Dobbiamo tornare a riflettere sul lavoro autonomo. Dobbiamo rovesciare il luogo comune, molto radicato nella cultura politica italiana, che si tratti di qualcosa di obsoleto che un giorno o l’altro verrà spazzato via dalla forza della modernità. I fatti ci dicono che non è così. Siccome quel poco o tanto di modernizzazione che riusciremo a costruire sarà comunque figlio della grande crisi e delle cose che avremo imparato (a nostre spese), è bene osservare quanto sta accadendo attorno a noi.
Il lavoro dipendente cala e non solo per i vincoli legislativi di cui si parla tantissimo l’arcinoto articolo 18 ma perché quella che si delinea è un’economia molto più nervosa e imprevedibile di ieri. Non ci saranno più cicli economici lunghi che rendono facile la programmazione degli investimenti, delle scelte di mercato e di conseguenza dei fabbisogni di personale.
Avremo, specie in una prima fase, un avanzamento a dente di sega con picchi e ritirate che probabilmente si susseguiranno in maniera disordinata. È chiaro che a fronte di queste novità ci sarà grande prudenza nell’assumere impegni e persone, la quantità di manodopera flessibile necessaria aumenterà con uno stop and go al quale non siamo abituati e per il quale forse non abbiamo nemmeno le regole giuste. Ma la tendenza verso il lavoro autonomo non sarà riflesso solo del bisogno di contenere i costi e di viaggiare dal punto di vista occupazionale con un equipaggio rapportato ai passeggeri, si porrà anche un problema di maggiore responsabilizzazione nella creazione del valore.
Il lavoro autonomo, per la mobilitazione individuale di energie e di assunzione di rischio che comporta, si presta moltissimo ad accompagnare un processo di valorizzazione e a minimizzare le rendite di posizione. Possiamo dire che è intrinsecamente darwiniano e opera quella selezione di merito che una cattiva gestione del lavoro dipendente troppo spesso non riesce a ottenere. Ma se i vantaggi sul versante della responsabilizzazione sono evidenti, c’è il pericolo che l’autonomia porti con sé una frantumazione del processo cognitivo. Per ottenere grandi risultati c’è bisogno di organizzazione e concentrazione di cervelli/risorse e l’individualizzazione del lavoro.
Va delineandosi un’economia imprevedibile e nervosa
Il lavoro indipendente aumenterà perché responsabilizza ed è meno caro da sostenere. Ovviamente va in tutt’altra direzione. Senza che si senta il bisogno di fasciarsi la testa in anticipo converrà intanto monitorare cosa succede nella realtà di tutti i giorni avendo cura però di tenere la testa sgombra da pregiudizi e semplificazioni, a partire da quell’equazione arcidiffusa che suona così: lavoro dipendente uguale sinistra, lavoro autonomo uguale destra.
Molte professioni che prima erano totalmente a impiego oggi vedono aumentare velocissimamente il lavoro indipendente e il giornalista è sicuramente una di queste. In più sul mercato della ricerca della prima occupazione ben un giovane su quattro si rivolge all’auto-impiego per un doppio ordine di motivi: a) l’accesso al lavoro dipendente è sempre più difficile; b) si ha l’impressione che in alcuni settori, vedi il commercio e la ristorazione, le barriere all’ingresso siano molto più basse. Potremmo continuare sciorinando il catalogo delle novità e tirando in ballo altre professioni, altre tendenze di esternalizzazione del lavoro, ma ci sarà tempo per portare avanti questo discorso. Ciò che è importante adesso è aprire gli occhi, liberare la testa e tenersi pronti a inventare soluzioni nuove per problemi nuovi.