Apprendistato: le distanze che ci separano dal Regno Unito

“We do everything we can to make taking on an apprentice as simple as possible”. Bastano queste pochissime parole per capire quale sia la distanza che intercorre tra il Regno Unito e l’Italia. Là, il Governo guidato dal Premier Cameron ha appena dato alle stampe una agile guida dedicata agli imprenditori che intendono assumere apprendisti. Da noi, invece, voci, più o meno, di corridoio parlano di un nuovo e pesante intervento normativo sull’apprendistato. Il secondo sotto la guida del Ministro Poletti. L’ennesimo dal 2011.
 
Leggendo l’Employer Guide to Apprenticeship la sensazione che si ricava è la forte volontà da parte del Governo inglese di offrire un aiuto concreto e personalizzato alle imprese che hanno intenzione di assumere apprendisti, grazie al supporto del National Apprenticeship Service. Questo ha il compito di lavorare a stretto contatto con le aziende di tutte le dimensioni per identificare: i loro bisogni formativi, la formula di apprendistato adeguata, il modo migliore di erogare la formazione. Tutt’altro quindi che una struttura burocratica e astratta. Al contrario, la mission specifica del National Apprendiceship Service sta proprio nella sua capacità di dare risposte precise e customer-focused, facendo da tramite e collettore tra il giovane apprendista, l’azienda e i centri di formazione.
 
La politica di promozione dell’apprendistato da parte del Governo va di pari passo con una “riscoperta” del valore di tale strumento anche da parte delle stesse aziende. La guida predisposta dall’Esecutivo inglese parla di un 82% di imprese che scelgono l’apprendistato perché è in grado di formare personale adeguatamente preparato. A questo si aggiunge un 88% di imprenditori che ritengono tale contratto utile ad aumentare il grado di motivazione dei dipendenti oltre che a ridurre i costi di ricerca e selezione. Infine, tra i dati elencati, emerge anche la dichiarazione secondo cui per ben l’81% delle aziende, l’apprendistato contribuisce a elevare il livello di produttività.
 
La traduzione in atto delle intenzioni del Governo britannico passa, in primo luogo, da un servizio internet di qualità. Un apposito portale – nas.apprenticeships.org.uk – permette l’incontro tra aziende e potenziali candidati. A stupire sono i numeri. Più di 500.000 persone utilizzano il portale e nel periodo 2012/2013 più di 1,4 milioni di “applications” sono state fatte on-line.
 
Se si volge rapidamente lo sguardo dal Regno Unito all’Italia, la sensazione che si ha è di tutt’altro tenore. Dopo l’intervento di giugno, il Governo è intenzionato a modificare per l’ennesima volta il contratto di apprendistato, andando a incedere proprio sulle tipologie che collegano scuola e lavoro.
 
Al di là delle soluzioni che verranno presentate, l’unica cosa certa è che un’azione legislativa in questo momento destabilizzerebbe nuovamente le aziende. E non solo. Dal 2011 in poi, anno del varo della rinnovamento dell’apprendistato, ogni riforma del lavoro è intervenuta sul Testo Unico. E così, una normativa che doveva essere semplificata non più di quattro anni fa, è ora imbrigliata e incapace di far decollare realmente lo strumento. Altro quindi che “far sì che assumere un apprendista sia il più semplice possibile”, come recita il documento inglese.
 
In Italia, poi, il supporto informatico pensato dal Governo del Regno Unito manca del tutto. Il sito tematico – www.nuovoapprendistato.gov.it – è ormai in stallo da tempo. La piattaforma di incontro pensata per attuare Garanzia Giovani – di cui l’apprendistato è un pilastro, almeno nelle intenzioni europee – è anch’essa incapace di raggiungere gli scopi per cui era stata pensata.
 
Per la #svoltabuona in materia di apprendistato, il Governo italiano invece di proporre nuove soluzioni normative, potrebbe limitarsi a favorire quanto già in vigore, magari attraverso anche il supporto di vere piattaforme informatiche. Insomma, potrebbe guardare al buon esempio inglese.
 
Umberto Buratti
ADAPT Senior Research Fellow
@U_Buratti
 
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