Come intasare le attività dei centri per l’impiego senza politiche attive

Si avvicina la fine della scuola e, come ogni anno, vi sarà una piccola “invasione” dei moltissimi insegnanti delle scuole con contratti a termine, alla ricerca della stipulazione del patto di servizio.

L’adempimento è imposto dalle regole previste dal d.lgs. 150/2015 per ottenere la Naspi. Come noto, l’articolo 19, comma 1[1], del citato d.lgs. 150/2015 ha modificato la definizione di disoccupato, puntando oltre che sul dato formale della mancanza di lavoro e della sottoscrizione del patto di servizio, anche sulla concreta volontà di attivarsi per cercare lavoro.

 

Nel caso dei docenti delle scuole pubbliche, però, l’elemento mancante è esattamente la concreta volontà di cercare un’occupazione. Almeno nella grandissima maggioranza dei casi, i docenti “precari” non hanno alcuna intenzione di cercare un lavoro diverso. Al contrario, puntano decisamente su una nuova chiamata da parte del Ministero o degli istituti scolastici, per continuare a svolgere il lavoro sul quale hanno investito in formazione, mobilità territoriale ed impegno lavorativo. Il che è anche comprensibile.

 

Sul piano operativo, la combinazione tra regole per l’acquisizione dello status di disoccupato e regole per acquisire il diritto alla percezione della Naspi e rispettare gli obblighi per mantenerla, creano l’affollamento degli uffici dei Cpi previsto per fine giugno-inizio luglio (con disagi molto forti per l’utenza), senza alcun effettivo costrutto e beneficio per i docenti.

 

Ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del d.lgs 150/2015, la presentazione all’Inps della domanda di Naspi equivale al rilascio della dichiarazione di immediata disponibilità. Solo, che si pongono, irrisolti da due anni, questi problemi:

1) non è ancora stato realizzato un flusso informativo, nemmeno per collaborazione applicativa, di passaggio delle dichiarazioni all’Inps verso i sistemi informativi lavoro, per generare una Did (dichiarazione di immediata disponibilità) che aggiorni la posizione del lavoratore;

2) entro i 15 giorni successivi alla presentazione della domanda all’Inps, il lavoratore deve confermare la Did “implicita” generatasi, contattando il centro per l’impiego, ai fini della successiva stipulazione del patto di servizio. In mancanza, è il centro per l’impiego a dover convocare il lavoratore, entro un termine ancora da fissare in un decreto previsto dal comma 2 dell’articolo 21 del d.lgs 150/2015, che non ha mai fin qui visto la luce.

 

Ora, questa successione di adempimenti e termini può andare bene nel caso di un disoccupato non impegnato nel lavoro nel mondo della scuola, con incarichi successivi ad ogni anno scolastico. Infatti, questo genere di disoccupato “ordinario” non ha davanti a sé una prospettiva di essere richiamato da lì a poco a svolgere attività lavorativa e, dunque, si deve mettere alla ricerca attiva. È, dunque, corretto prevedere che laddove il lavoratore non risulti proattivo nel contattare i centri per l’impiego e concordare con essi le azioni di ricerca mediante il patto di servizio, sia attivato dai centri per l’impiego stessi, anche allo scopo di far scattare eventualmente la condizionalità e, dunque, indicare all’Inps se sia necessario decurtare la Naspi. Ma, nel caso dei lavoratori della scuola questi presupposti vengono totalmente a mancare.

Infatti:

1) si tratta, come rilevato prima, di persone che possono contare sulla richiamata dopo due-tre mesi, con l’inizio del nuovo anno scolastico;

2) per questa ragione, la Did presentata implicitamente mediante la richiesta di Naspi finisce per avere valore soltanto formale: di fatto, questi lavoratori non cercano un lavoro, ma aspettano la richiamata;

3) la stipulazione del patto di servizio, finisce per essere ancora più orpello burocratico: gran parte dei docenti non è nemmeno residente nei territori nei quali presta servizio e presentata la domanda Naspi e contattato il Cpi, va in ferie e risulta complicatissimo, se non impossibile, prevedere una loro convocazione prima del settembre successivo, per proporre loro un lavoro o una politica attiva.

 

Ma, oggettivamente, quale politica attiva può realmente interessare i docenti delle scuole in attesa di richiamata? Un tirocinio? E dove: in una scuola? Un accompagnamento al lavoro? E con chi, posto che se lavorano in scuole pubbliche, non si può accedervi evidentemente con meccanismi di reclutamento privatistici.

E come potrà mai essere “congrua” ai sensi dell’articolo 25[2] del d.lgs. 150/2015 un’offerta di lavoro a questo personale, che non sia per attività di docenza nelle scuole? Ma, queste offerte di lavoro non transiteranno mai dai servizi per il lavoro, essendo gestire direttamente da Ministero ed istituti scolastici.

 

La conclusione è che la normativa così come concepita costringe i docenti precari all’avventura kafkiana del rimbalzo tra patronati, Inps e centri per l’impiego necessaria solo per la giustificazione formale del rilascio della Naspi, senza che in realtà sia possibile impostare alcuna politica attiva vera nei loro confronti, anche perché, concretamente, nemmeno sarebbero interessati.

 

Sarebbe necessario ed urgente (ma tale urgenza dura ormai da anni ed ogni estate si ripresenta il problema) saper differenziare questo target di lavoratori e costruire per loro un percorso totalmente diverso, che condizioni la Naspi a presupposti diversi dalla messa a disposizione di politiche attive al di fuori dell’interesse di essi (a meno che non sia un lavoratore della scuola che consapevolmente chieda le politiche attive, per ragioni proprie, quali la consapevolezza di non poter aderire a chiamate per l’anno scolastico successivo).

 

Bisognerebbe mettere in condizione queste migliaia di lavoratori di limitarsi a chiedere la Naspi on-line, esentandoli (a meno, si ribadisce, di consapevoli esigenze) dalla successiva relazione con i centri per l’impiego, che si rivelerebbe sostanzialmente inutile e gravosa nella maggioranza schiacciante dei casi. Evitando, così, adempimenti inutili e calche di giorni e giorni, che poi rendono la vita difficile anche agli altri utenti dei servizi.

 

Discorso analogo andrebbe fatto anche per i lavoratori “stagionali”, spessissimo per nulla interessati a politiche attive del lavoro e alla ricerca di opportunità, potendo contare sulla precedenza prevista dall’articolo 24, comma 3. Sarebbe necessario che i sistemi informativi, mediante le Comunicazioni Obbligatorie, tracciassero la previsione del diritto di precedenza da inserire obbligatoriamente nell’atto scritto con cui si formalizza il contratto a termine, per poter escludere i lavoratori stagionali dai medesimi oneri procedurali imposti ai docenti delle scuole, sempre a meno che il singolo lavoratore non ritenga di dover attivarsi per una ricerca di lavoro per proprie scelte individuali.

 

Luigi Oliveri

ADAPT Professional Fellow

 

[1] Se ne riporta il testo: “Sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego”.

[2] Se ne riporta il testo:

Art. 25.  Offerta di lavoro congrua

1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede alla definizione di offerta di lavoro congrua, su proposta dell’ANPAL, sulla base dei seguenti principi:
a) coerenza con le esperienze e le competenze maturate;
b) distanza dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico;
c) durata della disoccupazione;
d) retribuzione superiore di almeno il 20 per cento rispetto alla indennità percepita nell’ultimo mese precedente, da computare senza considerare l’eventuale integrazione a carico dei fondi di solidarietà, di cui agli articoli 26 e seguenti del decreto legislativo attuativo della delega di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 183 del 2014.
2. I fondi di solidarietà di cui agli articoli 26 e seguenti del decreto legislativo attuativo della delega di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 183 del 2014, possono prevedere che le prestazioni integrative di cui all’articolo 3, comma 11, lettera a), della legge n. 92 del 2012, continuino ad applicarsi in caso di accettazione di una offerta di lavoro congrua, nella misura massima della differenza tra l’indennità complessiva inizialmente prevista, aumentata del 20 per cento, e la nuova retribuzione.
3. Fino alla data di adozione del provvedimento di cui al comma 1, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 41, e 42 della legge 28 giugno 2012, n. 92.

 

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