Ho conosciuto Guido Calabresi, giudice presso la U.S. Court of Appeals for the Second Circuit e Sterling Professor Emeritus alla Yale Law School, in un caldo pomeriggio dello scorso settembre, in occasione della presentazione del suo ultimo lavoro, The Future of Law & Economics. In un’aula gremita di alunni, studenti e professori di diritto, Guido – come ha chiesto di essere chiamato sin dall’iniziale stretta di mano – ha tratteggiato le riflessioni essenziali svolte in ordine ai suoi precedenti saggi ed in generale alla Law & Economics, di cui, accanto al nobel per l’economia Ronald H. Coase, è uno dei massimi esponenti. A differenza dell’analisi economica del diritto, la Law & Economics non considera irrazionale la realtà se non combacia con gli archetipi legali – come Bentham faceva, secondo la critica mossagli da Mill, abbandonando le idee non rispondenti al proprio test di utilità –, bensì si pone due interrogativi. Il primo riguarda i giuristi ed il loro approccio alla realtà, che spesso li porta ad interpretarla in modo scorretto. Il secondo attiene ad un più ampio impiego della teoria economica, la cui applicazione potrebbe meglio spiegare il diritto, in una feconda relazione reciproca.
Il tentativo di osservare il mondo fattuale per come è ha ispirato la classificazione tra property, liability ed inalienability rules, contenuta in un celebre saggio del Professor Calabresi tra i più citati negli studi accademici. Secondo questa teorizzazione, una posizione giuridica soggettiva è protetta da una property rule quando il suo trasferimento è consentito soltanto mediante il consenso del titolare del diritto al prezzo dal medesimo stabilito, con conseguente inibizione dell’eventuale spoliazione dell’entitlement tentata dal terzo; viceversa, se c’è una liability rule, all’alienazione del diritto avvenuta senza il consenso del suo titolare fa seguito il rimedio risarcitorio posto in capo al terzo, sulla base di un prezzo stabilito collettivamente. Infine, in presenza di una inalienability rule, è vietata qualsivoglia ipotesi di alienazione, anche volontaria, e se ciò accade sussiste l’obbligo risarcitorio.
E’ proprio questa tripartizione ad aver motivato il mio soggiorno presso la Yale University ed una serie di colloqui con il nostro illustre connazionale, naturalizzato cittadino statunitense ormai da diversi anni. Infatti, volendo tentare un inquadramento sistematico della torsione funzionale che ha interessato la responsabilità solidale negli appalti, ho utilizzato la nota tripartizione, sostenendo che il vincolo contributivo è protetto da una regola di proprietà, laddove l’omologo retributivo lo è da una di responsabilità: l’obiettivo, quindi, è consistito nel verificare di aver correttamente inteso il fondamento di tale impostazione da applicare al mio progetto di ricerca. Il Professor Calabresi mi riceve nel suo studio al diciottesimo piano del Financial District di New Haven: praticamente un appartamento, da cui è possibile vedere l’intero complesso universitario, la Yale Law School library – «così vedo se studi», mi dice affabilmente – e, nelle giornate nitide, anche Long Island. Con gli occhi ancora imbevuti dei colori del panorama appena ammirato, mi accomodo e osservo Guido: di lui mi colpiscono sin da subito il sorriso, espressione di una gentilezza di altri tempi, e lo sguardo, ispirato ad una curiosa accoglienza dell’altro.
Da chi, ancora bambino, è stato costretto ad abbandonare il proprio Paese a causa dell’emanazione delle leggi razziali, ti attenderesti un residuo rancoroso e/o pessimistico verso il genere umano, ed invece tutto nei suoi comportamenti, nelle sue considerazioni, nello stesso tono della voce, esprime amore per la vita e fiducia verso il prossimo, tenuti insieme da una sconfinata passione per l’insegnamento. Anche quando, in occasione dell’anniversario dell’attentato alle torri gemelle, dedica un terzo della lezione per invitare i suoi alunni a riflettere sul significato della possibilità di scelta, sottratta alle vittime innocenti di quella strage e, viceversa, concessa a lui oltre settant’anni fa quando arrivò negli U.S.A. ed a noi tutti, l’emozione suscitatami da quelle considerazioni si palesa in un moto di schietta invidia verso i suoi studenti, cui è concesso il privilegio di vivere un’esperienza formativa unica, avendo lui come professore.
Che insegnare sia l’attività che Guido predilige mi è chiaro sin dalla prima lezione sui torts che mi permette di seguire: accanto ad un modo del tutto originale di catturare l’attenzione di chi lo ascolta tramite battute, racconti di aneddoti personali, familiari o storici, è autenticamente interessato ai suoi alunni – con cui chiacchiera ogni mattina prima della lezione o che invita per un pic-nic domenicale a casa sua, con tanto di indicazioni stradali preparate in uno schizzo dalla moglie e distribuite prima di parlare di diritto –, nonché scrupoloso osservatore della realtà, che cerca di analizzare abbandonando un approccio pregiudiziale.
Proprio l’analisi del mondo fattuale ha permesso al Professor Calabresi di rivedere in senso critico la sua famosa tripartizione, notando come «In most of the literature on the liability rule and perhaps, albeit unconsciously, in Melamed’s and my original article itself, there is a seeming assumption that the collectively set price, on the basis of which compelled shifts in entitlements will be allowed to take place, should mimic or approach the negotiated price that would obtain in a free market. The very use of the term “price” than “penalty” or “assessment” to describe the colletively set amount that must be paid to shift entitlements reflects the same market-mimicking underlying assumption» (G. Calabresi, The Future of Law & Economics, Yale University Press, New Haven, 2016, 118). Mi illustra le sue considerazioni nel corso del nostro incontro, suscitandomi un’infinità di intuizioni per lo sviluppo della mia tesi.
In buona sostanza, la regola di responsabilità, nella sua declinazione concreta, tende a realizzare lo stesso obiettivo della inalienability o della property rule: ciò accade maggiormente, nel primo caso, allorché il valore compensativo di un diritto è così elevato da renderne non conveniente, in termini di efficienza, la forzosa alienazione, al pari di quanto accadrebbe se quella situazione giuridica soggettiva fosse protetta da una regola di inalienabilità. Viceversa, soprattutto nel caso di esproprio per ragioni di pubblica utilità, il valore dell’indennità concessa al titolare del diritto dominicale rende preferibile una regola di proprietà. Il Professor Calabresi si avvale di un ricordo familiare per spiegare il suo pensiero.
Un suo zio possedeva un fondo a destinazione agricola nella zona del bolognese: se per affezione personale, o in quanto economista pensando che lo sviluppo della zona circostante ne avrebbe aumentato il valore, si era deciso a non venderlo, né a mutarne la destinazione d’uso. Tuttavia, avendo la pubblica autorità stabilito che in quella zona sarebbe sorto un aeroporto, il fondo fu espropriato, corrispondendo al proprietario non già il valore di mercato del bene, bensì quello d’uso, di gran lunga inferiore rispetto al prezzo cui lo zio avrebbe venduto se avesse voluto farlo. Con sottile ironia, il Professor Calabresi motiva tale decisione non alla luce della difficoltà del diritto a comprendere l’economia – come forse suo zio avrebbe detto –, bensì come sintomo della volontà legislativa di favorire un utilizzo più produttivo dei fondi. La realtà, quindi, dà conto di casi in cui la liability rule oscilla tra la regola di proprietà e quella di inalienabilità: in un senso, fissando un valore indennitario così basso da persuadere il titolare del diritto ad alienarlo volontariamente, perché più conveniente in termini di efficienza; nell’altro, stabilendo un’entità risarcitoria così elevata a seguito di spoliazione del diritto da dissuaderne nei fatti la realizzazione.
Rifletto su tali considerazioni passeggiando nel Cross Campus della Yale University e visitando la splendida Beinecke library, comprendendo la natura flessibile della regola di responsabilità e provando ad applicarla alla solidarietà retributiva negli appalti: se la liability rule può, nei fatti, assolvere alle funzioni tipiche delle altre due, quella che, all’inizio del mio percorso di ricerca, sembrava una considerazione amara – ovverosia il ‘declassamento’ della solidarietà retributiva a regola di responsabilità, a fronte di una property rule a presidio della solidarietà contributiva –, manifesta la sua intrinseca potenzialità. Infatti, i «metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti» con cui, a mente dell’art. 29, c. 2, decreto legislativo n. 276/2003, la contrattazione collettiva nazionale può derogare la responsabilità solidale retributiva, rappresentano lo strumento attraverso cui le parti sociali, sfruttando la flessibilità della regola di responsabilità, possono caratterizzare il vincolo obbligatorio, prevedendo meccanismi alternativi e/o compensativi del medesimo ed offrendo una tutela davvero efficace.
Ciò perché, a dispetto di quanto l’apparenza sembri suggerire, non sempre il committente, quale beneficiario finale della prestazione lavorativa dedotta nell’appalto, è il cheapest costs avoider, tanto per restare nel linguaggio utilizzato dal Professor Calabresi nel suo altrettanto noto The Costs of Accidents e volendo paragonare l’incidente all’insoluto retributivo datoriale. Occorre infatti considerare l’esistenza di casi in cui l’esternalizzazione, lungi dal costituire l’occasione elusiva degli obblighi datoriali, è necessitata dal ricorso a professionalità qualificata, di cui il committente e/o l’appaltatore è sprovvisto: in circostanze del genere, la regola ‘secca’ della responsabilità solidale retributiva può apparire inappropriata, in termini di efficienza, soprattutto in considerazione della natura sussidiaria del rimedio. Quest’ultima, infatti, costringerebbe i titolari del credito tutelato – i lavoratori, appunto – a sottoporsi a defatiganti quanto interminabili vicende processuali, nelle more delle quali non solo il patrimonio dell’obbligato principale, ma anche quelli degli eventuali obbligati in solido, potrebbero esaurirsi o ridursi di consistenza.
L’indicazione proposta dal Professor Calabresi oltre cinquant’anni fa accompagna gli scampoli del mio soggiorno statunitense: se, in alcune circostanze, il best decision maker rispetto ad un evento lesivo di un diritto ben può essere il danneggiato – nel mio caso, i lavoratori occupati negli appalti – piuttosto che il danneggiante, cioè il committente un’opera e/o un servizio, ne ricavo due conseguenze. La prima, di carattere generale, mi indirizza verso una significativa valorizzazione dell’autonomia negoziale collettiva, cui il legislatore nazionale degli ultimi anni sembra aver guardato con una certa trascuratezza o diffidenza; la seconda, più personale, ha ricadute sul mio progetto di ricerca, le cui conclusioni, prima della conoscenza del Professor Calabresi, erano del tutto differenti ed andranno modificate.
Ma non me ne rammarico. In fin dei conti, i Maestri servono anche a questo: a lasciarti nel dubbio proprio quando pensi di aver raggiunto una certezza.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo