Bollettino ADAPT 7 gennaio 2025, n. 1
Non c’è tregua per il tema degli scioperi, nemmeno durante le festività. Nei giorni scorsi i giornali d’area (e non solo) sembravano fare a gara per ricapitolare gli scioperi del 2024 e anticipare quelli già programmati per gennaio 2025, con titoli allarmistici che evocavano disagi e “scioperifici”, senza spazio per le cause profonde delle mobilitazioni e le loro differenze.
Un esempio lampante è dato da Il Giornale, che snocciolava numeri impressionanti: “51 scioperi al mese”, “583 astensioni dal lavoro”, presentate come se fossero state indette tutte dalla CGIL, e dunque ignorando (o fingendo di ignorare) la differenza tra sindacati confederali e la varietà delle sigle di base.
Anche Libero non si è risparmiato nel titolo, parlando di “CGIL e soci”, pur concedendosi almeno una precisazione: lo sciopero del prossimo 10 gennaio, che prefigura disagi nel trasporto pubblico, è stato indetto da FAISA-Confail. Ma è un dettaglio lasciato cadere senza ulteriori analisi.
Questa confusione sistematica non è solo una svista: è anche un errore dal punto di vista informativo. La moltiplicazione delle sigle sindacali è infatti uno dei motivi principali dell’alto numero di scioperi nei trasporti in Italia. Basti pensare che, secondo i dati della Commissione di Garanzia, solo un terzo degli scioperi nei trasporti nel 2024 è stato indetto da CGIL, CISL e UIL, che rappresentano la maggioranza dei lavoratori del settore. La maggior parte delle proteste è invece organizzata da sigle di base, che rappresentano una minoranza di iscritti. Per capirlo basta anche una rapida lettura dell’elenco degli scioperi nei trasporti pubblicato sul sito del Ministero.
Sarà dunque anche vero, come sottolineano le testate citate, che le mobilitazioni siano fomentate anche da ragioni politiche e non solo dalle relative partite contrattuali. Ma questa non dovrebbe essere una buona ragione per semplificare tale fenomeno come se tutte le mobilitazioni commentate fossero uguali, e dunque come se il sistema della rappresentanza fosse composto da attori dotati tutti della medesima rilevanza. Un esempio chiarificatore è dato dagli scioperi del trasporto pubblico locale dell’autunno scorso: lo stop del 5 novembre e del 8 novembre del trasporto pubblico locale (dunque treni locali, assieme a tram, bus e metropolitane), indetto da CGIL, CISL e UIL, è stata un’azione unitaria legata al rinnovo del contratto del TPL (autoferrotramvieri) scaduto nel 2023. Le proteste messe in campo successivamente nel mese di dicembre sono state proclamate dai sindacati di base (Usb lavoro privato, Orsa Ferrovie, Cobas). Quella del 13 dicembre in particolare (che aveva visto il TAR esprimersi contro la precettazione da parte del Ministro Salvini) avveniva due giorni dopo che i sindacati confederali avevano trovato una prima intesa con le parti datoriali per il rinnovo del CCNL Autoferrotranvieri Internavigatori. Tant’è che delle mobilitazioni previste per il prossimo mese di gennaio nel settore del trasporto pubblico locale elencate sul sito del Ministero, solo quelle del 21 del 22 e del 24 gennaio sono indette da sigle dei sindacati confederali e in tutti e tre i casi si tratta di astensioni locali. Le astensioni nazionali sono indette tutte da altre sigle. Se proprio si vuole riservare una critica alla strategia conflittuale dei confederali, si può osservare che delle tre astensioni, solo quella di 4 ore del 21 gennaio sia unitaria (indetta da OSR FILT-CGIL/FIT-CISL/UILT-UIL/FAISA-CISAL). Resta invece del tutto aperta la partita contrattuale nei settori ferroviario e aereo, dove infatti si concentrano le altre mobilitazioni previste.
C’è però un altro nodo che riguarda i confederali: come ha osservato di recente Di Vico sul Foglio, CGIL, CISL e UIL non hanno preso apertamente le distanze dai sindacati di base, lasciando spazio alla confusione mediatica e, in alcuni casi, beneficiando di una visibilità indiretta. Questo gioco ambiguo consente in particolare alla CGIL di emergere come attore centrale e apparentemente egemonico, anche se non aiuta a chiarire le dinamiche reali delle mobilitazioni e le loro ragioni.
Un’informazione più precisa sarebbe nell’interesse di tutti, anche per comprendere le rivendicazioni alla base di questi scioperi. I rischi di questo tipo di informazione sono evidenti: si alimenta il discredito verso uno strumento legittimo di azione della rappresentanza, e anzi verso la rappresentanza stessa, e si ignora il merito della questione, ovvero le condizioni strutturali che spingono i lavoratori a scioperare e sulle quali invece sarebbe interessante incentrare il dibattito. L’aumento di 120 milioni di euro destinati al trasporto pubblico locale per il solo prossimo anno è insufficiente come dicono i sindacati confederali? I sindacati confederali si dovrebbero accontentare delle condizioni contenute nell’ipotesi di rinnovo del TPL e dovrebbero sotterrare l’arma dello sciopero? Dovranno revocare le mobilitazioni annunciate? Chi tra i cittadini avrà gli strumenti per provare a rispondere?
Francesco Nespoli
Ricercatore Università di Roma LUMSA
ADAPT Senior Fellow