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Bollettino ADAPT 16 dicembre 2019, n. 45
È stato recentemente approvato in Commissione Bilancio al Senato un emendamento che introduce uno sgravio contributivo totale, di durata triennale, degli oneri a carico dei datori di lavoro che assumono apprendisti di primo livello in aziende fino a 9 addetti. L’emendamento vede come primo firmatario Daniele Manca (PD) e, se sarà confermato anche nella versione definitiva della Legge di Bilancio, sarà applicabile alle assunzioni realizzate nel corso dell’anno 2020. Torna quindi operativo l’incentivo originariamente previsto dalla legge n. 183/2011, che aveva introdotto questo sgravio, in vigore fino al 2016. Sia Confartigianato che Cna hanno accolto caldamente questa misura, destinata in particolare alle aziende di piccole dimensioni e artigiane, spesso le più in difficoltà a gestire gli oneri (non solo burocratici) connessi a questa fattispecie contrattuale.
Dopo gli annunci e i contro-annunci riguardanti il taglio delle risorse destinato al Sistema Duale (e quindi anche all’apprendistato di primo livello), una notizia come quella ora riportata va sicuramente accolta con cautela, e sarà necessario aspettare il testo definitivo della manovra per poterla valutare. È comunque fin da subito possibile affermare che questo intervento va nella direzione giusta, favorendo la diffusione dell’apprendistato “duale” proprio in quei settori dai quali, storicamente, è emerso: quelli dell’artigianato.
L’apprendistato è uno strumento utile a contrastare alcune problematiche largamente diffuse nel mercato del lavoro italiano: la disoccupazione giovanile e le difficili transizioni scuola-lavoro. Non solo. Al di là della disoccupazione, un dato particolarmente critico è quello dell’occupazione giovanile: basti pensare che, considerando la coorte di età 15-24 anni, in Italia la percentuale di occupati si ferma al 18,5%, contro il 42,2% della media OCSE e, ad esempio, il 30% della Francia, il 48,8% della Germania, il 50,4% del Regno Unito, il 62% della Svizzera (dati OCSE). Questi dati mostrano la difficoltà tutta italiana a coniugare apprendimento e lavoro, favorendo la collaborazione tra sistemi formativi e aziende. L’apprendistato di primo livello, che permette l’acquisizione di un titolo di studi secondario superiore integrando l’apprendimento realizzato in aula con quello sul luogo di lavoro, è quindi un’efficace misura di promozione dell’occupazione giovanile e del dialogo tra mondo della scuola e della formazione e mondo delle imprese.
L’incentivo, e più in generale le misure economiche messe in campo, non sono, però, sufficienti a garantirne il successo. Nonostante infatti l’apprendistato di primo e terzo livello godano di incentivi fiscali maggiori e più convenienti rispetto a quelli previsti per l’apprendistato di secondo livello, o professionalizzante, i primi due pesano solo per il 3.5% sul totale degli apprendistati in Italia (dati INAPP-INPS). Per raggiungere quindi gli obiettivi sopra richiamati, e sfruttare tutte le potenzialità insite in questa fattispecie contrattuale, a misure economiche deve essere affiancato anche un ripensamento culturale.
Un ripensamento possibile anche grazie alle tante esperienze, diffuse in tutta Italia, di utilizzo di questo strumento come vettore per promuovere la crescita e lo sviluppo territoriale. Ad esempio, la Fondazione Badoni di Lecco, che a partire dal 2012 ha concretamente investito sull’apprendistato di primo livello per costruire legami tra sistemi formativi e imprese del territorio, favorendo la costruzione di profili professionali corrispondenti a quanto richiesto dalle trasformazioni tecnologiche in atto e promovendo così lo sviluppo economico e l’occupazione dei giovani (per approfondire si veda A. Battaglia, L’apprendistato di primo livello per lo sviluppo del mercato del lavoro locale, in Bollettino ADAPT n. 39/2019). Oppure, è quanto accade dal 2016 a Fornovo di Taro (Parma), dove i percorsi di apprendistato di primo livello realizzati dall’Istituto Gadda con le aziende del settore meccanico locali hanno permesso la costruzione di un ecosistema territoriale della formazione, nel quale la collaborazione tra diverse realtà – istituzioni formative, imprese, parti sociali, enti pubblici, agenzie per il lavoro – è il fattore determinante la competitività del territorio. Emerge qui chiaramente come l’apprendistato di primo livello sia stato scelto non primariamente per i benefici economici e fiscali ad esso connessi, quanto piuttosto per la sua straordinaria capacità di creare solidi legami tra mondi tradizionalmente pensati come distinti e separati: la scuola e il lavoro, favorendo la costruzione di una vera e propria “nuova grammatica” capace di fare dialogare queste realtà con l’obiettivo non solo di rispondere ad un fabbisogno di competenze espresso dal sistema delle imprese, ma anche per introdurre una nuova metodologia con la quale formare integralmente i giovani, favorendone l’occupabilità e promuovendo, allo stesso tempo, l’attrattività del territorio attraverso lo sviluppo congiunto del capitale umano e delle imprese. Basti qui richiamare le parole di Franco Bercella, imprenditore che collabora ormai da anni con l’Istituto Gadda: «L’apprendistato “costa”, prima di tutto, tempo e fatica: ma ogni imprenditore sa per esperienza che senza tempo e senza fatica non avrebbe potuto raggiungere nessun traguardo, una volta riconosciutone il valore. Il problema è allora tornare a riconoscere il valore di questi sistemi integrati scuola-impesa. Ma è una sfida urgente: in un territorio dove le imprese sono ricche e il tessuto sociale muore, c’è una bomba a orologeria, che prima o poi esploderà. Se non si investe nelle competenze e nella formazione dei giovani, aiutando le scuole, i giovani andranno a studiare – e lavorare – altrove: è così che un territorio muore. Investendo invece nell’apprendistato, investiamo nel nostro futuro come imprenditori, oltre che come cittadini di questo territorio» (si veda M. Colombo, “Ecco perché scegliamo l’apprendistato di primo livello”. Intervista a Franco Bercella, in Bollettino ADAPT n. 8/2019).
L’apprendistato di primo livello è stato individuato come uno degli strumenti da mettere in campo per favorire lo sviluppo in Provincia di Belluno, nella ricerca recentemente pubblicata, a cura di ADAPT, Lavoro, competenze e territorio. Ricerca e azione per il futuro del lavoro nella Provincia di Belluno. Anche in questo caso, l’apprendistato di primo livello è pensato come un efficace ponte tra scuola e lavoro, grazie al quale i giovani integrano la loro formazione con l’esperienza in azienda, a beneficio di tutti i soggetti coinvolti: le istituzioni formative si aprono al territorio e aumentano la loro attrattività, le aziende entrano in contatto con i giovani e riscoprono la loro capacità formativa contribuendo attivamente al percorso di apprendimento, dotandosi allo stesso tempo di collaboratori in possesso delle competenze effettivamente richieste e colmando così lo skill mismatch spesso denunciato dal mondo imprenditoriale, e i giovani svolgono un cammino di crescita non racchiudibile nella semplice aggiunta di competenze professionali al loro percorso di studio: scopo di questi percorsi è infatti la formazione integrale della persona, vero fattore dirimente la sua occupabilità nei moderni contesti lavorativi (per approfondire, si veda S. Negri, F. Seghezzi, Verso la costruzione di nuovi ecosistemi territoriali: il caso della provincia di Belluno, in Bollettino ADAPT n. 44/2019)
È in questo fecondo orizzonte collaborativo e territoriale che l’apprendistato dispiega tutte le sue potenzialità. L’incentivo economico è quindi condizione sì necessaria, ma non sufficiente per garantirne il successo. Un successo particolarmente auspicabile oggi, nella moderna quarta rivoluzione industriale, nella quale l’integrazione tra apprendimento e lavoro diventa un vettore fondamentale della crescita, mentre viene riscoperto il valore del “fare artigiano”. A questo proposito, ADAPT ha recentemente pubblicato un Bollettino Speciale: Apprendistato e mestieri: una lezione dal passato per la IV Rivoluzione industriale, contenente interventi, testi scientifici e riflessioni che riscoprono il prezioso insegnamento che, ancora oggi, ci consegna l’apprendistato realizzato “a bottega”. La trasformazione del lavoro oggi in atto è contraddistinta dal superamento di logiche di standardizzazione della produzione, verso una sempre maggiore centralità del lavoratore, delle sue competenze, della sua capacità di collaborare con altri e costruire conoscenze condivise: come accadeva nella bottega artigiana nel periodo pre-industriale, quando l’apprendistato era utilizzato come strumento per la costruzione e la regolazione dei mestieri, attraverso la formazione dei giovani. Uno strumento che ha permesso, proprio grazie alle sue caratteristiche, di diffondere l’innovazione in Europa, favorendo la mobilità degli apprendisti: innovava non solo chi aveva a disposizione le necessarie tecnologie, ma chi poteva godere della collaborazione di capitale umano altamente qualificato. Oggi come ieri, allora, l’apprendistato può essere valorizzato come una leva fondamentale per la promozione dell’innovazione e della produttività, superando quelle concezioni che lo relegano a strumento per contrastare la disoccupazione giovanile. Per raggiungere questi obiettivi, agli incentivi economici va affiancato quindi un ripensamento dell’istituto: un ripensamento che parte dalla rappresentanza, dalle parti sociali, dai territori, dalle scuole e dalle imprese. Solo in questa nuova logica, collaborativa e plurale, è possibile costruire percorsi di apprendistato in grado di accompagnare le trasformazioni tecnologiche e favorire lo sviluppo economico e sociale.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo