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Bollettino ADAPT 11 ottobre 2021, n. 35
Le singole poste contabili ascrivibili al costo del lavoro hanno una differente ripercussione economico-finanziaria sulla cassa aziendale. L’utilità di un’analisi di tal tipo consiste nel comprendere come, a livello di singoli mesi ovvero di esercizi progressivi, possa variare la cassa aziendale e dunque influenzare anche la calendarizzazione delle singole passività.
Tuttavia, tale analisi non vuol incentrarsi sull’utilizzo “industriale” di tale costo (anch’esso molto importante e decisivo), rappresentato da quell’ampia gamma di decisioni strategiche che il management mette in campo per impiegare razionalmente il proprio capitale umano. L’oggetto di interesse di questa breve analisi riguarda invece l’utilizzo “finanziario” e dunque l’impatto economico-patrimoniale che il costo del lavoro assume all’interno dei bilanci dell’impresa.
Ciò è particolarmente utile sia per la medio-piccole organizzazione, sia (e specialmente) per realtà aziendali maggiormente consolidate, con piani di investimento duraturi e che mirino allo sviluppo progressivo della propria produttività. Ed è ovvio come, in particolar modo per questa seconda categoria di organizzazioni imprenditoriali, il “tener sotto controllo la cassa” sia considerato un aspetto cruciale e decisivo, nonché uno dei principali aspetti analizzati sia da società di revisione contabile, sia dai vari stakeholders all’interno dell’arena del mercato.
L’impatto finanziario del costo del lavoro può essere rilevante anche a prescindere dal dato quantitativo, spostando dunque il focus sul settore merceologico di riferimento. Si pensi a tal riguardo all’industria metalmeccanica e alla filiera produttiva del mondo moda: due settori di riferimento che, oltre al rappresentare un vero e proprio “polmone economico” del sistema produttivo italiano, richiedono continuamente (ed in modo sempre più massiccio) investimenti in qualità e tempistiche.
Ed è pertanto ovvio che se il lead-time (o time to market) da una parte e qualità dall’altra sono gli aspetti maggiormente significativi in quanto richiesti dal mercato, gli investimenti sopra citati non potranno che rivolgersi maggiormente a livello della forza lavoro: e questo è particolarmente vero per quanto riguarda il fattore tempo. Ecco spiegato il motivo per cui il costo del lavoro va continuamente monitorato: per l’analisi che qui interessa, un incremento scriteriato dei costi HR può determinare un appesantimento della cassa aziendale, con una conseguente immobilità delle scelte “operative”.
La naturale conseguenza è l’ampliamento della funzione di cost analysis, non più esclusivo appannaggio della direzione finanziaria e del CFO aziendale, bensì attività che sempre più spesso vede anche il coinvolgimento diretto del HR manager.
L’attività di budgeting, infatti, ha proprio tale scopo: una funzione che si pone l’obiettivo di preventivare e cadenzare l’intero dualismo di “costi e ricavi”, e di conseguenza di comprendere quali siano le principali poste contabili che impattano sul risultato di esercizio, ovvero tentare di pianificare le uscite mensili, per poi monitorare se queste ultime rientrino effettivamente nel piano budget iniziale, o se l’eventuale discostamento possa essere giustificato attraverso scelte industriali.
In termini più economici che giuridici, si parlerebbe dunque di forecast, vale a dire del pre-consuntivo: sul piano pratico, è quanto il management aziendale si aspetta non solo in termini di meri costi e ricavi, ovvero di struttura patrimoniale, bensì di fusioni di tali componenti che trovano la propria concretizzazione all’interno del cashflow (per l’appunto, l’analisi dei flussi di cassa). Di conseguenza, l’analisi si è soffermata per lo più su quei costi che più di ogni altro impattano sull’EBITDA civilistico: COGS (materie prime), servizi, lavorazioni e per l’appunto costo del lavoro.
Innanzitutto, per costo del lavoro è stata impiegata una nozione piuttosto estesa e di utilizzo pratico, considerando dunque ogni costo (sia esso di natura prettamente retributiva, che rientrante nella disciplina previdenziale) che si giustifichi in base al rapporto lavorativo. Utilizzando a sua volta una nozione di rapporto lavorativo che non comprende esclusivamente chi sia legato all’azienda da un contratto di lavoro subordinato, ma anche chi riceve un compenso forfettario giustificato da altro contratto o tipo di rapporto. Un esempio può essere dato dai collaboratori, ovvero dai co.co.co., così come anche i compensi ricevuti a titolo di membro del board aziendale.
La nozione dilatata di costo del lavoro è qui giustificata dall’elemento teleologico-funzionale dell’analisi prospettata: ovvero, l’analisi delle uscite finanziarie che, come indicato dai principi civilistici di redazione ed interpretazione del bilancio di esercizio, deve necessariamente ispirarsi al principio di prudenza. Insomma, a livello finanziario è sempre meglio “prepararsi al peggio”, considerando eventualmente una gamma di costi che è improprio considerare come elementi del costo del lavoro.
In ogni caso, semplificando l’analisi del suddetto costo, sono state isolate tre poste principali, che incidono in modo particolarmente significativo nel determinare il costo del lavoro. In primis il lordo mensile, comprendendo dunque la somma fra retribuzione netta e i valori fiscal-contributivi ascrivili al rapporto di lavoro (cosiddetto cuneo fiscale). Ci sono poi i ratei, ovvero somme accantonate in via proporzionale utili all’erogazione di trattamenti ulteriori (come la tredicesima mensilità). Ed infine le quote di TFR maturare per singolo lavoratore.
L’analisi ha dunque constatato come solamente alcuni valori (il lordo mensile) rappresentano un’uscita di cassa immediata e repentina, impattando dunque negativamente sulla cassa aziendale del mese successivo, mentre invece ci sono sia valori la cui uscita di cassa è posticipata (è il caso dei ratei per la tredicesima), sia valori che difficilmente sono configurabili come debito passivo (quote di TFR).
Si comprende bene questa discrepanza economico-finanziaria se si coglie la differenza fra conto economico e stato patrimoniale: il primo dove è possibile ascrivere i costi aziendali; il secondo semplici e pure passività.
Come impatta il costo lordo sulla cassa aziendale
Il lordo mensile rappresenta, ovviamente, un’immediata uscita di cassa: ciò significa, banalmente, che quanto maturato dal lavoratore nel singolo mese di lavoro viene retribuito (da qui, l’uscita di cassa) a livello del mese successivo. E questo sia “direttamente” (ovvero, il netto retributivo dato dal cuneo fiscale), sia “indirettamente”, tramite il meccanismo tributario della sostituzione d’imposta che permette al datore di lavoro di adempire all’obbligo tributario posto in capo al singolo lavoratore.Di conseguenza, l’uscita di cassa è qui immediata e repentina.
Come impattano i ratei sulla cassa aziendale
Diverso è invece il discorso relativo ai ratei, riguardanti ad esempio le quote accantonate dal datore di lavoro per l’erogazione successiva di trattamenti ulteriori, come per l’appunto la tredicesima mensilità. In questi casi infatti, sebbene il costo del lavoro comprenda i ratei, la loro uscita di cassa sarà posticipata al momento dell’erogazione di tale trattamento. Sarebbe come dire, semplificando il ragionamento, che il datore di lavoro ogni mese accantona tali quote che però non rappresentano un’uscita di cassa immediata, traducendosi dunque il tutto nella maturazione di un debito verso la forza lavoro che trova la sua rappresentazione contabile non a livello del conto economico, ma in corrispondenza dello stato patrimoniale.
In altri termini, tale costo viene prima patrimonializzato, per poi essere attinto nel momento in cui si avrà l’uscita di cassa (nel caso della tredicesima, di solito nel mese di dicembre): è in questo momento che si giustificherà un costo pieno, portabile per intero in deduzione dal reddito di impresa in base alla disciplina civilistica.
Come impattano le quote di TFR sulla cassa aziendale
Discorso simile ai ratei, ma in parte differente, per quanto riguarda le quote di TFR maturate per singolo lavoratore. In questo caso infatti, sebbene si abbia anche qui la patrimonializzazione di un costo, non si può preventivamente stabilire il momento di uscita di cassa, dato che non è conosciuto anticipatamente il momento di cessazione (volontaria o involontaria che sia) del rapporto lavorativo.
Alcune considerazioni conclusive
Come detto, questa breve analisi si è posta come obiettivo quello di analizzare come il costo del lavoro si ripercuota a livello della cassa aziendale. Infatti, il costo del lavoro è ovviamente una delle voci di spesa da analizzare in modo particolarmente minuzioso e la variazione dello stesso può essere osservata da molteplici angolature.
Tale costo infatti può essere analizzato sia per il suo “impiego industriale”, sia per il suo “impiego finanziario”. Il primo tipo di utilizzo riesce a giustificare come l’allocazione del personale (e dunque, il relativo costo) riesca o meno a coprire le esigenze di produttività, potendosi per l’appunto palesare casi di sotto-produttività o sovra-produttività a seconda dell’incidenza percentuale e delle variazioni rispetto ai ricavi che tale costo va a rappresentare.
Il secondo tipo di impiego invece (quello che interessa in tale sede) analizza, come detto, le ripercussioni finanziarie del fenomeno analizzato.
In ultima battuta, comprendere quali siano le voci “economicizzate” e quali quelle “patrimonializzate”, permette anche di conquistare un buon punto di partenza per l’elaborazione finale della PFN (Posizione Finanziaria Netta), data dal valore netto fra attività aziendali e passività.
Ed ancora, comprendere le uscite di cassa permetterà di valutare quale sia il momento opportuno per la calendarizzazione di determinate spese, che magari non hanno nulla a che fare con il costo del lavoro, ma che sarebbero inevitabilmente influenzate dallo stesso in periodi dell’anno ben determinati. A titolo esemplificativo, se nel mese di dicembre ci sono uscite di cassa (per il costo del lavoro) ovviamente superiori a quelle degli altri mesi, magari la valutazione finanziaria farà sì che saranno limitate al minimo le uscite per altre voci.
Così come è possibile comunque valutare che, a livello del mese di dicembre, andando il debito verso i dipendenti ad un livello più basso rispetto a quello annuale storico (stante infatti la più cospicua uscita di cassa), si potrà avere verosimilmente un incremento medio della PFN, il cui valore è oggi particolarmente analizzato ed apprezzato specie in un’ottica di indebitamento bancario e di verifica del merito creditizio.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
Università degli Studi di Siena