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Bollettino ADAPT 14 ottobre 2019, n. 36
L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, con il Messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, ha espresso la propria posizione in ordine al peculiare rapporto tra la titolarità di una carica sociale e l’instaurazione, tra la medesima società e la persona fisica che la amministra, di un autonomo rapporto di lavoro subordinato. Il messaggio in esame si colloca nel solco della pluriennale giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sul punto e affermativa, al ricorrere di determinati presupposti, della compatibilità tra la qualità di amministratore e quella di prestatore di lavoro nell’ambito della stessa persona giuridica.
L’importanza dell’intervento dell’Inps, dunque, risiede non già nel carattere innovativo delle posizioni assunte dall’Istituto, ma nel recepimento di quei principi giurisprudenziali volti a scongiurare un’aprioristica incompatibilità tra i due ruoli, attesi i possibili effetti pregiudizievoli ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali e assistenziali.
Ed infatti l’Inps – nonostante le pregresse timide “aperture” di cui al messaggio n. 12441 dell’8 giugno 2011 – in precedenza aveva escluso che per i presidenti ed i consiglieri delegati (oltre che per gli amministratori unici) di una società potesse essere validamente riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società medesima.
Orbene, rivisitata la rigida posizione originaria, l’Istituto Previdenziale ha fornito i propri chiarimenti nell’ambito di un pregevole percorso logico argomentativo, strutturato dalla preliminare disamina della portata della carica sociale assunta, seguita dall’indagine in ordine alla sussistenza dei requisiti della subordinazione nell’ambito del parallelo rapporto di lavoro.
La carica sociale: l’ampiezza dei poteri ed il rapporto con l’organo collegiale.
Secondo il messaggio in commento, come anticipato, non è necessariamente incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato la titolarità della carica di membro o anche di presidente del consiglio di amministrazione di una società, ma ciò purché sussista, in concreto, la soggezione alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale.
Sulla base di tale assunto, dunque, le uniche apodittiche preclusioni all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato afferiscono alle figure di amministratore unico e di socio unico della società: nel primo caso in ragione dell’assenza dell’organo collegiale a cui consegue il potere dell’amministratore di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale; nel secondo in quanto la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.
Orbene, fornite tali preliminari considerazioni, l’Inps entra nel merito dei rapporti tra carica sociale e organo collegiale. Infatti se, da un lato, la presenza del consiglio di amministrazione è idonea a non precludere l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con un suo membro, dall’altro non è di per sé circostanza sufficiente ai fini della valutazione della genuinità di quest’ultimo rapporto. Occorre, dunque, valutare in concreto l’ampiezza delle deleghe conferite, nell’ottica di stabilire se sussista o meno la facoltà del presidente/amministratore di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione.
L’Inps, dunque, svincola la propria valutazione dalla mera fotografia del “fenomenico”, invitando gli operatori del settore ad un’indagine concreta e accurata in ordine all’ampiezza dell’incarico gestorio (non considerando, peraltro, dirimente ai fini della legittima instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato neppure la rappresentanza legale della società). Sotto tale profilo, dunque, è quanto mai opportuno procedere ad una puntuale disamina afferente ai rapporti intercorrenti tra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, alla facoltà di agire congiuntamente e disgiuntamente, al numero degli amministratori delegati, oltre che, come vedremo, alla concreta sussistenza del vincolo di subordinazione con riferimento al rapporto di lavoro.
Il rapporto di lavoro: la sussistenza degli indici propri della subordinazione e la distinzione dal rapporto organico con la società.
Stabilita, dunque, l’astratta possibilità di coesistenza di un rapporto di amministrazione e di lavoro subordinato con la medesima società, occorre verificare, in concreto, l’atteggiarsi di quest’ultimo al fine di poterne affermare l’effettiva genuinità. In particolare, secondo l’Inps, è necessario verificare, in primis, l’estraneità delle mansioni rispetto alle attività connesse al rapporto organico nonché la presenza dei caratteri tipici della subordinazione, da individuarsi, come da consolidata giurisprudenza, nella periodicità e predeterminazione della retribuzione, nell’osservanza di un orario di lavoro, nella soggezione al potere disciplinare, direttivo e di controllo della società, nell’assenza di rischio in capo al lavoratore.
Se tale esegesi risulta più agevole per il lavoro dipendente tout court, quanto al lavoro dirigenziale occorre far riferimento ai criteri c.d. complementari e sussidiari quali, tra i vari, l’assunzione con qualifica dirigenziale, il conferimento dell’eventuale carica di direttore generale da parte dell’organo amministrativo nel suo complesso unitamente all’effettivo svolgimento delle relative mansioni, la cessazione del rapporto mediante licenziamento, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo del datore di lavoro e l’assoggettamento, seppur in forma lieve o attenuata, alle direttive e agli ordini del datore di lavoro ancorché il prestatore mantenga una effettiva autonomia decisionale connessa alla propria qualità di dirigente.
In entrambi i casi, dunque, l’Inps assume l’irrilevanza del nomen iuris, tuttavia valorizzando, ai fini qualificatori, la distinzione tra gli importi corrisposti a titolo di retribuzione e i compensi connessi alla carica sociale ricoperta.
La compatibilità tra carica sociale e lavoro dipendente: osservazioni conclusive.
Il messaggio in commento, all’esito dell’analitica indagine svolta, conclude prevedendo che, ai fini della valutazione della compatibilità oggetto di esame, è necessario l’accertamento in concreto, in ogni singola fattispecie, del ricorrere delle seguenti condizioni: (i) l’affidamento del potere deliberativo diretto a formare la volontà dell’ente (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto) all’organo collegiale di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale che esplichi un potere esterno; (ii) la sussistenza, in concreto, del vincolo della subordinazione e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale ricoperta, all’effettivo potere di supremazia gerarchica di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene; (iii) lo svolgimento, in concreto, di mansioni che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe conferite.
Come anticipato in premessa, l’importanza dell’intervento in esame – da considerarsi una summa dell’evoluzione giurisprudenziale in materia – sta nell’aver apertamente recepito i richiamati principi, il che non potrà che assumere precipua rilevanza ai fini ispettivi, nell’ottica di ridurre l’alveo delle fattispecie potenzialmente passibili di gravi pregiudizi previdenziali ed assistenziali, diversamente da quanto occorso in passato.
Sul punto giova, tuttavia, evidenziare come ancora si trascuri l’evoluzione storica che ha interessato l’organizzazione aziendale e ciò con precipuo riferimento alle teorie della c.d. “organizzazione multi divisionale”, recepite dalle principali multinazionali mondiali a partire dagli anni cinquanta. Tali teorie, infatti, contemplano la creazione di strutture multi divisionali a livello di gruppo legate a specifiche aree d’affari e/o aree territoriali, spesso prevedendo anche la creazione di task forces composte dai vertici o comunque da personale chiave di varie società del gruppo, secondo un più ampio vincolo di subordinazione che si estrinseca rispetto a taluni esponenti della capogruppo o comunque di diverse società appartenenti al gruppo. In un simile contesto (ed in un’ottica speculare rispetto a quanto esposto) nel caso di coesistenza, in capo allo stesso soggetto, della carica sociale e del rapporto di lavoro subordinato con la medesima società, l’eventuale assenza in seno al consiglio di amministrazione di quest’ultima di uno o più esponenti del gruppo gerarchicamente sovraordinati ai fini della subordinazione, potrebbe determinare il “disconoscimento” della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, con le predette gravi conseguenze soprattutto sotto il profilo pensionistico.
Aldilà del rilievo che precede, non può certo svilirsi la portata del messaggio in commento, nell’auspicio che i principi giurisprudenziali e le determinazioni dell’Istituto proseguano congiuntamente il percorso evolutivo intrapreso, anche nell’ottica di una ridefinizione del concetto di subordinazione.
Sara Tiraboschi
Avvocato del Foro di Milano