può essere svolta lecitamente e professionalmente, oltre che dai centri per l’impiego (501), soltanto dalle agenzie di intermediazione (9) e dalle agenzie di somministrazione (107), la cui autorizzazione consente di svolgere anche l’attività di intermediazione, non invece dalle agenzie di ricerca e selezione.
Benché non si possa pensare che tutti gli incontri tra domanda e offerta di lavoro possano avvenire attraverso operatori professionali del mercato del lavoro e che il buon funzionamento di tale incontro risolva i problemi del mercato del lavoro, tuttavia il limitato numero totale di detti operatori non può che incidere negativamente sulla trasparenza del mercato, nonché sulla qualità degli incontri. Gli operatori, infatti, facilitano gli incontri, favorendo la circolazione e diffusione delle informazioni relative alle ricerche di personale e ai profili dei lavoratori e contribuiscono a migliorarne la qualità, favorendo a soddisfare il bisogno professionale dell’impresa con il lavoratore più adeguato per le sue competenze ed esperienze per quel posto di lavoro.
Inoltre, è generalmente riconosciuto che l’efficienza dei servizi per l’impiego siano una garanzia di efficacia dell’implementazione delle politiche attive per il lavoro, che nell’ottica del «servizio pubblico» non sono necessariamente soltanto attuate dai centri per l’impiego, ma anche da soggetti privati autorizzati o accreditati.
È allora evidente la rilevanza di un sistema dei servizi per l’impiego che da un lato sostenga la circolazione delle informazioni e contribuisca attivamente all’intermediazione per una migliore qualità dell’incontro e dall’altro lato implementi efficacemente le politiche attive per il lavoro. Questo sistema non può che integrare operatori pubblici e privati, ottimizzando le risorse operanti sui territori e incrementando la collaborazione.
In realtà, dovremmo già guardare oltre questo step, poiché l’incontro tra domanda e offerta del lavoro non è più il collocamento del Novecento industriale, ma deve fare i conti con la c.d. grande trasformazione del lavoro e la prospettiva dell’impresa 4.0, che implicano da un lato supportare i lavoratori nelle fasi di transizione (passando per periodo di disoccupazione e riqualificazione) e dall’altro reperire e, anche, formare profili adeguati ai nuovi lavori.
Direttore ADAPT
ADAPT Senior Fellow