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A seguito del collasso del regime comunista nel 1989, la produttività del lavoro in Polonia è cresciuta in maniera consistente seppur lentamente. Tale crescita, che non ha accennato ad arrestarsi neppure durante e dopo la crisi del 2008, sembrerebbe determinata soprattutto dal processo di catch-up tecnologico rispetto agli altri Paesi europei, reso possibile dalla radicale liberalizzazione dell’economia che ha attirato importanti investimenti diretti esteri. Nonostante questo trend di crescita costante, la Polonia si colloca tra i Paesi europei a bassa produttività, con un valore pari alla metà della produttività tedesca e inferiore di oltre il 40% rispetto al dato italiano e a quello del Regno Unito. Come evidenziato da diversi autori, sarà necessario ancora molto tempo prima che la produttività del lavoro in Polonia si allinei con gli standard delle grandi economie europee. Il Paese, però, può ancora contare su ampi margini di crescita, dati dal non completo utilizzo delle risorse fisiche e umane a disposizione.
La questione della produttività del lavoro è stata per lungo tempo trascurata dall’agenda di governo in Polonia. Solo negli ultimi anni, le élites politiche al potere sembrano aver acquisito maggiore consapevolezza sul ruolo della produttività per lo sviluppo e la crescita economica del Paese. Nel 2015, in un documento programmatico dal titolo “Priorità di Politica Industriale 2015-2020”, il Governo polacco ha riconosciuto che i bassi livelli di produttività costituiscono un fattore di debolezza dell’industria manifatturiera. Più recentemente, a inizio 2017, l’attuale Governo ha diffuso un altro piano intitolato “Strategie per uno Sviluppo Responsabile”, nel quale ha proposto di stimolare la produttività tramite una “reindustrializzazione intelligente”, cioè orientata allo sviluppo dei settori high-tech e alla modernizzazione dei settori tradizionali. L’obiettivo sarebbe quello di passare da una crescita economica trainata dal basso costo del lavoro ad una incoraggiata da investimenti tecnologici e organizzativi. Tra gli interventi che indirettamente possono incidere sui livelli di produttività, va annoverata l’istituzione, nel 2014, del Fondo Nazionale per la Formazione (KFS), che, previa richiesta delle aziende interessate, può coprire fino all’80% (al 100% nel caso delle realtà di più piccole dimensioni) delle spese sostenute dalle imprese per lo sviluppo e l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori.
Sin dal 1989, fenomeni quali il deterioramento della contrattazione collettiva e la frammentazione delle relazioni industriali hanno impedito alle parti sociali di svolgere un ruolo concreto per la crescita della produttività. In Polonia la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 15%, la percentuale dei lavoratori inscritti ai sindacati intorno al 12%, e la densità di organizzazioni datoriali è appena superiore al 20%. Non solo la contrattazione collettiva è fortemente decentrata ma sempre più spesso la regolazione dei rapporti di lavoro in azienda è lasciata alle iniziative unilaterali dei datori di lavori, che si limitano a riconoscere ai lavoratori diritti e tutele già previsti dalla legge. A controbilanciare la scarsa attività contrattuale, provvedono, però, i vari comitati tripartiti di settore (Trójstronne Zespoły Branżowe, TZB), che tra la fine del secolo e l’inizio del 2000, hanno giocato un ruolo molto importante nel mantenimento della pace sociale, agevolando il dialogo e il confronto tra le parti.
Nell’ambito del progetto europeo “Bargaining for productivity”, si è indagato il rapporto tra contrattazione e produttività in quattro settori chiave dell’economia polacca: il settore della distribuzione, l’automotive, il settore alberghiero e della ristorazione, la sanità. Ne è emerso che la contrattazione collettiva non costituisce una pratica diffusa in nessuno dei settori analizzati. Nel caso della distribuzione, nonostante le pressioni dei sindacati per avviare tavoli di negoziazione, la gestione delle relazioni di lavoro avviene prevalentemente per via unilaterale, e l’andamento positivo della produttività è riconducibile essenzialmente all’intensificazione del lavoro e a maggiori flessibilità organizzative, consentite dall’incremento di forme contrattuali atipiche. Maggiori pressioni sul carico da lavoro dei dipendenti, conseguenti a costanti riduzioni di personale, sono altresì riscontrabili nelle strutture di cura e ospedaliere, e costituiscono un ostacolo a una crescita sostenibile del settore sanitario. Alcune eccezioni positive interessano il comparto dell’automotive e in particolare le unità produttive delle imprese multinazionali, dove ha luogo la contrattazione collettiva. Negli stabilimenti Volkswagen, ad esempio, azienda e sindacato mantengono relazioni di tipo collaborativo e negoziano sistemi di retribuzione variabili, connessi alle performance (individuali e di gruppo) dei lavoratori. Di particolare interesse risulta, infine, il “Consiglio Settoriale per le Competenze nel Turismo”, organismo finanziato fino al 2030 con fondi europei, con il compito di formulare raccomandazioni per nuove misure legislative a superamento del divario di competenze nel settore. Il progetto, guidato dall’Unione dei Datori di Lavoro del Turismo (Lewiatan) in collaborazione con la Scuola di Economia di Varsavia (SGH) e l’Istituto del Turismo, dovrebbe enfatizzare anche la dimensione del dialogo sociale. Tuttavia, fatta salva la presenza dell’Unione dei Professori Polacchi (ZNP), i sindacati non prendono parte alle attività dell’organismo.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo – ADAPT
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Università degli Studi di Bergamo – ADAPT
*Questo articolo sintetizza le principali evidenze emerse dal report Bargaining for Productivity. The Polish case, a cura di Jan Czarzasty.