In questi anni, di Fiat si è discusso e narrato molto in Italia con categorie più utili a descrivere la cronaca rosa che una grande vicenda industriale. Troppo spesso si passa dall’elogio all’azienda a una generalizzata demonizzazione di quello che hanno fatto i sindacati. Quegli accordi, condizione per tornare ad investire in Italia, sono costati aggressioni e assalti alle nostre sedi, e dirigenti messi sotto scorta. Per cosa? Forse per avere salvato il settore. Un altro abruzzese come Silone diceva giustamente che le istituzioni e le loro opere le fanno le persone. E questa cosa l’ha fatta Marchionne con una parte del sindacato contro tutti.
Finanche la Stampa di Torino fu molto fredda nei mesi più duri dello scontro. Sergio Marchionne ha preso la Fiat da anni malata di scarsa innovazione, di errori nella gestione delle persone e delle strategie commerciali. La crisi si apre formalmente solo nel 2002, ma il declino inizia molti anni prima. Alcuni lo fanno risalire all’uscita di Vittorio Ghidella nel 1988. Sta di fatto che la Fiat dal 1980 al 2010 ha perso 50mila dipendenti. Un lungo succedersi di cambiamenti al timone dell’azienda, molti eventi nella proprietà, incrociati con continui e importanti cambiamenti nel settore automotive. Nel 2004, quando entra in scena Sergio Marchionne, l’azienda è sull’orlo del baratro: perde più di un miliardo di euro l’anno, rischia la chiusura. L’anno precedente era considerata tecnicamente fallita. Dal 2007 la riorganizzazione rientra nel vivo…
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