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Con la recente campagna elettorale, conclusasi con le elezioni politiche dello scorso 4 marzo, ha avuto al centro del dibattito la tematica del così detto “reddito di cittadinanza”, in particolare nella versione proposta dal Movimento Cinque Stelle attraverso il Disegno di Legge n. 1148 per l’“Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo”. Il testo presentato al Senato dai 5 stelle nella scorsa legislatura prevedrebbe in realtà l’introduzione nel nostro ordinamento non tanto di un “reddito di cittadinanza”, ma bensì di quello che viene in generale definito “reddito minimo garantito”, attraverso un meccanismo finalizzato – grazie a l’integrazione del reddito esistente o l’erogazione di un reddito tout court – a garantire a tutti i nuclei famigliari il superamento della “soglia di povertà”.
Le dimensioni di analisi da prendere in considerazione nell’esame della proposta del reddito di cittadinanza sono tre:
- la prima di carattere economico-finanziario, riguardante l’impatto sul bilancio pubblico e la sostenibilità stessa di tale misura;
- la seconda che può essere definita di natura etico-filosofica, riferita alla valutazione dell’equità e dell’utilità per l’individuo e per la società di garantire a una consistente parte della popolazione attiva un sostentamento economico senza limiti temporali e totalmente sconnesso da elementi di assicurazione sociale del lavoratore;
- la terza attinente ai meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, nello specifico con riferimento al nesso tra l’erogazione del sussidio e le misure di politica attiva del lavoro.
La finalità del presente articolo è quella di analizzare il terzo degli elementi sopra citati, in particolare attraverso la disamina delle previsioni contenute nella proposta di legge e il confronto di queste ultime con la normativa attualmente vigente.
Il primo aspetto preso in considerazione riguarda gli enti a cui la proposta di legge demanda le funzioni la cui esplicazione è necessaria per il raggiungimento delle finalità previste in materia di politiche attive: nello specifico, l’articolo 5 assegna un ruolo strategico al centro per l’impiego (definito “la struttura che ha il ruolo di regia”) attribuendogli i seguenti compiti:
- ricevere le domande di accesso al reddito di cittadinanza, prendere in carico tutti i soggetti previsti dalla norma e gestire le relative procedure;
- coordinare le attività degli enti che partecipano allo svolgimento dei procedimenti e raccoglierne i pareri;
- registrare – al fine dell’implementazione del libretto formativo elettronico del cittadino e del fascicolo personale elettronico del cittadino – della scheda anagrafico-professionale del cittadino nel sistema informatico nazionale per l’impiego.
La norma proposta riconosce ulteriori compiti – ad integrazione e supporto del ruolo dei Cpi – a differenti enti, nello specifico:
- le scuole, le università e i centri di formazione sono chiamati a certificare per via telematica sia l’assolvimento degli obblighi scolastici sia le competenze certificate degli studenti;
- le regioni, valuteranno la distribuzione del reddito e la struttura della spesa sociale, e forniranno le statistiche sulla possibile platea dei beneficiari;
- le agenzie formative accreditate forniranno ai centri per l’impiego le informazioni relative alla programmazione dei corsi e dei percorsi formativi, alla frequenza da parte degli iscritti e forniranno i dati relativi alla certificazione delle competenze dei soggetti tramite la struttura informativa centralizzata.
I compiti assegnati dalla proposta di legge alla rete dei centri per l’impiego non sono, allo stato attuale, assolvibili, e per essere resi tali richiederebbero una serie di interventi, tesi a superare innanzitutto due principali criticità.
La prima di carattere organizzativo e strutturale: nel nostro paese il personale dei centri per l’impiego è di poco superiore alle seimila unità (solo per avere un termine di paragone, in Francia sono poco meno di trentamila, nel Regno Unito sessantasettemila e in Germania settantaquattromila), con un rapporto tra disoccupati registrati e operatori di 228 a 1. È evidente che senza un forte investimento in risorse umane o in innovazione tecnologica (con strumenti che rendano davvero più agevole e veloce l’attività degli operatori) gli obiettivi indicati nella proposta del M5S – in particolare con riferimento alle tempistiche dei servizi erogati ai lavoratori – siano difficilmente raggiungibili: tali interventi richiedono non solo risorse finanziarie che appaiono sotto dimensionate nella proposta in esame, ma soprattutto una trasformazione organizzativa che richiede tempistiche non brevi.
Il secondo ostacolo attiene invece alla governance dei centri per l’impiego, i quali sono di competenza regionale: qualsiasi percorso riformatore necessita, di conseguenza, di un accordo tra tutte le regioni. È a questa situazione che intendeva porre mano il Jobs Act, attraverso l’istituzione dell’Anpal e l’attribuzione alla stessa di un ruolo di coordinamento della Rete dei servizi per le politiche del lavoro, mantenendo in capo alle regioni e alle province autonome la gestione amministrativa dei centri per l’impiego: la mancata approvazione della riforma costituzionale, nel cui ambito era prevista la modifica del Titolo V, e il persistere di una ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni, rende difficoltoso realizzare interventi finalizzati al miglioramento dell’efficacia delle politiche attive e dei servizi rivolti ai lavoratori e alle aziende.
Di fatto, nel nostro paese esistono ventuno sistemi pubblici per l’impiego, con politiche del lavoro e sistemi informativi caratterizzati da notevoli differenze e spesso non dialoganti tra di loro.
La tematica dei sistemi informativi è definita nell’’art. 6, nel quale si individua nella “struttura informativa centralizzata” lo strumento attraverso il quale i soggetti descritti all’art. 5 devono condividere le loro banche dati al fine di rendere possibile l’implementazione del reddito di cittadinanza, e tra questi sono compresi gli strumenti finalizzati realizzare efficaci azioni di politica attiva del lavoro, e in particolare:
- favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro;
- garantire un ampio riconoscimento delle competenze;
- favorire la registrazione in formato elettronico delle qualifiche;
- implementare in formato elettronico il libretto formativo del cittadino;
- collegare il formato elettronico delle qualifiche alle comunicazioni obbligatorie;
- pianificare l’integrazione del libretto formativo del cittadino nella costruzione del fascicolo personale elettronico del cittadino;
- favorire il monitoraggio longitudinale delle dinamiche del mercato del lavoro;
- fornire un modello di analisi sistemica per il monitoraggio e la verifica in tempo reale dei risultati raggiunti dai percorsi di politica attiva e passiva, di istruzione e formazione.
È necessario sottolineare che la “struttura informativa centralizzata” indicata dalla proposta normativa attualmente non è stata né implementata, né progettata, e richiede percorsi e soluzioni organizzative particolarmente complessi.
Attualmente funziona un “sistema federato”, ossia composto da una rete di sistemi regionali, tra di loro connessi e interoperabili: ogni regione ha progettato un proprio Sistema Informativo Lavoro (SIL), sebbene nell’ambito di standard nazionali condivisi, che non dialoga con gli altri sistemi regionali; spesso, nell’ambito della stessa regione, le province hanno adottato sistemi informativi differenti. Al Ministero del lavoro è rimasta una funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale.
Il Sistema informativo unico delle politiche del lavoro, previsto nel Jobs Act, è rimasto sulla carta: attualmente sono due i servizi di politica attiva offerti dal Portale Anpal: la Did e l’assegno di ricollocazione. A tale proposito, un ulteriore elemento di forte criticità è rappresentato dalla mancata previsione dei meccanismi che consentirebbero ai SIL oggi, e domani al Sistema informativo unico delle politiche del lavoro, di dialogare pienamente con i sistemi web di incontro tra domanda e offerta di lavoro pubblici: nella situazione attuale vi è infatti una netta separazione tra i sistemi informatici deputati alla gestione amministrativa delle attività dei servizi per l’impiego e i portali di intermediazione tra lavoratori e aziende.
Il riferimento alla realizzazione del fascicolo elettronico del lavoratore, contenute nella proposta di legge in esame, sarebbe di indubbia utilità, se ne fossero però definite le modalità operative di realizzazione in modo stringente, al fine di evitare che tale strumento resti soltanto sulla carta, come precedentemente accaduto con il libretto formativo del cittadino.
Nell’ottica dell’efficacia del funzionamento delle politiche attive del lavoro è di particolare importanza il funzionamento del “meccanismo di condizionalità”, ossia degli strumenti che vincolano il sussidio allo svolgimento da parte del percettore di specifiche azioni finalizzate al reinserimento lavorativo. Il primo aspetto da tenere in considerazione è la durata del beneficio: a tale proposito l’articolo 8 specifica che “il reddito di cittadinanza è erogato per il periodo durante il quale il beneficiario si trova in una delle condizioni previste all’articolo 4”. Il secondo aspetto da valutare riguarda gli obblighi del beneficiario, descritti nei loro aspetti generali nell’articolo 9, e – relazione all’inserimento lavorativo – nell’articolo 11. Nello specifico è previsto che il beneficiario deve:
- fornire immediata disponibilità al lavoro presso i centri per l’impiego territorialmente competenti e accreditarsi sul sistema informatico nazionale per l’impiego. Da tale obbligo sono esclusi i soggetti in età pensionabile;
- sottoporsi al colloquio di orientamento di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni (ora abrogato dal d.lgs. n. 150/2015 e sostituito da altra procedura di accertamento dello stato di disoccupazione e di disponibilità al lavoro);
- accettare espressamente di essere avviato a un progetto individuale di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro;
- seguire il percorso di bilancio delle competenze previsto nonché redigere, con il supporto dell’operatore addetto, il piano di azione individuale funzionale all’inserimento lavorativo;
- svolgere con continuità un’azione di ricerca attiva del lavoro e recarsi almeno due volte al mese presso il centro per l’impiego;
- accettare espressamente di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale in tutti i casi in cui l’ente preposto al colloquio di orientamento e al percorso di bilancio delle competenze, rilevi carenze professionali o eventuali specifiche propensioni.
- sostenere i colloqui psico-attitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
- offrire la propria disponibilità – coerentemente al proprio profilo professionale, alle competenze, alle propensioni ed agli interessi – per la partecipazione a progetti gestiti dai comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni.
Le cause di decadenza dal beneficio – nel caso di inosservanza degli obblighi previsti – sono descritte nell’articolo 12; in particolare, la decadenza interviene quando il beneficiario:
- non ottempera agli obblighi di cui all’articolo 11;
- sostiene più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo, accertata dal responsabile del centro per l’impiego attraverso le comunicazioni ricevute dai selezionatori o dai datori di lavoro;
- rifiuta, nell’arco di tempo riferito al periodo di disoccupazione, più di tre proposte di impiego ritenute congrue;
- recede senza giusta causa dal contratto di lavoro, per due volte nel corso dell’anno solare.
Aspetto centrale del funzionamento del meccanismo di condizionalità è, quindi, la previsione della proposta di lavoro ritenuta congrua: in mancanza di tale requisito il disoccupato non è tenuto, infatti, ad accettare l’eventuale offerta di lavoro. Il progetto di legge prevede che, affinché l’offerta sia considerata congrua, deve avere le seguenti caratteristiche:
a) Essere attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario in ambito formale, non formale e informale, certificate, nel corso del colloquio di orientamento, nel percorso di bilancio delle competenze e dagli enti preposti: trascorso un anno di iscrizione al centro per l’impiego, e qualora non abbia accettato nessuna proposta di lavoro, il beneficiario è tenuto ad accettare le proposte di lavoro che non possiedono tali requisiti.
b) Prevedere una retribuzione oraria è maggiore o uguale all’80 per cento di quella riferita alle mansioni di provenienza se la retribuzione mensile di provenienza non supera l’importo di 3.000 euro lordi.
c) Il luogo di lavoro non dista oltre 50 chilometri dalla residenza del soggetto interessato ed è raggiungibile con i mezzi pubblici in un arco di tempo non superiore a ottanta minuti.
Sono esentate dall’obbligo della ricerca del lavoro e dagli obblighi di cui all’articolo 11 le madri, fino al compimento del terzo anno di età dei figli, ovvero, in alternativa, i padri, su specifica richiesta o comunque nel caso di nucleo familiare monoparentale.
Aldilà delle difficoltà oggettive – precedentemente descritte – esistenti affinché i centri per l’impiego siano in grado di adempiere alle funzioni sopra descritte, appare evidente come il meccanismo di condizionalità sopra descritto non sia dotato di strumenti incisivi al fine di contenere gli abusi e di indirizzare con forza il lavoratore al reinserimento lavorativo.
In particolare:
- appare eccessivamente rigida la configurazione della congruità, che rimanda alle competenze, alle propensioni e agli interessi del lavoratore: è evidente che questi ultimi due aspetti abbiano un carattere aleatorio;
- l’attribuzione al selezionatore aziendale del compito di ravvisare l’eventuale volontà del lavoratore di ottenere un esito negativo del colloquio innesca un meccanismo che da un lato attribuisce ad un soggetto privato una funzione che dovrebbe essere svolta da un soggetto pubblico, dall’altro rischia di restare inattuata;
- nella ricerca dell’occupazione il ruolo attivo di ricerca è demandato al centro per l’impiego, mentre un ruolo marginale è riservato al lavoratore stesso: questo approccio è senz’altro di difficile attuazione e andrebbe capovolto;
- la previsione dei percorsi di reinserimento lavorativo rimane piuttosto vaga, rimandando semplicemente alla disponibilità del lavoratore ad “essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale”, e alla disponibilità allo svolgimento di lavori di pubblica utilità;
- la tutela delle genitorialità, in particolare delle madri, appare sproporzionata rispetto alle analoghe tutele che sono riconosciute alle lavoratrici madri occupate.
In conclusione, sebbene la garanzia di un reddito minimo garantito ai nuclei famigliari che vivono condizioni di particolare disagio economico possa essere considerata un’esigenza meritevole di tutela pubblica, questa non dovrebbe mai avere finalità meramente assistenzialistica, ma altresì dovrebbe essere finalizzata al rapido e pieno reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati nel mercato del lavoro e all’efficace inserimento nel contesto produttivo dei giovani che terminano il percorso di studi. Tali risultati possono essere raggiunti soltanto migliorando la qualità dell’istruzione e della formazione, e sviluppando la capacità di collegare le stesse al mercato del lavoro in modo dinamico, consentendo – davvero – ai lavoratori di tutte le età l’accesso a percorsi di formazione e di “riconversione” delle proprie competenze.
Gianluca Meloni
Consulente per il mercato del lavoro – Reggio Emilia