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Bollettino ADAPT 20 luglio 2022, n. 28
Un’impresa piemontese è interessata ad attivare un master in apprendistato di alta formazione (o di terzo livello) con il Politecnico di Milano. Quale disciplina regionale dell’apprendistato dovrà applicare? Quella piemontese o quella lombarda?
Ancora: una grande impresa con sede legale a Milano vuole realizzare un percorso di apprendistato “scolastico” (o di primo livello) con un IFTS pugliese, assumendo gli apprendisti presso una propria sede operativa a Lecce: può scegliere di adottare la disciplina regionale della sede legale dell’azienda, quindi quella lombarda, al fine di attivare il percorso di apprendistato in Puglia?
La normativa vigente, sul punto, non è chiara. Il presente contributo vuole allora provare ad offrire spunti per una riflessione dedicata a questa tema, al fine di meglio orientare gli operatori impegnati nella già di per sé complessa progettazione di percorsi di apprendistato duale (di primo e terzo livello) e pur nella consapevolezza della necessità di un intervento chiarificatore da parte dei Ministeri competenti.
Per prima cosa, è opportuno brevemente approfondire il ruolo delle discipline regionali nella regolamentazione dell’apprendistato duale e professionalizzante.
Nel caso dell’apprendistato “scolastico”, la sua regolamentazione è affidata alle Regioni, per quanto ovviamente riguarda gli aspetti formativi. L’assenza di un esplicito rimando a quest’ultimo aspetto viene agevolmente superata dall’analisi delle competenze assegnate alle Regioni, che non posso intervenire sulla disciplina del rapporto, riservata allo Stato (sul punto si veda D. Garofalo, L’apprendistato nel decreto legislativo n. 81/2015 (artt. 41-47), in F. Carinci (a cura di), Commento al D.lgs.15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT Labour Studies E-Book series, qui p. 261). Lo stesso vale per l’apprendistato di alta formazione e ricerca, con due specifiche: alle Regioni e alle Province autonome vengono assegnate «la regolamentazione e la durata» di questa tipologia di apprendistato, mentre la disciplina regionale deve essere adottata «in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca» (art. 45, c. 4). Una rapida rassegna delle regolamentazioni attualmente vigenti (consultabili su Fare Apprendistato), permette di evidenziare come, concretamente, per “aspetti formativi” inerenti il rapporto di apprendistato si faccia riferimento in particolare a: i) La durata del contratto di apprendistato duale; ii) gli standard formativi riguardanti la percentuale esterna massiva realizzabile sul totale del monte ore ordinamentale del percorso1.
Per quanto invece riguarda l’apprendistato professionalizzante, o di secondo livello, alle Regioni compete la regolamentazione dell’offerta formativa pubblica, mirante a fornire agli apprendisti competenze di base e trasversali ad integrazione della formazione professionalizzante, erogata sotto responsabilità del datore di lavoro nel rispetto di quanto previsto dal CCNL applicato in azienda.
Chiarito il ruolo delle discipline regionali, una prima, possibile, risposta sembrerebbe indicare che la disciplina da applicare sia sempre quella della sede dell’istituzione formativa: nei casi citati, quindi, quella lombarda (dato il coinvolgimento del Politecnico di Milano), e quella pugliese (dato il coinvolgimento di un IFTS progettato e realizzato in Puglia).
Sembra andare in questa direzione anche la circolare n. 12/2022 del Ministero del Lavoro, dedicata all’apprendistato di primo livello, brevemente commentata in un recente articolo del Bollettino ADAPT. In questo documento si legge come sia possibile attivare “apprendistati transregionali”, come quelli degli esempi citati in apertura, cioè da parte di un’azienda che ha sede in una regione e che collabora con un’istituzione formativa operativa in un’altra, con la precisazione che: «Resta fermo che per gli aspetti riferiti alla formazione, la disciplina regionale di riferimento è quella della sede dell’istituzione formativa in cui viene erogato il percorso».
Tale prospettiva è però complicata dalla attenta lettura dell’art. 47, c. 8, del decreto legislativo 81/2015. Si legge infatti che «I datori di lavoro che hanno sedi in più regioni o province autonome possono fare riferimento al percorso formativo della regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all’articolo 9-bis del decreto-legge n. 510 del 1996 nel servizio informatico dove è ubicata la sede legale». Cosa significa? La disposizione è inserita all’articolo 47, rubricato “Disposizioni finali”, e sembra quindi riguardate tutti e tre i livelli di apprendistato. Se poi il rimando al «percorso formativo della regione dove è ubicata la sede legale» è un riferimento a-tecnico ai profili formativi di competenze regionale, allora si potrebbe pensare che le imprese multilocalizzate possano adottare la disciplina della regione dove hanno sede legale, anche per quanto riguarda l’apprendistato duale. Nel secondo esempio richiamato in apertura, l’azienda con sede legale a Milano che attiva presso una sua sede operativa in Puglia e con un’istituzione formativa pugliese, potrà scegliere (a sua discrezione) se adottare la disciplina pugliese (dove sono presenti sede operativa e istituzione formativa) o quella lombarda (dove è presente la sede legale).
Può essere utile, data la poca chiarezza con cui è scritta la norma, approfondirne le origini. Si parla del “problema” delle aziende multilocalizzate per la prima volta con la circolare del 29 settembre 2010, n. 34 del Ministero del lavoro. Mentre infatti una previsione simile all’art. 47, c. 8 del D.lgs. 81/2015 (non erano però citate le province autonome) è inserita anche nel c.d. Testo Unico dell’apprendistato del 2011 (D.lgs. 167/2011), all’all’art. 7, comma 10, non è invece presente alcun riferimento a tale facoltà riconosciuta alle aziende multilocalizzate nella c.d. Legge Biagi (D.lgs. 276/2003). Il problema viene quindi affrontato inizialmente a livello di prassi amministrativa dopo la riforma del 2003, per poi essere “incorporato” dalla disciplina nazionale a partire dalla riforma del 2011.
Nella circolare richiamata vi era un esplicito riferimento al settore del turismo, e alle sue peculiarità: veniva infatti ricordato la “variabilità” a livello locale del settore e le sue esigenze di flessibilità e “stagionalità”. Con l’intento allora di promuovere una «semplificazione dei connessi oneri burocratici», venivano approfondite la regolamentazione del lavoro intermittente, occasionale accessorio, a tempo determinato e ovviamente dell’apprendistato. In questo documento si prevedeva che in presenza di «imprese dislocate in diverse regioni, e pertanto sottoposte a differenti discipline regionali […] la disciplina applicabile all’apprendistato debba essere quella della regione in cui ha sede legale il datore di lavoro». La stessa previsione è peraltro prevista per l’attivazione di tirocini curriculari. L’indicazione, in questo caso, è (relativamente) chiara: per tutte e tre le tipologie di apprendistato, il riferimento è alla disciplina regionale applicabile alla sede legale dell’impresa coinvolta, ed è inoltre alla sede dell’impresa che va fatto riferimento per capire quale disciplina applicare, non a quella dell’istituzione formativa eventualmente coinvolta.
Come è noto, il c.d. Testo Unico dell’apprendistato (D.lgs. 167/2011) è stato preceduto da un’intensa fase di confronto con le parti sociali al fine di arrivare ad un testo concordato e coerente con le indicazioni di quegli attori che, più di altri, risultano decisivi per l’affermazione dell’istituto.
Un primo documento sul quale soffermarsi è quindi l’intesa siglata il 27 ottobre 2010 (Per il rilancio dell’apprendistato). Al punto 3 di questo documento si legge: «In caso di imprese multi-localizzate, per l’attivazione dei contratti di apprendistato e per i tirocini formativi e di orientamento trova applicazione sul tutto il territorio nazionale la sola regolamentazione della Regione dove l’impresa ha la propria sede legale». Non vi è riferimento al solo apprendistato professionalizzante. In un contributo dedicato agli aspetti qui approfonditi si legge come «questo (intervento) intendeva rispondere al problema della differenziazione normativa tra regione e regione, per cui, in assenza di una previsione come quella dettata dall’accordo stesso, un’impresa ubicata in diverse regioni si trovava costretta ad applicare, laddove esistenti, diverse discipline regionali, spesso frammentarie e tra loro disallineate. Da ciò ne derivava una complessità operativa tale da scoraggiare l’utilizzo del contratto di apprendistato presso le imprese multilocalizzate» (M. Tuttobene, Imprese Multilocalizzate, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico dell’Apprendistato e le nuove regole sui tirocini, Giuffrè, 2011, p. 533).
Nello schema di decreto approvata il 5 maggio del 2011 non vi è traccia alcuna della previsione riguardante le imprese multilocalizzate, che viene invece reinserita nella versione del testo approvata in sede di Conferenza Stato-Regioni del 7 luglio 2011. Sebbene si parli, anche in questo caso, solamente di “apprendistato”, è però evidente come le disposizioni si riferiscano – almeno nelle intenzioni degli ideatori della norma – all’apprendistato professionalizzante. Lo schema di decreto del 5 maggio 2011 prevedeva infatti un monte ore fisso di formazione di base e trasversale per l’apprendistato di secondo livello, superando quindi – almeno in parte – la frammentarietà regionale: il testo successivo invece indica solamente la durata massima di tale offerta formativa pubblica. Il legislatore sembra allora reintrodurre il comma in analisi proprio per far fronte alla (eventuale) situazione di frammentarietà che si sarebbe potuto generare, «evitando così quel fenomeno, pressoché paradossale, per cui l’impresa è tenuta ad applicare diverse discipline dell’apprendistato quante sono le diverse regioni sulle quali insistono gli stabilimenti produttivi della azienda stessa» (così M. Marchetti, Il punto di vista di Confindustria, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico dell’Apprendistato e le nuove regole sui tirocini, Giuffrè, 2011p. 67). Ma dato che il riferimento – mai però esplicitato – è all’apprendistato professionalizzante, non si fa più riferimento, come nell’intesa dell’ottobre 2010 alle regolamentazioni regionali, ma si parla invece di “percorso formativo”: proprio perché il rimando è all’offerta formativa pubblica regolamentata e gestita dalle regioni e ai relativi percorsi per le competenze di base e trasversale.
Il tema della scelta della disciplina regionale applicabile in caso di azienda multilocalizzate è affrontato anche l’accordo adottato in Conferenza Stato-Regioni del 20 febbraio 2014, Linee guida per l’apprendistato professionalizzante, ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99. Qui si legge, al punto 4 “Aziende multilocalizzate”, che: «Le imprese che hanno sedi in più Regioni, per l’offerta formativa pubblica possono adottare la disciplina della Regione dove è ubicata la sede legale o, a seguito della piena operabilità delle attuali linee guida e, quindi, dell’uniformità in termini di durata e contenuti della formazione per l’acquisizione di competenze di base e trasversali, le imprese multilocalizzate possono avvalersi dell’offerta formativa pubblica disponibile presso le Regioni in cui hanno sedi operative». Viene confermato il principio già espresso nella versione del Testo Unico del 2011, in questo caso però parlando non di “percorso formativo”, ma di “disciplina”: potrebbe quindi sembrare che alle imprese non venga chiesto di attenzionare i soli aspetti riguardanti la realizzazione del percorso formativo (ad esempio: durata, contenuti, soggetti accreditati), ma anche la disciplina regionale in quanto tale, nella sua interezza (che si concentra anche su altri aspetti, come il monitoraggio, l’utilizzo di piattaforme informatiche, e altri casi particolari). Con il Jobs Act (e quindi con la disciplina vigente) il rimando torna ad essere al “percorso formativo”, ma con l’evidente richiamo al rispetto della regolamentazione regionale nella sua interezza.
Le Linee guida menzionate sono state però precedute dalla Circolare n. 35 del 29 agosto 2013, del Ministero del Lavoro. Nel documento è contenuto uno specifico chiarimento dedicato al tema qui affrontato: «attese le finalità di semplificazione», il richiamo alla disciplina «della Regione dove l’impresa ha la propria sede legale» – di cui all’art. 2, co. 2, del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla Legge 9 agosto 2013, n. 99 e attuato dalle citate Linee guida del 20 febbraio 2014 – deve riferirsi «a quelli che sono i contenuti e la durata della stessa formazione», dovendosi intendere la disposizione normativa applicabile «compatibilmente con l’offerta formativa pubblica della Regione dove l’apprendista svolge la propria attività», senza imporre «un obbligo di frequenza di corsi extra-Regione e quindi maggiori oneri per le imprese». Con specifico riferimento al solo apprendistato professionalizzante, la Circolare richiamata segnala come (i) la disciplina regionale da applicare in caso di aziende multilocalizzate sia quella del territorio ove è ubicata la sede legale (non si parla qui di “possibilità”), e (ii) che l’adozione della disciplina regionale del territorio in cui l’impresa ha sede legale deve essere “compatibile” con l’offerta formativa pubblica della regione presso la quale si trova la sede operativa in cui è assunto l’apprendista.
Dalla breve rassegna ora realizzata sembra quindi possibile trarre alcune osservazioni conclusive.
– La ricostruzione dell’origine della disposizione riguardante le aziende multilocalizzate sembra evidenziare come il criterio di scelta da adottare, nel momento in cui ci si trova davanti ad un problema come quello riportato nel primo esempio, è quello di far riferimento alla sede dell’impresa, e non dell’istituzione formativa. Quindi, l’impresa piemontese dovrà adottare la disciplina di Regione Piemonte per l’assunzione di apprendisti di alta formazione iscritti al Politecnico di Milano, non quella lombarda: tutti gli interventi richiamati sul punto avevano come riferimento l’impresa quale criterio di scelta della disciplina regionale applicabile, e nessuno ha (mai) fatto riferimento alla sede dell’istituzione formativa quale criterio di scelta della normativa da applicare;
– Almeno dal 2011 in poi, pare evidente come le disposizioni commentate abbiamo come riferimento l’apprendistato professionalizzante, senza però che il rimando a questa specifica fattispecie sia mai richiamato, né negli accordi in Conferenza Stato-Regioni e con le Parti Sociali, né nei testi di legge. Il richiamo “generico” all’apprendistato sembra quindi abilitare la scelta di adottare la disciplina della regione in cui l’impresa ha sede legale anche nel caso dell’apprendistato duale: tracciata l’origine dell’espressione “percorso formativo”, ancora presente all’art. 47, c. 8, è evidente come essa faccia riferimento applicazione integrale della disciplina regionale, mentre l’assenza di un esplicito rimando all’apprendistato professionalizzante porta ad allargare l’applicazione di tale criterio a tutti e tre i livelli, e quindi anche all’apprendistato duale;
– L’obiettivo di semplificare il ricorso all’apprendistato che giustificava l’introduzione originaria di questa disposizione resta confermato anche nel caso dell’apprendistato duale, tanto più che l’adozione di diverse discipline regionali applicate ad apprendisti assunti dal medesimo datore di lavoro, inquadrati allo stesso livello e impegnati in percorsi lavorativi di pari grado, potrebbe dar luogo anche a retribuzioni differenti. Dato che nel caso dell’apprendistato duale la formazione esterna, svolta presso l’istituzione formativa, non è retribuita, l’adozione di discipline regionali che prevedano diverse percentuali di formazione esterna sul monte ore formativo totale potrebbe dar luogo alle differenziazioni di qui sopra, a danno degli stessi apprendisti coinvolti;
– Allo stesso tempo, le discipline regionali potrebbero essere “calibrate” sulle specifiche proprie dell’offerta formativa locale e delle istituzioni presenti sul territorio, e quindi ciò spiegherebbe la scelta della disciplina della regione in cui l’istituzione formativa ha sede: se questo è certamente vero per quanto riguarda l’istruzione e formazione professionale, di competenza regionale e che quindi ben potrebbe prevedere sinergie tra le due discipline (dell’apprendistato, e della formazione professionale), meno comprensibile sembra il rimando alle istituzioni terziarie. Anche questa obiezione può essere, almeno in parte, superata se pensiamo che le discipline regionali dell’apprendistato di alta formazione sono adottate previo accordo con le istituzioni formative presenti sul territorio, e quindi la “sinergia” di cui prima potrebbe comunque realizzarsi.
– La circolare del Ministero del Lavoro (12/2022) appare troppo frettolosa sul punto, e non aiuta a risolvere i dubbi esposti in questo contributo. In maniera chiara e netta, sottolinea come “Resta fermo che per gli aspetti riferiti alla formazione, la disciplina regionale di riferimento è quella della sede dell’istituzione formativa in cui viene erogato il percorso”. Sembrerebbe quindi che nel caso dell’apprendistato di primo livello, la disciplina regionale dell’apprendistato da applicare sia quella del territorio dove ha sede l’istituzione formativa, mente non è chiaro se in caso di aziende multilocalizzate si possa scegliere di far riferimento alla sola disciplina regionale dove ha sede legale.
– In conclusione, sembra che con quest’ultima Circolare il Ministero del Lavoro abbia modificato la sua tradizionale interpretazione riguardante i criteri per la scelta della disciplina regionale applicabile, riconoscendo che nel caso dell’apprendistato di primo livello – e quindi si ritiene anche del terzo, data la forte somiglianza tra le due regolamentazioni – la disciplina da tenere in considerazione sia quella dell’istituzione formativa. Pare però fatta salva la possibilità, per le aziende multilocalizzate, di far riferimento comunque alla disciplina della regione dove hanno sede legale. Riprendendo quindi, per un’ultima volta, gli esempi posti in apertura, l’azienda piemontese dovrà adottare la disciplina lombarda, mentre l’azienda multilocalizzata con sede legale a Milano potrà scegliere se adottare la disciplina lombarda o quella pugliese.
Matteo Colombo
ADAPT Senior Research Fellow
Direttore di “ADAPT professional series”
Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (*)
@RauseiP
(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.
1 Ad esempio: su un percorso ITS che prevede, normalmente, lo svolgimento in un biennio di 1800/2000 ore di formazione, un contratto di apprendistato di alta formazione per il conseguimento del Diploma ITS che applica la disciplina dell’Emilia-Romagna prevederà che al massimo 1080/1200 ore nel biennio – pari al 60% sul monte ore ordinamentale.