La sentenza del Tar Lombardia, sezione di Brescia n. 1470 del 31 dicembre 2014 rappresenta l’occasione per tornare sulla questione relativa alla legittimità di applicazione, da parte di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici di servizi, dei contratti collettivi di lavoro meno rappresentativi che prevedono salari percentualmente inferiori rispetto a quelli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative.
Nello specifico, il ricorso sul quale si è pronunciato il Tar riguardava due imprese partecipanti ad una gara per l’aggiudicazione della gestione del servizio di prenotazioni telefoniche ed accettazioni di un’azienda ospedaliera lombarda.
L’impresa ricorrente, seconda classificata nella procedura, aveva adito il Tribunale amministrativo regionale affinché fosse esclusa l’offerta proposta dall’impresa aggiudicatrice in quanto presentava un anomalo scostamento al ribasso di oltre il 15% del costo del lavoro rispetto ai livelli retributivi desumibili dalle tabelle ministeriali. Inoltre, secondo l’impresa ricorrente, il contratto collettivo che l’aggiudicataria intendeva applicare non era un accordo stipulato da organizzazioni datoriali e sindacali rappresentative.
Il tribunale ha deciso la questione confermando la delibera di aggiudicazione dell’appalto e dichiarando legittima l’applicazione di un determinato CCNL sebbene caratterizzato da minore rappresentatività dei sindacati. Nel rispetto del principio di pluralità sindacale delle imprese concorrenti, definito nel primo comma dell’art. 39 della Costituzione, il Tar ha escluso che il bando di gara potesse imporre alle imprese partecipanti l’applicazione di un contratto collettivo piuttosto che di un altro. La gara è stata correttamente giudicata sulla base dell’offerta che, senza risultare anomala, è risultata economicamente più vantaggiosa nella voce “costo del lavoro”.
L’iter argomentativo che ha condotto il giudice alla decisione in esame si snoda sostanzialmente lungo due direttrici.
Per diretta applicazione al caso di specie, delle considerazioni esposte in una precedente sentenza del Tar del Piemonte (n. 1392 del 1° agosto 2014), il bando di gara di un appalto pubblico non può imporre ai concorrenti di modificare il contratto collettivo nazionale di lavoro che applicano e il giudice non può imporre ad una azienda la scelta di un contratto piuttosto che un altro assumendo a parametro i minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva.
In secondo luogo, le tabelle ministeriali sul costo del lavoro non pongono limiti inderogabili ma fungono da mero parametro di valutazione di congruità, determinando un costo medio e presumibile pertanto, l’offerta di un partecipante alla gara si può discostare da tali tabelle, a patto che il divario non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito in sede di contrattazione collettiva.
Il ricorso riporta all’attenzione la questione del riferimento ai valori del costo del lavoro stabiliti dai CCNL di settore sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale soprattutto in quei settori di attività ad alta intensità di manodopera dove il costo del lavoro rappresenta un punto dirimente per una leale concorrenza tra imprese.
I contratti collettivi conclusi da rappresentanze sindacali con un basso livello di rappresentatività dei lavoratori e dei datori di lavoro (si veda P. Tomassetti, “Arginare la piaga dei contratti pirata”, in Boll. ADAPT, n. 24/2014), permettono alle imprese di presentare offerte fortemente competitive, poiché basate su trattamenti economici molto bassi, generando il cosiddetto dumping contrattuale. Nella sentenza viene detto che questa distorsione è un rischio concreto quando si sia in presenza di una pluralità di contratti collettivi nazionali per la medesima categoria, ma il Tar di Brescia risolve il problema seguendo alcuni orientamenti avvallati dalla Cassazione (n. 3912/1999 e n. 4074/1999) in materia di onere probatorio in ordine alla determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi dell’assicurazione obbligatoria, cosicché il TAR ha valutato che nel caso in esame la prova della supposta non rappresentatività dei sindacati firmatari del CCNL in questione non sia stata raggiunta.
Il TAR sottolinea poi che, per stabilire la “giusta retribuzione” non è comunque possibile scegliere un «…cosiddetto contratto leader quale indice di commisurazione del trattamento economico complessivo proporzionato ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione al fine di evitare il diffondersi di condizioni di trattamento sensibilmente inferiori a quelle determinate dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dagli attori c.d. tradizionali…» e non esiste alcun obbligo di conformarsi alle tabelle ministeriali stabilite sulla base delle retribuzioni previste da tali contratti collettivi, tabelle che rappresentano solo un parametro presuntivo privilegiato di valutazione del costo della prestazione lavorativa (Cass. sentenza n. 7383/1996).
Applicando quindi i principi di libertà sindacale delle imprese concorrenti, è escluso che un bando di gara d’appalto possa imporre per legge l’applicazione di un determinato CCNL, ma forse si tratterebbe di creare le condizioni nella documentazione di gara per il suo rispetto sostanziale per evitare fenomeni di concorrenza sleale da parte soprattutto di alcune cooperative, con ripercussioni sul mercato e, soprattutto, sui propri lavoratori.
Gabriella Viale
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@VialeGabry
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Appalti di servizi: legittima l’applicazione del contratto collettivo meno rappresentativo