Appalti pubblici e salario: le delibere degli enti locali alla “prova del 9”

Interventi ADAPT

| di Giovanni Piglialarmi

Bollettino ADAPT 14 aprile 2025, n. 15

Da tempo il Bollettino ADAPT sta dedicando attenzione alle diverse iniziative promosse dalle regioni e dagli enti locali volte ad introdurre il c.d. salario minimo nell’ambito degli appalti pubblici, dopo l’arresto dei lavori parlamentari per l’approvazione di una legge nazionale in materia.

In particolare, attraverso leggi regionali, proposte di legge (cfr. G Piglialarmi, Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo, in Bollettino ADAPT 10 marzo 2025, n. 10) e delibere comunali (G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12; G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Salario minimo: la piccola rivolta e la grande ipocrisia dei Comuni, in Bollettino ADAPT 8 aprile 2024 n. 14), regioni ed enti locali stanno tentando di imporre agli appaltatori di corrispondere ai propri dipendenti un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora.

Ora, se per alcune iniziative legislative regionali il governo ha già intrapreso la via giudiziaria per contestarne la legittimità (G. Piglialarmi, Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia, in Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6), le delibere comunali, invece, cominciano “indisturbate” ad essere operative. A Firenze, infatti, la Direzione comunale del comparto istruzione, mensa, refezione scolastica e trasporti ha pubblicato una determina per affidare ad un operatore privato, all’esito di una regolare gara di appalto, il «servizio di pulizia ordinaria dei plessi scolastici delle scuole dell’infanzia comunali e di pulizia straordinaria delle strutture educativo-scolastiche» (cfr. DD/2024/10347 del 19 dicembre 2024).

La determina dirigenziale, in linea con quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 e il relativo allegato I.01, stabilisce che «il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto è individuato nel CCNL per i lavoratori e lavoratrici ed impiegati delle imprese operanti nel settore dei servizi di pulizia, multiservizi e attività affini» avente codice alfanumerico «CNEL K511» (p. 5). Si tratta del contratto collettivo sottoscritto da Anip, Unionservizi Confapi, Legacoop Produzione e Servizi, Confcooperative Lavoro e Servizi, Agci Servizi e da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uil-Trasporti, individuato quale CCNL sottoscritto da organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nell’ambito del settore al quale è riconducibile l’attività appaltata.

Tuttavia, il provvedimento precisa che per i profili professionali richiesti per l’esecuzione dell’appalto (riconducibili al livello II e al livello IV del contratto collettivo), il CCNL indicato nel bando contempla una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro l’ora (p. 7), come risulta dalle tabelle ministeriali adottate ai sensi dell’art. 41, comma 13 del d.lgs. n. 36/2023. Pertanto, il Comune di Firenze ritiene legittimo riconoscere un punto premiale «all’operatore che si impegna a garantire al proprio personale nell’esecuzione del presente appalto la retribuzione oraria minima di 9 euro» (p. 7).

Nel provvedimento, si prova anche a giustificare, sotto il profilo giuridico, la legittimità di questa previsione, evidenziando come lo stesso sia riconducibile all’art. 108, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023, disposizione che consente all’ente appaltante (in questo caso il Comune di Firenze) di individuare l’offerta dell’appaltatore «economicamente più vantaggiosa» non solo seguendo il criterio del «miglior rapporto qualità/prezzo» ma anche altri «criteri oggettivi» fra cui quelli relativi ad «aspetti sociali, connessi all’oggetto dell’appalto»: in questi termini, la richiesta di «garantire» ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’attività oggetto dell’appalto una «retribuzione oraria minima di 9 euro» è secondo l’ente comunale un criterio utile per produrre un impatto sul piano sociale, perché volto a “premiare” le imprese che praticando degli standard retributivi presuntivamente dignitosi per i lavoratori (p. 7).

Orbene, il provvedimento amministrativo si presta quantomeno a quattro osservazioni critiche, che possono essere così sintetizzate.

Anzitutto, pur facendo espresso riferimento ad un metodo di calcolo analogo a quello utilizzato per determinare il costo medio orario nelle tabelle ministeriali per il settore delle pulizie, la determina non lascia comprendere all’utente in modo inequivoco quali siano le metodologie di calcolo utilizzate dall’ente comunale per affermare che le retribuzioni orarie dei lavoratori inquadrati al II e al IV livello del CCNL K511 siano inferiori a 9 euro. E del resto è proprio questo uno dei punti più controversi di quella proposta che intendeva introdurre un salario minimo orario di tale importo: per quanto accattivante dal punto di vista comunicativo, non si è mai capito fino in fondo cosa dovesse essere ricompresa in questa cifra simbolica.

Eppure, seguendo una determinata metodologia di calcolo per la determinazione della retribuzione oraria – volta a ricomprende tutte le voci della “normale retribuzione” così come definita dal CCNL in questione – il salario orario di un lavoratore inquadrato al livello più basso del CCNL K511 è pari a 9,14 euro e quindi ben sopra la soglia minima indicata dalla delibera (cfr. F. Alifano, M. Dalla Sega, F. Lombardo, G. Piglialarmi, S. Spattini, M. Tiraboschi, Salari minimi contrattuali: contributo per una verifica empirica, in Professionalità Studi, 2023, n. 2, p. 23). E guardando alle tabelle ministeriali per l’anno 2024, la situazione non cambia di molto, poiché risulta che mentre per il II livello di inquadramento la retribuzione oraria è pari a 8,990 euro, per il IV livello questa è pari a 10,557 euro (cfr. Decreto direttoriale 27 settembre 2023, n. 52, p. 30).

Inoltre, per un verso resta (ancora) il nodo – già diverse volte sollevato su questa testata – di comprendere fin dove il criterio introdotto nella determina dirigenziale, per quanto in linea con l’art. 108, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023, possa riguardare una materia (cioè la retribuzione) di stretta competenza dell’ordinamento civile. Il rischio che l’atto amministrativo e la delibera di giunta sulla quale si fonda possano collidere con la Carta costituzionale è quantomeno probabile, poiché la regolamentazione del rapporto di lavoro rientra nella esclusiva potestà legislativa dello Stato (cfr. art. 117 Cost.). Peraltro, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici non conferiscono alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. In altri termini, dunque, gli enti devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara).

Per altro verso, occorre chiedersi come si concilia un criterio così pervasivo, che travalica il già imponente obbligo di legge imposto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023, con il principio della libertà d’impresa tutelato dall’art. 41 Cost. L’appaltatore, infatti, è già vincolato dalla legge ad applicare il CCNL sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e nel settore a cui e riconducibile l’appalto o, in alternativa, a garantire che i trattamenti normativi ed economici derivanti dall’applicazione di altro CCNL siano i medesimi; a questi, se ne aggiungiamo anche un terzo, la libertà contrattuale e organizzativa (anche sul piano dei costi) dell’imprenditore rischia di essere messa oltremodo sotto un torchio. Non a caso, infatti, la recente giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che sia possibile per l’imprenditore presentare un’offerta al ribasso in fase di gara individuando quale limite ultimo e invalicabile i minimi salariali previsti dal CCNL (cfr. TAR Toscana 29 gennaio 2024, n. 120; in tema, cfr. anche Cons. St., sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665). Il che comporta che nell’ambito dei parametri salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, l’operatore potrà praticare anche un costo della manodopera inferiore rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante, specie se questo è determinato ricorrendo alle tabelle ministeriali le quali, a differenza  dei cosiddetti “minimi salariali” stabiliti dalla contrattazione collettiva, non sono espressamente qualificate dalla legge come inderogabili (così espressamente TAR Calabria 13 gennaio 2025, n. 39). In buona sostanza, dunque, “minimi salariali” previsti dal CCNL e costo del lavoro medio orario determinato sulla base del CCNL sono due entità da tenere distinte.

Infine, viene anche da chiedersi come possa conciliarsi questa determina dirigenziale con il Protocollo Appalti sottoscritto il 21 maggio 2024 tra il Comune di Firenze e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil – pure richiamato nel provvedimento – laddove questo, all’art. 2, espressamente prevede che «l’adeguatezza del trattamento economico, nonché normativo, complessivo da riconoscere ai lavoratori si realizzi attraverso la applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative» e che eventuali condizioni contrattuali migliorative rispetto a quanto previsto dagli stessi CCNL potranno essere inserite nei bandi, anche sotto forma di meccanismi premiali, solo previa consultazione delle parti sociali. Viene da chiedersi, allora, se ci sia mai stato un incontro in tal senso la cui assenza, sul piano della legittimità procedurale rispetto all’adozione della determina, potrebbe pesare non poco.

Insomma, non mancano di certo gli argomenti per consentire a chi interessato di poter contestare alcune scelte compiute dal Comune di Firenze al riguardo. E non per una mera logica di interesse o “di risparmio” ma perché, nel rispetto dello spirito pluralista che la Costituzione tutela, determinate scelte – come quella del salario adeguato – vanno discusse nelle sedi opportune e con gli organi che hanno una investitura costituzionale sulla materia.

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi