Il 15 gennaio 2014 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro hanno siglato un Protocollo d’intesa finalizzato a garantire una maggior efficienza del mercato del lavoro attraverso una azione di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, nonché alla diffusione della cultura della legalità e alla semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (cfr. www.lavoro.gov.it/Notizie/Pages/20140115_protocollo-consulenti.aspx dove, peraltro, si presenta l’istituto come “certificazione della regolarità contrattuale delle imprese”). L’intesa si fonda sulla premessa, reciprocamente valorizzata dalle parti, che già l’art. 30, comma 5, della legge n. 183/2010 ha riconosciuto il ruolo di terzietà svolto dai consulenti del lavoro, assegnando ai Consigli Provinciali oltre alla possibilità di costituire commissioni di certificazione (già attribuita dall’art. 1, comma 256, della legge n. 266/2005), anche quella di operare come commissioni di conciliazione ed arbitrato. L’asseverazione della regolarità delle imprese viene quindi sviluppata in dieci articoli che ne descrivono procedura, disciplina ed effetti.
Nel primo articolo si descrive la “ASSE.CO.” quale «asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro» rilasciata dal Consiglio nazionale dei Consulenti del Lavoro in merito ad alcuni aspetti del rapporto di lavoro subordinato e parasubordinato e meglio specificati nell’allegato tecnico di chiusura del Protocollo.
L’art. 2 descrive invece l’iter con cui viene rilasciata l’asseverazione. Nella pratica il datore di lavoro presenta (personalmente o tramite il consulente delegato) istanza al Consiglio nazionale dichiarando di non aver commesso illeciti nell’anno precedente l’istanza o alla data di presentazione dell’istanza (solo per la prima richiesta). Alla sua dichiarazione si unisce anche quella del consulente, previa verifica delle evidenze documentali, circa la sussistenza dei requisiti per il rilascio del DURC e il rispetto della contrattazione collettiva. Le dichiarazioni di entrambi, datore di lavoro e consulente vengono effettuate ai sensi dell’art. 76 del DPR n. 445/2000, ciò significa che entrambi i dichiaranti (e solo i dichiaranti non l’organo asseveratore), in caso di dichiarazioni mendaci, risponderanno penalmente. Poiché però la dichiarazione si riferisce all’anno precedente, cosa succede – sul piano della rilevanza penale – se la richiesta di intervento successivamente presentata alla DTL ha ad oggetto proprio violazioni relative al rapporto di lavoro che era stato asseverato e queste risultano poi effettivamente accertate dagli Ispettori del lavoro? Indubbiamente il consulente del lavoro si espone ad una responsabilità oggettiva molto gravosa perché il rapporto di lavoro, pur essendo in regola sulla carta, può non esserlo dal punto di vista sostanziale e questo può emergere anche a distanza di tempo dall’asseverazione.
L’art. 3 disciplina le modalità di rilascio dell’asseverazione che può essere ottenuta entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, esclusivamente in via telematica, e ha validità annuale (salvo il venir meno dei requisiti). Il consulente che ha rilasciato la dichiarazione si obbliga a controllare ogni 4 mesi la permanenza dei requisiti di regolarità, il controllo però è soltanto di tipo formale. Nel caso vengano meno i requisiti il consulente è obbligato a comunicarlo al Consiglio nazionale il quale qualora venga omessa la comunicazione informa il Consiglio Provinciale ai fini dell’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del consulente, contestualmente viene anche sospesa la possibilità di rilasciare l’ASSE.CO. Questa forma di controllo in itinere attribuita al consulente si basa sul rispetto della normativa fiscale, contributiva e retributiva da parte del datore, ma non si spinge fino al merito dello svolgimento del rapporto di lavoro, dove cioè si annidano le forme di elusione contrattuale totale o parziale, pur nel rispetto apparente delle norme giuslavoristiche. Le sfumature del rapporto di lavoro sono tante e tali che è impensabile un controllo di tipo tecnico, come avviene per le certificazioni ISO 9000 sulla qualità, dove appunto occorre semplicemente constatare la presenza o meno di determinati parametri tecnici di tipo oggettivo. Anche se il Protocollo restringe le materie sulle quali operare l’asseverazione, manca il c.d. “olfatto psicologico” della prova che può acquisirsi solo attraverso l’incrocio delle dichiarazioni dei lavoratori e che può essere raggiunto attraverso una verifica mirata e sostanziale del rapporto di lavoro che fa capo agli Ispettori del lavoro preposti ai controlli.
L’art. 4 precisa che sul sito del Ministero del lavoro e su quello dei Consulenti del lavoro sarà pubblicato un elenco delle aziende in possesso di ASSE.CO, elenco aggiornato ogni 15 giorni e che è liberamente consultabile anche ai fini della programmazione dell’attività ispettiva da parte delle DTL nei limiti di quanto sancito dall’art. 7 del Protocollo.
Il successivo art. 5 precisa che non tutti i consulenti potranno rilasciare la dichiarazione necessaria per ottenere l’asseverazione, ma solo quelli individuati dal Consiglio nazionale in possesso dei requisiti e attraverso percorsi di formazione obbligatoria. Non si precisano però in sede di Protocollo i requisiti che dovranno essere posseduti per l’accesso dei consulenti a questa attività, fatta eccezione per l’indispensabile svolgimento dell’attività professionale “esclusivamente in forma di lavoro autonomo”.
L’art. 6 è senza dubbio fra quelli più rilevanti perché ricorda che eventuali false dichiarazioni del datore di lavoro e del consulente circa l’assenza di illeciti, comportano per entrambi una responsabilità di tipo penale: la pena implica la reclusione da 2 a 5 anni, nonché la radiazione dall’albo dei consulenti del lavoro (art. 31 della legge n. 12/1979). Nulla si dice, però, della responsabilità sopravvenuta in caso di contestazione di violazioni successive ovvero riferite al periodo di tempo coperto dalla ASSE.CO. Può il consulente del lavoro difendersi invocando una sorta di errore scusabile, sostenendo di non essere stato a conoscenza di eventuali utilizzi impropri dei contratti posti in essere dal datore di lavoro? Se la responsabilità rimane relegata ad un mero “imprimatur” sugli adempimenti burocratici in materia di retribuzione e contribuzione già regolarmente effettuati dall’azienda che si assevera, è evidente che questo poco ha a che fare con un reale contrasto al lavoro irregolare, dovendosi – in uno Stato liberale e democratico – presumere necessariamente che un qualsiasi adempimento regolarmente effettuato da un’impresa, o dall’intermediario per suo conto, corrisponda alla relativa situazione di fatto, fino a prova contraria, senza alcuna necessità di ulteriore “bollinatura”.
Il successivo art. 7 nella sua elaborazione riecheggia, in certa misura, la macrodirettiva sui servizi ispettivi del 18 settembre 2008, ma l’impostazione è completamente differente. In quel contesto si richiamava un istituto di fonte legale (art. 75 del d.lgs. n. 276/2003), vale a dire la certificazione dei contratti di lavoro, chiamato a limitare l’ispezione nei suoi effetti, condizionati (tranne quelli cautelari) dalla preventiva attivazione del contenzioso giudiziario, che tuttavia non blocca l’ispezione, la quale si svolge regolarmente e consente di raccogliere tutti gli elementi utili a definire l’accertamento ispettivo, qui invece, con l’ASSE.CO., l’ispezione non parte neppure perché “in via assolutamente prioritaria” la Direzione generale per l’attività ispettiva si impegna a programmare l’attività di vigilanza per le aziende prive di asseverazione, mentre per quelle con ASSE.CO. l’accertamento ispettivo andrà avanti se a monte c’è una richiesta di intervento specifica, o la richiesta di accertamenti da parte di una Autorità giudiziaria o amministrativa ovvero se l’ispezione rientra in un’attività programmata per le verifiche a campione delle dichiarazioni rese nella procedura di asseverazione.
In verità questo pare essere il vero discrimine rispetto alla certificazione proprio perché l’attività certificativa, a differenza della ASSE.CO, implica un controllo anche sul merito del rapporto di lavoro. A parità di competenze e capacità tecnico-giuridiche (necessario presupposto in entrambi gli istituti), nella certificazione dei contratti la terzietà e la pubblicità sono elementi particolarmente caratterizzanti (anche i certifier di natura giuridica privata esercitano funzioni pubbliche amministrative quando svolgono attività di certificazione), mentre l’asseverazione richiede fidelizzazione, responsabilità dirette ed uniformità procedurali, ma non può presupporsi la terzietà del professionista che non è chiamato a svolgere una attività di tipo pubblicistico (il consulente è proprio colui che gestisce i contratti e i rapporti di lavoro per l’azienda che chiede l’asseverazione). Proprio per questo dal punto di vista oggettivo, il campo, ben più ampio, della certificazione è quello della qualificazione e della legittimità di interi contratti o di singole clausole contrattuali, mentre l’asseverazione si rivolge ad aspetti di carattere formale, con riferimento alla corretta esecuzione di adempimenti documentali.
Si aggiunge, inoltre, che l’asseverazione può essere utilizzata per gli appalti privati per la verifica della regolarità delle imprese, se appaltatore e committente reciprocamente riconoscono l’efficacia di tale documento, mentre gli Ispettori devono tenerne conto in occasione degli accertamenti ispettivi. D’altra parte l’asseverazione non sostituisce il DURC, né in alcun modo prova la genuinità del rapporto di lavoro instaurato fra le parti, né blinda l’utilizzo improprio del contratto, ma neppure incide sul regime di solidarietà negli appalti.
Negli ultimi tre articoli si prevede un tavolo di coordinamento congiunto fra Ministero del lavoro e Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, al fine di monitorare ed eventualmente rettificare semestralmente le procedure connesse al rilascio della ASSE.CO., nonché valutare l’opportunità di iniziative formative e informative congiunte per consulenti e Ispettori (art. 8). Si stabilisce poi l’impegno delle parti a diffondere con ogni mezzo il Protocollo a fini di pubblicità e trasparenza (art. 9). Infine si stabilisce che dopo il primo biennio di entrata in vigore del Protocollo sono possibili eventuali proroghe o modifiche al testo dell’intesa (art. 10).
Segue quindi, in allegato, un elenco delle materie che possono formare oggetto di dichiarazione di regolarità da parte del datore di lavoro e del consulente, relative a: lavoro minorile, tempi di lavoro, il lavoro sommerso, salute e sicurezza sul lavoro, contratti collettivi, regolarità contributiva e corresponsione della retribuzione. L’allegato tecnico identifica puntualmente l’oggetto della asseverazione sul singolo tema e descrive in dettaglio i parametri normativi ed operativi di riferimento.
In conclusione, peraltro, ferma restando una reale valutazione di effettività soltanto all’esito di una prima sperimentazione concreta dell’istituto, va senza dubbio rilevato che ASSE.CO. non costituisce una vera e propria “asseverazione” posto che tale può dirsi il risultato documentale di un procedimento mediante il quale un soggetto (asseveratore) dotato di capacità professionale adeguata, riconosciuta e certificata, sottoposto ad un preciso codice etico e ad un conseguente controllo deontologico, sotto la propria responsabilità diretta, personale e professionale certifica o attesta stati, fatti o qualità di un determinato soggetto (asseverato) direttamente riscontrabili sulla base della documentazione e sulla scorta di una verifica di fatto svolta secondo le capacità tecnico-giuridiche dell’asseveratore (cfr. per un approfondimento, con dettagliata esemplificazione, A. Asnaghi, P. Rausei, Asseverazione: peculiarità e funzioni, in Dir. Prat. Lav., 2011, 32, 1845-1850).
Qui ad asseverare non è un professionista, ma il Consiglio nazionale di un ordine professionale, l’asseverazione si fonda su dichiarazioni sostitutive che tolgono qualsiasi responsabilità all’asseveratore, declinandole esclusivamente in capo ai dichiaranti, non è previsto nessun accertamento sostanziale da parte dell’organo asseveratore e neppure dal professionista che rilascia la dichiarazione presupposto dell’ASSE.CO., con ciò minando alle fondamenta lo scopo ed insieme l’utilità dell’istituto che, invece, avrebbe dovuto consentire di ottenere rapidamente una valida constatazione di specifici fatti giuridicamente rilevanti, al fine di favorire e semplificare le procedure di accertamento verso il soggetto asseverato da parte della pubblica amministrazione (compresi gli organi di vigilanza) e di privati con finalità di controllo (come nel sistema di responsabilità della filiera degli appalti).
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@ Annarita_Caruso
ADAPT Professional Fellow e Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro
@RauseiP
* Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.