Chiara Saraceno: «Mancano politiche sociali per sostenere le lavoratrici»

«Di fronte ai costi di certi servizi, come gli asili privati, tante mamme decidono di stare a casa Una tendenza da invertire»

 

«Da un lato c’è questo dato allarmante commenta la sociologa Chiara Saraceno -, ennesimo effetto della crisi, con la disoccupazione femminile che torna ad aumentare ben di più di quella maschile. Dall’altro c’è l’evidenza di un problema cronico, per risolvere il quale non può bastare la capacità delle donne, per quanto ammirevole, di organizzarsi, di cercare di conciliare la famiglia con l’attività lavorativa».

 

Vuole dire che fra vent’anni potremmo essere qui a fare la stessa intervista?

«Il rischio c’è, anche perché la via maestra per risolvere il problema della diversa incidenza della disoccupazione femminile sta nelle politiche sociali. Un argomento, questo, che tornando all’attualità non mi sembra la principale preoccupazione dell’attuale governo».

 

Che cosa rimprovera all’esecutivo?

«Mi limito a constatare che nell’agenda di Renzi la questione delle politiche sociali e quella dei servizi sono sparite, e questo dopo anni di tagli continui che hanno messo in enorme difficoltà le tante donne che devono dividersi fra casa e lavoro. Guardi, facendo riferimento alle ultime rivelazioni dell’Istat, c’è un dato che sintetizza bene la situazione».

 

Quale?

«Quello che evidenzia come per la prima volta da molto tempo a questa parte è diminuito il tasso di occupazione delle madri. Dopo anni di una crescita continua, seppur molto lenta, delle donne impegnate in famiglia e al lavoro, rischiamo in pochi mesi di tornare al punto partenza. La spiegazione è molto semplice e sta in quanto ho detto prima. Di fronte ai tagli alle politiche sociali ed al costo eccessivo dei servizi offerti in alternativa dai privati, pensiamo ad esempio al costo degli asili nido, sempre più donne sono costrette a mollare il lavoro per occuparsi ancor più dei figli».

 

Insomma, questo andamento nettamente divergente dell’occupazione femminile e maschile non la sorprende affatto.

«No, anche se poi i numeri vanno letti con attenzione. Facendolo ci si accorge che le dinamiche del lavoro femminile sono influenzate anche da un fenomeno particolare».

 

A cosa si riferisce?

«A molte donne che decidono di uscire dal grande gruppo della popolazione inattiva e segnalano la loro necessità di trovare un impiego. Necessità che se non viene soddisfatta finisce con l’ingrossare il dato percentuale relativo alle donne senza lavoro, anche senza una corrispondente perdita di occupazione femminile. Se poi aggiungiamo che quest’ultima c’è, eccome, allora la netta differenza con il mercato del lavoro maschile si spiega molto più facilmente».

 

In questi mesi si è molto parlato, e si è anche fatto, in tema di presenza femminile nei posti di elevata responsabilità dirigenziale, ad esempio nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Un segnale in controtendenza?

«Fino a un certo punto. O meglio, si tratta di una tematica su cui bisogna evitare di fare confusione. Io giudico senz’altro positivamente il dibattito sulle quote rosa, così come il riequilibrio a favore delle donne nei più importanti organismi decisionali di aziende ed istituzioni. Ma non bisogna però utilizzare questo argomento, che riguarda pur sempre poche posizioni di vertice, per sviare in qualche modo l’attenzione».

 

Vale a dire?

«Che non ci sono vasi comunicanti. Che per una donna che entra in un grande consiglio di amministrazione, non ci sono migliaia di madri che trovano un posto di lavoro riuscendo a mantenere l’organizzazione della vita familiare senza andare incontro a spese ed orari insostenibili».

 

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