Uno dei nodi qualificanti del Piano Nazionale Industria 4.0 riguarda la previsione di costituire Competence Center e Digital Innovation Hub che a una prima e rapida scorsa al piano potrebbero sembrare due entità distinte e deputate a ricoprire ruoli differenti nella partita di Industria 4.0, ma così non è o, almeno in teoria, non dovrebbe essere.
È forse proprio la parola “entità” a essere fuorviante nel dibattito pubblico sul tema. Negli ultimi mesi molta attenzione è stata rivolta alle strutture fisiche e segnatamente ai poli universitari di eccellenza, per la costituzione dei Competence Center, e alle camere di commercio, per la realizzazione dei Digital Innovation Hub, senza mai accennare al concetto di ecosistema dell’innovazione.
Eppure, il rapporto redatto a dicembre 2016 da un gruppo di lavoro della tavola rotonda “Digitising European Industry”, organizzata in seno alla Commissione europea, indica chiaramente che i Digital Innovation Hub, in quanto “hub”, non sono solamente un luogo fisico ma un più ampio concetto che descrive il network di attori regionali che, offrendo alle Pmi servizi di orientamento, formazione e nuove strategie di business rispetto alle tecnologie abilitanti la quarta rivoluzione industriale, concorrono alla realizzazione di un vero e proprio hub, un ecosistema volto a favorire l’innovazione connessa al digitale.
Rispetto al raggio di azione dei Digital Innovation Hub, i Competence Center ne costituiscono il “cervello” e cioè l’interlocutore tecnico-organizzativo con il quale le Pmi devono interfacciarsi per condurre attività di ricerca applicata, richiedere supporto nella sperimentazione “in vivo” di tecnologie 4.0 e lavorare a progetti di sviluppo precompetitivo.
È interessante notare poi come in Germania il termine Competence Center indichi una massa critica di personale scientifico, tecnologi e ricercatori esperti, competenti in uno specifico settore o area disciplinare. In Germania esistono centinaia di Competence Center, alcuni situati presso imprese private, altri presso prestigiosi centri di ricerca, come i Fraunhofer Institutes: si tratta dunque di “unità” speciali di analisi o di ricerca in un determinato campo.
In Germania il governo federale ha pianificato la realizzazione di 16 Competence Center in materia di industria 4.0, uno per ciascun Länder. Secondo le previsioni, i Competence Center non devono necessariamente sorgere presso poli universitari di eccellenza: nel 2016 il governo ha lanciato un bando di gara per la loro costituzione e qualunque soggetto (centro di ricerca, università…) in possesso di comprovate competenze in materia di tecnologie abilitanti per l’industria 4.0 ha potuto prendere parte alla competizione. Allo stato, in Germania sono attivi 5 Competence Center per l’industria 4.0 e ciascuno di essi si rivolge alle Pmi e agli stakeholder del proprio territorio offrendo servizi specifici rispetto alla specializzazione produttiva del Länder e al grado di maturità digitale delle imprese.
Secondo il gruppo di esperti istituito dalla Commissione esisterebbero già in Europa alcuni Competence Center che non si occupano solamente di attività di trasferimento tecnologico, bensì operano con le aziende offrendo loro una gamma di servizi più ampia anche nell’ambito dei nuovi modelli di business e del marketing: gioverebbe dunque integrare il ventaglio di servizi offerti da queste strutture con attività di orientamento relativamente a fonti di finanziamento e formazione del personale addetto delle imprese rispetto alle nuove tecnologie di frontiera, aspetto che si rivela centrale affinché le imprese siano capaci di assorbire e implementare le nuove tecnologie ai loro prodotti, servizi o processi di produzione. Questo affinché il Competence Center, integrato di questi servizi “evolva”, come di legge nel rapporto, assumendo a tutti gli effetti i tratti di un Digital Innovation Hub che, come già specificato, prende forma nel momento in cui mette in rete gli stakeholder del territorio concorrendo alla creazione di un ecosistema per l’innovazione digitale.
Differentemente dalle indicazioni del gruppo di lavoro della Commissione europea, la relazione illustrativa della bozza di decreto ministeriale sui Competence Center che a giorni sarà licenziato dal Mise parla della costituzione di “centri di competenza ad alta specializzazione aventi lo scopo di promuovere e realizzare progetti di ricerca applicata, di trasferimento tecnologico e di formazione su tecnologie avanzate”. Queste previsioni non sembrano richiamare le linee di policy di ascendenza comunitaria, bensì ricordano l’iniziativa tedesca, di recente costituzione, dei “Research Campus – Public Private Partnership for Innovation” (“Forschungscampus”) promossa dal Ministero Federale dell’Istruzione e della Ricerca.
Si tratta di un programma lanciato nel 2011 che stanzia generosi finanziamenti per promuovere la collaborazione tra università e imprese nell’ambito di progetti di ricerca a medio-lungo termine. I finanziamenti, erogati a bando a favore di partenariati pubblico-privati, prevedono una condivisione dei rischi connessi alle attività di ricerca con le imprese, alle quali vengono imposti meccanismi di cofinanziamento e “matching” delle risorse.
Centrale, per poter beneficiare della somma erogata, è la realizzazione delle attività di ricerca “sotto lo stesso tetto”: la partnership deve essere fisicamente insediata presso una università o un centro di ricerca. Nel caso in cui la partnership non disponga di un luogo fisico dove condurre le ricerca, può investire parte del grant aggiudicato per costruire le infrastrutture che le occorrono, sempre presso un campus universitario o la sede di un centro di ricerca. Questo in ragione della convinzione che la prossimità geografica e sociale favorisca la contaminazione disciplinare e il rafforzamento delle relazioni e con esse della fiducia tra i partner. Infatti, se i ricercatori universitari sono presenti quotidianamente presso le infrastrutture che ospitano i Research Campus, i ricercatori e gli addetti delle imprese private fisicamente lontane dalla sede trascorrono al campus due o tre giorni, per poi rientrare in imprese e operare come “teste di ponte” trasferendo conoscenze e competenze alla propria azienda.
La gestione e l’organizzazione della partnership, che adotta la veste giuridica che ritiene più opportuna in base alla composizione del partenariato (associazione, società di capitali…) viene disciplinata attraverso la stipulazione di veri e propri contratti, dove un aspetto centrale attiene alla regolazione dei diritti di proprietà intellettuale imputabili ai partner per prevenire l’insorgenza di futuri conflitti circa i risultati della ricerca. Oggi sono attivi una decina di Research Campus che operano nei campi della salute, energia, mobilità e automotive.
Analogamente alla governance dei Research Campus, anche secondo la relazione che accompagna la bozza di decreto del Mise la gestione dei Competence Center è demandata ad un partenariato pubblico-privato che prevede il coinvolgimento di università di eccellenza, centri di ricerca e imprese private. Rispetto agli investimenti, in Italia lo stanziamento pubblico è di 30 milioni di euro per il biennio 2017-2018, con l’obiettivo di mobilitare nello stesso periodo addizionali risorse da parte di investitori privati, mentre la Germania ha reso disponibili, per ciascuno dei 9 Research Campus, fino a due milioni di euro all’anno per un periodo di quindici anni, ai cui si deve sommare il co-finanziamento dai partner nella misura del 50% rispetto al totale del grant annuale aggiudicato.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 sembra quindi non chiarire la natura complementare e la continuità, tanto concettuale quanto funzionale, esistente tra Competence Center e Digital Innovation Hub, che è invece ben spiegata ed esemplificata nel rapporto del gruppo di lavoro in seno alla Commissione precedentemente citato. Inoltre, stando alle previsioni contenute nella relazione illustrativa del decreto che tra pochi giorni verrà licenziato dal Mise, sembrerebbe che la configurazione italiana dei Competence Center, in ragione del forte coinvolgimento dei poli di eccellenza universitari, dei meccanismi di co-finanziamento e della gestione pubblico-privata, evochi invero l’esperienza dei Research Campus tedeschi che, rispetto ai centri di competenza per l’industria 4.0 voluti dal governo federale, hanno in realtà logiche, e dunque mission, differenti.
Non è poi chiaro in Italia se e come verranno coinvolti nel piano i parchi scientifici, i poli tecnologici, i distretti e i cluster. Il rischio è continuare a moltiplicare esperienze del passato che, pure con nomi meno evocativi e diversa veste giuridica, nella sostanza sono state spesso talvolta descritte come “operazioni immobiliari” rispetto alle quali sono state investite generose somme di denaro pubblico per finanziarne le attività, i cui risultati hanno però in parte tradito le aspettative.
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ADAPT – Università degli Studi di Bergamo