La nota dell’ANPAL del 12 aprile 2017 segna un clamoroso passo indietro per il già debole ruolo di intermediari tra domanda e offerta di lavoro svolto dalle università italiane, che dovrebbero invece rappresentare un ponte tra mondo accademico e mondo del lavoro, al fine di favorire le transizioni occupazionali dei giovani laureati.
Non è un mistero infatti che il placement universitario ad oggi non funzioni nella maggior parte degli atenei, a causa anche dell‘inadempimento dell’obbligo di legge di rendere pubblicamente e gratuitamente accessibili i curriculum degli studenti (come dimostrato nella ricerca di A. Battaglia e A. Negri Placement universitario: ancora un miraggio per gli studenti e le aziende italiane). Ebbene, se con la circolare del 4 agosto 2011 il legislatore aveva voluto semplificare l’adempimento di quest’obbligo, rendendo di facile soddisfazione gli obblighi in materia di privacy, la nuova nota dell’ANPAL sembra eliminare queste facilitazioni.
La nota in oggetto recepisce, a sua volta, una nota del garante privacy del 6 marzo 2017 (n.8515) di cui, tuttavia, è al momento sconosciuto il contenuto. L’unico dato a disposizione è che essa riguarda l’applicazione dell’art. 96 del codice della privacy che però ha ad oggetto il trattamento dei dati relativi agli studenti degli istituti scolastici di istruzione secondaria superiore e non anche degli studenti universitari. Sarebbe, quindi, interessante comprendere come l’applicazione dell’art. 96 si estenda anche agli studenti universitari, come è avvenuto con la nota dell’ANPAL.
Andando al contenuto della nota, si dice che “le Università, statali e non statali, i consorzi universitari e gli Istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari possono pubblicare sui siti istituzionali i curricula degli studenti previa esplicita richiesta da parte degli interessati (ovvero degli esercenti la potestà genitoriale in caso di soggetti minori di età), preceduta da idonea informativa sul trattamento dei dati personali”.
L’aver posto la pubblicazione dei curriculum come una mera possibilità è indice di disattenzione da parte del legislatore (o forse soltanto di frettolosità), in quanto esiste un vero e proprio obbligo di legge per le Università di rendere pubblicamente e gratuitamente accessibili i curriculum degli studenti, previsto dall’art. 6 del d.lgs. 276/2003 e che costituisce condizione imprescindibile per poter esercitare attività di intermediazione.
Mentre, in seguito alla nota del 2011, per la pubblicazione dei cv non era richiesto neanche il consenso degli studenti al trattamento dei dati, ma soltanto che fosse stata data idonea informativa sulla privacy, oggi l’ostacolo diventa quasi insormontabile: potranno essere pubblicati soltanto i curriculum degli studenti che ne facciano richiesta.
Quante delle università italiane mirano a far comprendere ai propri studenti l’importanza della pubblicazione e, prima ancora, di un cv ben scritto? I curriculum della maggior parte degli studenti universitari e neolaureati sono impersonali, incompleti e contenenti informazioni errate (su questo si veda A. Negri, Lezioni di Employability/48 – Occupabilità: cosa ci dice la lettura del curriculum degli studenti universitari?). Anche lo stesso curriculum preformato di Almalaurea che non richiede alcuno sforzo allo studente, se non quello di rispondere a delle domande a risposta chiusa, risulta spesso incompleto, mancando informazioni essenziali per un neolaureato, come il titolo della tesi.
È da considerare poi che questa disposizione va a sfavore anche dello stesso sistema Almalaurea. Infatti, fino ad ora per adempiere all’obbligo di rendere pubblici i curriculum di tutti gli studenti, le università che utilizzano Almalaurea come server di raccolta dei cv, al momento della compilazione della domanda di laurea, rendono obbligatorio rispondere al questionario, al termine del quale viene generato automaticamente il curriculum in formato Almalaurea. Senza questo adempimento non è possibile per lo studente sostenere l’esame di laurea. Ci pare chiaro che, con la nuova disposizione, non sarà più possibile raccogliere decine di migliaia di curriculum da parte di Almalaurea, tanto meno con un meccanismo che appare di fatto obbligatorio per accedere alla discussione della tesi di laurea.
Dal lato degli studenti, poi, sarebbe importante indagare le ragioni per cui si dovrebbe negare la pubblicazione del proprio curriculum vitae. Sempre più spesso, infatti, si parla di reputazione digitale, a causa della continua esposizione e diffusione di dati personali, dovuta alla creazione di profili personali sui vari social network. La digital reputation ad oggi assume sempre di più un ruolo determinante nella scelta dei candidati da parte delle aziende, dal momento che sono questi i canali che le aziende utilizzano per ottenere maggiori informazioni, al fine di compiere scelte consapevoli e mirate.
La pubblicazione di un buon curriculum non può che agevolare l’occupabilità del giovane. Per far questo viene richiesto agli uffici placement delle università non solo un servizio di assistenza e orientamento personalizzato per chi ne fa richiesta, ma una vera e propria attività di sensibilizazione degli studenti sull’importanza di un curriculum scritto bene e accessibile. Per far questo è necessario guidare tutti gli studenti nella stesura del proprio curriculum vitae, in modo che ne emergano il valore, le conoscenze e le competenze che li rendono occupabili.
Nel sistema semplificato introdotto dalla circolare del 2011 è comunque possibile una via d’uscita per lo studente che non voglia rendere pubblico il proprio curriculum. Esiste un meccanismo di opt-out, in base al quale, una volta compilato il questionario, si può sempre ritirare il proprio curriculum. Questo meccanismo è adesso espressamente vietato, essendo necessaria una richiesta espressa di pubblicazione.
La vicenda non è certo conclusa. Proprio in questi giorni l’on. Sacconi ha presentato un’interrogazione parlamentare, in cui si sottolinea non solo l’inidoneità della fonte – una nota ANPAL rispetto ad una circolare ministeriale (quella del 2011) – a disciplinare la materia, ma anche l’effetto che questa produce sul mercato del lavoro, poiché “di fatto si restringono i canali di accesso ai curricula, si privilegiano quelli onerosi e si giustificano le università inadempienti”.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
ADAPT Junior Fellow