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A oltre quattro anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13 (“Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze”), il nostro Paese si trova in una fase di ultimazione di un sistema di individuazione e certificazione delle competenze professionali (vedi F. D’Addio, Certificazione delle competenze: spunti per una ricerca e per l’innovazione dell’azione sindacale, bollettino ADAPT n. 29/2016) che permetta al singolo soggetto di poter valorizzare e spendere le competenze acquisite all’interno del mercato del lavoro.
D’altra parte, il perfezionamento e l’implementazione di tale sistema non possono trascurare le esperienze viventi e ad oggi diffuse nel sistema di relazioni industriali. Seppur ancora lontani dal disegno immaginato dal legislatore nazionale e dalle istituzioni europee, timidi segnali di valutazione, di valorizzazione e quindi di certificazione delle competenze dei lavoratori, infatti, si riscontrano nel sistema della bilateralità in alcuni settori produttivi, nonché in alcuni interventi e istituti contrattuali quali l’inquadramento del personale e il salario variabile definito in ambito aziendale.
Il ruolo delle parti sociali e della bilateralità nella certificazione delle competenze
Un primo banco di prova per il tema della certificazione delle competenze è rappresentato dal ruolo che le rappresentanze sindacali e datoriali, principalmente nell’ottica di favorire una efficiente allocazione occupazionale, hanno riservato alla bilateralità ed alle intese interconfederali.
Il 17 febbraio 2010, ad esempio, è stata siglata l’”Intesa tra governo, regioni, province autonome e parti sociali: linee guida per la formazione nel 2010”. Tale protocollo, principalmente con riguardo ai soggetti in cerca di occupazione nel mercato del lavoro, annunciava la volontà di definire, a partire dalle esperienze già presenti a livello regionale, ed in via sperimentale per il 2010, di un sistema di accreditamento su base regionale e secondo standard omogenei condivisi a livello nazionale di “valutatori/certificatori”, valorizzando così il ruolo delle parti sociali e dei loro organismi bilaterali. Tali valutatori/certificatori, nello specifico, «dovranno essere in grado di riconoscere, valutare e certificare, in situazioni di compito autentiche e su domanda della persona in cerca di occupazione, le effettive competenze dei lavoratori comunque acquisite, in modo da rafforzare la trasparenza e la migliore informazione nel mercato del lavoro, da accrescere la capacità di offerta sul mercato
del lavoro, da migliorare l’incontro tra domanda e offerta e da stimolare la ricerca delle più utili attività formative». Circa tre anni dopo, similmente nell’ottica di valorizzare a pieno l’opportunità di giungere ad una più efficiente regolazione del mercato del lavoro, è stato siglato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, l’accordo “Una formazione per la crescita economica e l’occupazione giovanile”. Le parti hanno manifestato la volontà di realizzare un sistema nazionale di riconoscimento delle competenze formali, informali e non formali, in quanto abilitante una maggiore trasparenza del mercato del lavoro e dei meccanismi di incrocio di domanda e offerta.
Il ruolo che le parti sociali hanno riservato alla bilateralità è stato fotografato dal rapporto di Italia Lavoro “Gli Enti Bilaterali in Italia” del 2013 (con il relativo aggiornamento del 2014), giacché l’elaborato offre una panoramica generale dei servizi offerti dagli entri bilaterali stessi, tra cui figura, per quanto qui di interesse, anche la certificazione delle competenze. A titolo di esempio, si parla delle Scuole Edili, che predispongono e gestiscono, in conformità a un modello elaborato dal Formedil Nazionale (l’ente nazionale per la formazione del settore edile), un “Libretto personale di formazione edile” che registra la storia formativa del singolo lavoratore e certifica i corsi frequentati e le acquisizioni formative verificate. Ulteriormente, e sempre a titolo di esempio, il rapporto riporta altresì il caso di Fondirigenti, costituito da Confindustria e Federmanager, che, oltre a erogare prestazioni di formazione continua, offre ai dirigenti dell’industria un servizio di “Bilancio delle Competenze”, volto a valutare le competenze stesse, quindi le capacità, le attitudini e le aspirazioni professionali degli iscritti; nonché il caso dell’Ente Nazionale per la Formazione E l’Ambiente, chiamato dalle parti a favorire i processi di certificazione delle competenze collegate ai processi formativi.
La valutazione e valorizzazione delle competenze nella contrattazione nazionale
Il tema della valutazione e certificazione delle competenze non può essere scisso da quello dei sistemi di inquadramento, sicché è possibile focalizzarsi altresì su alcuni contratti collettivi nazionali (CCNL) che incidono, ancorché indirettamente, sul tema.
In particolare, la valutazione delle competenze porta in alcuni casi ad un vero e proprio riconoscimento economico, come nel caso del CCNL Energia e Petrolio, ove la valutazione complessiva della professionalità espressa dal singolo dipendente è rappresentata dalla combinazione tra l’inquadramento nelle singole categorie e l’apprezzamento dell’apporto professionale all’interno delle categorie stesse. La valutazione dei singoli apporti professionali, nello specifico, avviene attraverso una apposita scheda, quindi mediante la valutazione analitica e complessiva di quattro fattori, congiuntamente CREA, oggettivi e soggettivi: Complessità; Responsabilità; Esperienza; Autonomia. In altri casi le parti hanno perseguito un più funzionale inquadramento del dipendente nella scala classificatoria. La struttura del sistema di classificazione del CCNL Lavanderie Industriali, ad esempio, si articola in aree professionali, in moduli di area e in figure professionali. La classificazione dei lavoratori nelle aree viene effettuata sulla base delle competenze e delle figure professionali, ove per ogni lavoratore all’atto dell’assunzione viene predisposta una raccolta dati su una scheda-tipo, la quale a sua volta raccoglierà la valutazione dell’esito della formazione e/o dei percorsi di sviluppo professionale che hanno coinvolto il dipendente. L’esito di tale processo determinerà la collocazione del lavoratore nel modulo o nell’area prevista del sistema di inquadramento.
C’è poi il caso del CCNL Commercio, sia nella versione siglata da Confcommercio che nella versione siglata da Confesercenti. Alla luce degli ultimi rinnovi, infatti, con riferimento al settore dell’Information and Communications Technology (ICT), il personale viene inquadrato al proprio livello di riferimento secondo sì la scala classificatoria del CCNL, ma sulla base delle competenze possedute alla luce dell’E-Competence Framework elaborato a livello europeo, il quale mette in relazione specifiche skills e modelli di profili professionali che provengono da diverse culture ed esperienze europee.
La valutazione e valorizzazione delle competenze nella contrattazione aziendale
La contrattazione collettiva aziendale, dal canto suo, incide sulla materia della valutazione delle competenze dei lavoratori in una duplice direzione, e cioè attraverso: 1) l’introduzione e l’implementazione di sistemi retributivi, in chiave premiale e incentivante, basati su una certificazione delle competenze e così correlati alla professionalità espressa dal singolo dipendente; 2) la pattuizione di interventi diretti e strutturali sul sistema di classificazione del personale.
Dal primo punto di vista, si segnalano i casi in cui management e rappresentanze sindacali hanno introdotto e implementato sistemi retributivi, ovvero promozionali, legati ad una valutazione delle competenze espresse dai lavoratori. In tal modo la contrattazione aziendale cerca di valorizzare non tanto le mansioni del lavoratore, e cioè cosa esso fa, quanto piuttosto la qualità della prestazione lavorativa, vale a dire il come essa viene svolta. I casi assumono poi ulteriore rilevanza se li si considera esperienze di contrattazione tra le parti dei processi di certificazione e valorizzazione economica della professionalità. È il caso di alcune imprese appartenenti al settore metalmeccanico (Cominter, Minuterie Metalliche Meles, Manfrotto, Tesmec e TenarisDalmine), ma anche edile (Setten Genesio), dei trasporti (Ntv) o bancario (Santander Consumer Bank).
Dal secondo punto di vista, invece, ancorché si tratti di timide iniziative, rileva che la materia dell’inquadramento è regolata principalmente attraverso una dimensione obbligatoria e programmatica. Tuttavia, seppur più sporadicamente, la contrattazione aziendale contempla altresì degli interventi adattivi sui sistemi di classificazione del personale, i quali si sostanziano frequentemente nella creazione di nuovi livelli e profili professionali, nell’arricchimento del mansionario del contratto collettivo nazionale di riferimento, nonché nella proceduralizzazione dei passaggi di livello. Un caso riportabile è quello di L’Oréal, ove, coerentemente ad una strategia aziendale orientata all’espansione del business retail, le parti si sono impegnate in una gestione flessibile del sistema di inquadramento. Ebbene, siccome l’apertura di punti vendita diretti o in centri commerciali ha comportato l’introduzione di figure professionali non riconducibili al CCNL Chimici, con l’accordo siglato in L’Oréal le parti hanno convenuto che il posizionamento di queste ultime venga individuato mediante schemi a matrice “ad hoc”, e nello specifico attraverso dei parametri cui sono assegnati dei punteggi.
Conclusioni
Dalla mappatura svolta emerge che i protagonisti delle relazioni industriali non hanno taciuto,
nel tempo, sul tema della certificazione e valorizzazione delle competenze. Il sistema immaginato dal legislatore ed in corso di implementazione manca così probabilmente di un raccordo con le (plurime) realtà e le dinamiche del mercato del lavoro, giacché trascura il ruolo delle parti sociali, da un lato, e l’importanza di un collegamento con i sistemi di classificazione del personale, dall’altro. L’impressione, invero, è che il legislatore si mostri cieco innanzi alla grande varietà, e pure eterogeneità, delle iniziative nate dall’autonomia collettiva, oltre che incapace di utilizzare tali esperienze quali fluidificante e fattore abilitante per il sistema nazionale che mira ad introdurre.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo