Si è concluso alle 21,30 del 23 febbraio l’iter politico-sindacale che ha portato le parti sociali del settore agricolo al rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i quadri e gli impiegati, dopo una intensa giornata di azzardi, strappi latenti e mediazioni consumatesi tra gli affreschi di Palazzo della Valle. In una escalation di proposte e controproposte percentuali rimaste ignote fino all’ultimo, le tensioni che hanno accompagnato le parti sociali nella spinosa questione retributiva, hanno infine trovato componimento in un aumento dello stipendio contrattuale pari al 2,5% (più o meno 40 euro mensili), applicabile a circa 20.000 dipendenti e a circa 7.000 aziende agricole dal 1 gennaio 2017. Una cifra la quale, a dire il vero, nel più ampio panorama sindacale settoriale – alle prese con i rinnovi di circa 80 contratti provinciali degli operai agricoli e florovivaisti – dice molto più di quanto esprima il dato numerico in sé. Perché pregna di caratteri simbolici, capaci di parlare chiaro a chi è addentro all’universo sindacale; e valida a rivelare il valore reale, non meramente contingente, delle soluzioni pattizie cristallizzate nel nuovo testo collettivo, dal punto di vista normativo.
Microclima intersindacale tipico e contingente
Dalla presentazione della piattaforma sindacale unitaria, a firma di Confederdia, FAI-CISL, FLAI-CGIL e UILA-UIL (31 luglio 2015)([1]), all’avvenuta firma del verbale d’accordo – anch’essa unitaria – con le rappresentanze datoriali di Confagricoltura, Coldiretti e CIA, sono trascorsi 19 mesi (20 dalla formale disdetta dei sindacati, del 22 giugno 2015), per un totale di 8 riunioni tecniche incentrate sulla definizione degli aspetti normativi del rinnovo. Ad esclusione delle fasi di apertura e di chiusura plenaria delle trattative, le riunioni tecniche hanno dato ragione del reciproco riconoscimento raggiunto dalle parti sociali del settore, così come della ultradecennale strutturazione dei rapporti intersindacali in termini decisamente anticonflittuali([2]), cooperativi, ispirati alla composizione morbida degli interessi confliggenti.
Una cooperazione tra parti sociali tipica dell’agricoltura italiana che, nel caso peculiare degli impiegati e dei quadri, risulta ancora più accentuata; perché legata a doppio filo al ruolo che tali categorie ricoprono all’interno della compagine aziendale. Figure professionali discendenti dalla tradizione poderale centro-settentrionale e da quella cascinale settentrionale di fine
Ottocento ([3]), esse, ancora oggi, si connaturano per un elevato contenuto esperienziale e sapienziale talvolta indispensabile alla conduzione tecnica dell’azienda: in termini di sviluppo delle colture, certo, ma anche di progresso ed innovazione tecnologica, in una dimensione gestional-qualitativa spesso sostitutiva della funzione imprenditoriale([4]). Va letta, in tale ottica, allora, l’apparente “anomalia” di una contrattazione agricola in cui la disciplina collettiva degli operai è tenuta separata da quella dei quadri e degli impiegati, che quasi scinde il sistema contrattuale generale in due sottoinsiemi di “contrattazione di mestiere”: quale retaggio storico, sicuramente, ma anche quale strumento di salvaguardia e separazione di identità e saperi professionali diversamente congeniali all’imprenditore.
Per quanto, poi, come sempre – in un moto dinamico e progressivo – è solo alla luce della contrattazione collettiva risoltasi nel passato (nel precedente rinnovo 2012-2015, in particolare), che si comprende quella del presente e per il futuro (per i 2016-2019). Giacché se si sommano gli aumenti riconosciuti dal precedente contratto nazionale per il biennio 2012-2013 (pari al 5,6 %) a quelli riconosciuti a livello territoriale peri il biennio successivo 2014-2015 (pari al 4%)([5]), risulta evidente come l’aumento salariale della penultima tornata (come somma dei due precedenti pari circa al 9%) portasse inevitabilmente con sé la necessità delle associazioni datoriali di recuperare spazi sul terreno sul costo del lavoro: senza le concessioni fatte in tempi di crisi più organica dell’attuale e, magari, rifacendosi – come poi è stato in tale tornata – agli scostamenti tra realizzazione e previsione dell’inflazione misurata dall’indice IPCA nel 2012-2015, nonché alla previsione di questo stesso indicatore per gli anni 2016-2019.
La piattaforma sindacale
La forma e la strategia di rivendicazione
La piattaforma unitaria del 31 luglio 2015 si è risolta in caratteri formali e strategici che attingono la loro funzione direttamente dalla tradizione novecentesca, in quanto incardinata su un elenco puntuale di richieste sindacali avanzate nei confronti della controparte datoriale; ciò, dunque, secondo lo schema tipico della rivendicazione sindacale diretta ed unilaterale, rimessa alla valutazione dei soggetti portatori di interessi contrapposti e alla riequilibratura in corso di trattativa.
Le richieste formali di cui in piattaforma
Tra le richieste avanzate da parte sindacale in piattaforma – eccettuata la quantificazione dell’aumento salariale, tenuta celata fino al giorno della chiusura – si evidenziavano:
a) il prolungamento del periodo di esercizio del diritto di precedenza nella eventuale riassunzione con contratto a tempo determinato da 12 a 18 mesi;
b) la richiesta di attivazione di (indefinite) maggiori tutele occupazionali per i nuovi assunti a tempo indeterminato post Jobs act;
c) l’adeguamento di alcuni istituti alla normativa post Jobs act (in tema di: clausole elastiche per il part-time, apprendistato, contratti di inserimento (ai fini della sua abrogazione contrattuale))
d) l’introduzione di nuove figure professionali in diverse categorie professionali (l’istruttore ippico; il responsabile di allevamento ittico; il responsabile della conduzione di impianti per la produzione di energia da rinnovabili e biocarburanti; il personale educativo), nonché il passaggio di livello di alcune figure professionali (impiegati addetti ai controlli di qualità dei prodotti, alla tracciabilità, rintracciabilità e origine degli stessi, ai fini di una corretta etichettatura; l’educatore ambientale; il coordinatore pedagogico);
e) l’abrogazione della 6° categoria (composta da: uscieri, fattorini, commessi)
f) il riconoscimento di un livello retributivo proprio per i quadri;
g) la definizione di criteri certi ed obiettivi a regolazione delle ipotesi di demansionamento mediante rinvii alla contrattazione territoriale e mediante accordi con le RSA/RSU;
h) il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per le ferie differite o interrotte in caso di eccezionali esigenze manifestate dal datore
i) il passaggio da 1 a 2 del numero dei permessi retribuiti a favore del lavoratore in occasione della nascita, dell’adozione o dell’affidamento pre-adottivo di un minore;
j) l’aumento della quota di congedi parentali riconosciuti contrattualmente;
k) una indennità per l’incarico HACCP e l’aumento dell’indennità di cassa mensile;
l) la stipula di una polizza kasko a spese del datore a favore del dipendente utilizzatore abituale della propria vettura nell’espletamento dei compiti delegati dall’imprenditore;
m) la copertura assicurativa giudiziaria, a carico del datore, per i quadri o impiegati con funzioni direttive e di responsabilità per le spese di assistenza giudiziale eventualmente sostenute dagli stessi;
n) la verifica dell’andamento del Fondo Sanitario Impiegati Agricoli e conseguenti iniziative a sostegno.
Dai tavoli negoziali all’accordo: diario brevissimo di un rinnovo
Dalla prima riunione tecnica del 14.01.2016 fino all’ultima, dello stesso giorno del rinnovo (23.02.2017), il clima negoziale si è contraddistinto per disponibilità e correttezza reciproca, al punto da potersi affermare che, in rapporto alla parte normativa, le contrapposte tendenze datoriali e sindacali sui temi di cui in piattaforma abbiano trovato componimento graduale e ordinato. La discussione tecnica delle parti sociali ha seguito un corso lineare, sfociando in modifiche pattizie le quali – per quanto risoltesi in mutamenti sostanziali di disciplina – non hanno mai, neppure idealmente, minato alla primazia della questione retributiva, quale unico vero terreno di contesa ai fini della chiusura dell’accordo.
Ne è prova la difficoltà con la quale ad essa si è pervenuti “ufficialmente”: dopo l’apertura formale del tavolo alle 12.00, in effetti, l’accordo “ufficioso” sulla parte normativa è stato raggiunto in 3 ore (alle 15.00); laddove, in compenso, per la definizione degli aumenti retributivi si è dovuta attendere la sera, dopo una serrata e – a tratti, nono poco – tesa ordalia di offerte e controfferte di 6 ore. Terreno labile, quello economico, come sempre; sul quale, invero, alla granitica coesione delle associazioni datoriali ferme sulla percentuale concordata, ha fatto da contraltare, in sede sindacale, una momentanea non composizione degli interessi. Allorché Confederdia e UILA-UIL si trovavano disposte alla chiusura dell’accordo sull’aumento al 2,5%, non assistite ugualmente da FLAI-CGIL e FAI-CISL, ferme sul 2,6 %.
Uno 0,1 punto percentuale, dunque, quello sul quale si sarebbe potuto consumare, politicamente, lo strappo di CGIL e CISL, se portata fino in fondo la momentanea indisponibilità al cedimento su tale versante. Uno strappo quasi subito rientrato, non appena monetizzato politicamente il peso di un ulteriore rimando temporale della chiusura dopo 19 mesi di attesa: infinitamente più insopportabile per i lavoratori di un’ipotesi di rinnovo maggiorata al 2,6%, verso la quale le controparti datoriali, in ogni caso, non avrebbero ceduto di un millimetro. E, peraltro, parzialmente compensata dall’aggravio della contribuzione datoriale in rapporto al Fondo Sanitario (FIA) accompagnata all’aumento retributivo, maggiorata di 50 euro al fine del miglioramento dei servizi offerti dall’ente in ambito di welfare.
I punti dell’accordo
Anche a voler escludere gli aspetti connessi alla questione retributiva e il fatto che non sia stata riconosciuta alcuna indennità per la carenza contrattuale (18 mesi), se si guarda – in ottica di comparazione – alla piattaforma sindacale e al testo definitivo uscito dalla tornata contrattuale, si rimane facilmente persuasi di come – per usare una metafora calcistica – i fatidici tre punti siano stati conquistati dal fronte datoriale. Tra ciò che stato pattuito, conformemente a quanto richiesto inizialmente o successivamente avanzato in sede di trattativa dalla compagine sindacale, debbono annoverarsi:
1. il riconoscimento “storico” di un livello retributivo autonomo per i quadri, i quali vedranno d’ora in avanti ricompresi nella nuova paga base 85 euro della indennità di funzione precedente (laddove, fino al rinnovo, agli stessi era riconosciuto il livello impiegatizio massimo, più 185 euro di indennità, ora passata a 100 euro per 14 mensilità);
2. il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per le ferie differite o interrotte in caso di eccezionali esigenze manifestate dal datore;
3. l’impegno programmatico a disciplinare la cessione a titolo gratuito, tra dipendenti della stessa azienda, dei riposi e delle ferie per l’assistenza di figli minori disabili o che necessitano di cure costanti ai sensi dell’art. 24 del D.lgs. 151/2015;
4. l’aumento della contribuzione a carico del datore di lavoro rispetto al FIA Sanitario, in tema di welfare contrattuale (applicabile, tuttavia, solo agli iscritti, ovvero a circa 6000-7000 lavoratori).
Per il resto, inevase restano le istanze sindacali di cui in piattaforma: sia dal versante degli innesti, avanzamenti ed abrogazioni classificatorie ( il riferimento è alla 6 categoria) ([6]); di quello dei congedi e permessi straordinari (rimaste invariate); delle indennità e polizze personali varie rimaste inalterate); sia dal versante della regolazione del tema del demansionamento post modifica art. 4 Statuto dei Lavoratori([7]); delle maggiori tutele dei tempo indeterminato post rimodellamento articolo 18; della dilatazione del diritto di precedenza per i tempo determinato. Uno sbilanciamento ancor più palese, se confrontato a quanto ottenuto dalle rappresentanze datoriali (dando per assodato che il resistere a delle istanze sindacali non equivalga comunque a risultato positivo):
1. mancata previsione di una indennità di carenza contrattuale, a ristoro dei 18 mesi di mancata copertura collettiva nazionale;
2. incremento della flessibilità dell’orario di lavoro in regime multi-periodale([1]);
3. ampliamento della quota oraria da destinarsi al lavoro straordinario, attraverso l’elevazione dei limiti giornalieri (da 2 a 3 ore), settimanali (da 12 a 18 ore) e annuali (da 250 a 300 ore)([2]);
4. espunzione dal testo contrattuale delle causali previste per l’assunzione a tempo determinato post Jobs act;
5. espunzione, dall’articolato sui “Permessi” retribuiti (nuovo art. 24 CCNL), del riferimento alla “gravità” dei motivi familiari; nonché l’espunzione della clausola generica (“per altri casi”) dei motivi che legittimano il lavoratore alla fruizione dei permessi retribuiti;
6. impegno programmatico a rivedere, entro il 31 dicembre 2017, le clausole di contingentamento relative alla somministrazione di lavoro «al fine di adeguarlo alle mutate esigenze del mercato e dell’organizzazione produttiva» (nuovo art. 15 CCNL).
([1]) Ossia quella forma di orario flessibile che consente in certi periodi dell’anno di superare l’orario ordinario senza corresponsione di maggiorazioni, a fronte di una riduzione dell’orario di lavoro in altri periodi
([2]) In tema di orario multiperiodale e straordinario, dunque, d’ora in avanti sia agli impiegati e ai quadri, sia agli operai agricoli potranno essere applicate le medesime quote di flessibilità oraria (un tempo sbilanciate a favore degli impiegati e dei quadri).
Inattuate([10]), infine, rimangono le deleghe che il legislatore del D.lgs. 81/2015 riservava alla contrattazione collettiva in tema di:
ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale (art. 3, c. 4);
part-time/lavoro supplementare (art. 6, commi 1 e 2);
part-time/clausole elastiche (escludendo l’espunzione dell’aggettivo “flessibili” dalle clausole contrattualmente previste: art. 6, commi 4 e 6);
part-time/trattamento del lavoratore, in materia di periodo di prova, preavviso in caso di licenziamento o dimissioni, periodo di comporto (art. 7);
formazione dei lavoratori a tempo determinato (art. 26, c. 1);
apprendistato (art. 42, commi 1, 5 e 8; art. 44, commi 2 e 5; art. 47, c. 3).
Conclusioni
In attesa di conoscere i testi dei rinnovi degli 80 contratti provinciali per gli operai agricoli e florovivaisti che mancano all’appello, le modifiche all’articolato del CCNL quadri e impiegati, oggetto del presente commento, danno conto di due tendenze sistemiche in atto nel sistema contrattuale collettivo agricolo generale:
-
la necessità di contenere il costo del lavoro dopo tornate contrattuali ritenute dalle rappresentanze datoriali eccessivamente “generose” (soprattutto se valutate alla luce del difficile momento economico in cui vennero stipulati i precedenti aumenti);
-
la volontà di uniformare il più possibile, dal punto di vista normativo, i sistemi contrattuali riservati alle mansioni impiegatizie e semi-dirigenziali, e quelli riservati al trattamento degli operai: ciò, soprattutto in termini di flessibilità dell’orario di lavoro e disponibilità al lavoro.
Certo è che, a prescindere da dove penderà l’ago della bilancia da qui al prossimo futuro, le parti sociali del settore non potranno esimersi dalla necessità di confrontarsi con le novità che le nuove tecnologie e i processi di automazione apporteranno sull’organizzazione del lavoro, sul sistema di classificazione del personale, sulla domanda e sull’offerta di lavoro, sulle competenze, sulla formazione professionale dei lavoratori e degli imprenditori.
Dottorando in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
([1]) Rinvenibile su: http://www.confederdia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=308%3Apiattaforma-rinnovo-quadri-e-impiegati-agricoli&catid=66&Itemid=90.
([2]) Oramai sideralmente distanti dalle asprezze sanguigne dell’agricoltura dei primordi; di quelle lotte agrarie tra forza bracciantile e potere padronale consumatesi tra fine Ottocento e primo Novecento in un’Italia tutta agricola, tanto vivide nelle pagine scolpite a beneficio dei posteri da Renato Zangheri, Sergio Zaninelli, Francesco Renda, Alberto Caracciolo, Mirco Dondi.
([3]) Che voleva nel cd. fattore-dipendente il gestore ex facto dell’azienda agricola per contro del proprietario-imprenditore.
([4]) Ne fornisce testimonianza, nel sistema classificatorio, la presenza di figure professionali ad elevato contenuto di competenze, tutte nel novero delle qualifiche impiegatizie: direttori tecnici, amministrativi, commerciali e di produzione; enologi; analisti di terreno e di laboratorio; ricercatori; agronomi.
([5]) Gli aumenti retribuitivi apportati dalla contrattazione collettiva territoriale (regionale, provinciale o interprovinciale) si sommano a quelli previsti dal livello nazionale e sono validi per il biennio successivo a quello in cui vigono gli incrementi apportati dal livello nazionale.
([6]) In sede di trattativa, ci si è accorti di come molte delle figure professionali per le quali il sindacato richiedeva l’avanzamento, siano parallelamente rinvenibili nel sistema classificatorio degli operai agricoli e florovivaisti, nelle posizioni più avanzate della scale. E’ stato dunque asserito, da parte datoriale, che l’inserimento nell’inquadramento nazionale degli impiegati di quelle stesse figure, avrebbe esposto l’imprenditoria rappresentata al rischio di una vasta vertenzialità in tema di inquadramento del personale. Ciò, sul presupposto – tutto da verificare – che in sede giudiziale, i due sistemi classificatori, appartenenti a due sistemi collettivi indipendenti ma connessi, possa essere dichiarata la loro connessione, almeno sul punto della valutazione delle mansioni di spettanza e del contratto applicabile al caso concreto.
([7]) E’ stata rimandata al mittente la richiesta sindacale di prevedere una informativa alla RSA/RSU, contestuale al demansionamento del dipendente.
([8]) Ossia quella forma di orario flessibile che consente in certi periodi dell’anno di superare l’orario ordinario senza corresponsione di maggiorazioni, a fronte di una riduzione dell’orario di lavoro in altri periodi
([9]) In tema di orario multiperiodale e straordinario, dunque, d’ora in avanti sia agli impiegati e ai quadri, sia agli operai agricoli potranno essere applicate le medesime quote di flessibilità oraria (un tempo sbilanciate a favore degli impiegati e dei quadri).
([10]) Ad eccezione della delega relativa alla normazione in senso estensivo del diritto di precedenza del lavoratore a tempo determinato nell’assunzione, la quale è stata tenuta in considerazione, ma respinta dalle rappresentanze datoriali.