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Bollettino ADAPT 13 dicembre 2021, n. 44
Il 26 novembre 2021, nell’ambito dell’XI edizione della Conferenza Internazionale di ADAPT, sono stati presentati i risultati preliminari del progetto finanziato dall’Unione Europea “Industrial relations and Social dialogue for an economy and a society 4.0” (IRESDES4.0). Il progetto, iniziato nel marzo 2021 e che si concluderà a marzo 2023, mira a migliorare il dialogo sociale e la qualità dell’occupazione in un mercato del lavoro digitalizzato, guidando le parti sociali e gli altri attori del mercato del lavoro verso una migliore comprensione delle implicazioni della trasformazione digitale su contratti collettivi di lavoro. Il partenariato del progetto è guidato da Confimi Industria (con il supporto di Confimi Industria Digitale e Confimi Servizi) e coinvolge ADAPT, la European DIGITAL SME Alliance e FIM-CISL Veneto. FIM CISL e IndustriALL Europe partecipano come organizzazioni associate.
I due temi principali oggetto del progetto IRESDES4.0 sono il lavoro da remoto e lo sviluppo delle competenze digitali nei luoghi di lavoro e l’area di interesse principale sono le piccole e medie imprese (PMI) del settore digitale e metallurgico italiano. Durante la prima fase del progetto, volta anche ad operare una ricognizione delle attuali trasformazioni del mondo del lavoro, questi temi sono stati approfonditi principalmente tramite una ricerca desk (comprendente l’analisi ragionata della letteratura scientifica internazionale e di numerosi contratti collettivi dei settori analizzati) è attraverso una serie di interviste semi-strutturate ad rappresentanti sindacali e dei datori di lavoro.
I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro a seguito della IV Rivoluzione Industriale sono stati a lungo attenzionati da organismi e centri di ricerca internazionali. Molti studiosi, soprattutto in campo economico, hanno sottolineato che i megatrend che contribuiscono alle trasformazioni del mondo del lavoro includono demografia, globalizzazione, tecnologia e nuovi processi produttivi. Per quanto riguarda i cambiamenti demografici, è stato spesso osservato come l’invecchiamento della popolazione provochi effetti diretti e indiretti sul mercato del lavoro e sulle competenze delle persone. Perciò, prima di affrontare il tema delle competenze (e soprattutto di quelle digitali), è opportuno fornire una breve panoramica delle tendenze demografiche in Europa. I dati che seguono si basano sull’ultimo Ageing Report (2021) pubblicato dalla Commissione Europea.
Le proiezioni demografiche dell’Eurostat mostrano un continuo aumento dell’aspettativa di vita sia per i maschi che per le femmine nel periodo 2019-2070. Inoltre, si prevede che la popolazione dell’UE diminuirà da 447 milioni di persone nel 2019 a 424 milioni nel 2070. Con specifico riferimento alle dinamiche del mercato del lavoro, vale la pena ricordare che, sebbene le proiezioni indichino un aumento dei tassi di partecipazione per tutte le età, il fenomeno è infatti particolarmente visibile per quelli di età compresa tra 55 e 64 anni (+9,6 punti percentuali) e riflette l’effetto delle riforme pensionistiche.
Se gli effetti diretti dei cambiamenti demografici si traducono in una revisione dei sistemi di sicurezza sociale, la cui sostenibilità dipende dalla permanenza dei lavoratori più a lungo nel mondo del lavoro, quelli indiretti, invece, si riferiscono alle diverse competenze necessarie alla forza lavoro in conseguenza dei cambiamenti demografici. Poiché, come dimostrano i dati riportati al paragrafo precedente, l’età lavorativa della popolazione è destinata ad aumentare, è opportuno ricordare le risultanze di alcuni studi, le quali evidenziano come le competenze di chi ha ricevuto una formazione tempo fa potrebbero non essere adatte a stare al passo con il contesto economico in rapida evoluzione. Altre ricerche hanno sostenuto l’esistenza di una relazione inversa tra i cambiamenti demografici e il rischio di “automatizzazione” per cui lo stesso non aumenterebbe con l’età, né coinvolgerebbe solo i lavoratori anziani, ma anche coloro che possiedono competenze obsolete e che, in generale, hanno “meno probabilità di partecipare all’apprendimento permanente”.
Oltre ai cambiamenti demografici, un altro aspetto considerato dalla ricerca nell’analisi delle dinamiche di domanda e offerta di competenze è stato il progresso tecnologico. A tal proposito, la ricerca ha evidenziato un ampio divario nell’uso della tecnologia digitale attualmente presente tra le grandi imprese e le PMI, che, secondo il Digital Economy and Society Index (DESI), pubblicato recentemente dalla Commissione Europea, interessa sia le tecnologie complesse che soluzioni digitali di base. Inoltre, secondo il DESI Index, 4 adulti su 10 e una persona su tre che lavorano in Europa non hanno competenze digitali di base. Considerando la fonte appena citata, ma facendo un approfondimento sull’Italia, vale la pena evidenziare come il 41,5% delle persone in Italia possiede almeno competenze digitali di base e che il 3,6% dei lavoratori sono esperti digitali: tuttavia, ben il 55% delle aziende che hanno assunto o cercato di assumere esperti digitali segnalano difficoltà nel riempire questi posti vacanti. Nel 2020, il 19% delle imprese dell’UE impiegava specialisti delle ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Tra gli Stati membri dell’UE, Irlanda e Belgio hanno presentato la percentuale più elevata di imprese che impiegano specialisti ICT, con il 30% ciascuno, mentre l’Italia, risulta al fondo di tale classifica (13%).
Inoltre, le imprese stanno erogando sempre più formazione al proprio personale per sviluppare o aggiornare le proprie competenze ICT: complessivamente il 20% delle imprese dell’UE ha erogato formazione ICT al proprio personale, mentre l’Italia è al sestultimo posto rispetto a questo indicatore (con una percentuale di poco superiore al 15%). Considerando le dimensioni dell’azienda, il 68% delle grandi imprese ha fornito attivamente la formazione, contro il 18% delle PMI.
L’analisi della letteratura internazionale mostra come le ragioni di questi squilibri siano da individuare (1) nell’elevato costo della tecnologia digitale (Directorate-General for Research and Innovation of the European Commission, Capitalising on the benefits of Research & Innovation Projects for Policy: The 4th Industrial Revolution, 2018), (2) nelle incertezze delle aziende sulla sicurezza dei dati, ma anche (3) nell’assenza di orientamento al rischio da parte del management, nella scarsa consapevolezza dei vantaggi delle tecnologie digitali o la mancanza della fiducia del proprietario e del personale della PMI riguardo alla possibilità di utilizzarle in modo produttivo (P. Gubitta, D. Nicolai, L’innovazione nelle imprese: considerazioni generali e risultati di un’indagine nelle piccole imprese, Microimpresa, 2013, pp. 79-80, A. Bruzzo, Per la trasformazione digitale delle Micro-PMI in Italia, Quaderni di ricerca sull’artigianato, 2020, p. 337).
Tuttavia, la ricerca si concentra principalmente su un particolare fattore che ostacolerebbe l’uso della tecnologia digitale nelle imprese più piccole, ovvero il basso livello di alfabetizzazione digitale tra proprietari, dirigenti e lavoratori delle PMI, che potrebbe avere effetti negativi sulla loro performance economica nel lungo periodo (P. Gubitta, D. Nicolai, op. cit, pp. 79-80, A. Bruzzo, op. cit., p. 337). Secondo una ricerca, le cause delle difficoltà delle PMI nell’aggiornamento delle capacità e delle competenze dei propri lavoratori sembrano essere da ricercarsi nella mancanza di istruzione o formazione professionale, specificamente focalizzata sui bisogni e sulle caratteristiche delle imprese più piccole (A. Halvarsson Lundkvist, M. Gustavsson, Conditions for Employee Learning and Innovation – Interweaving Competence Development Activities Provided by a Workplace Development Programme with Everyday Work Activities in SMEs, in Vocations and Learning, 2018, p. 46).
Le carenze di competenze digitali nelle PMI osservate su scala europea sembrano essere confermate anche dai dati relativi agli investimenti in formazione nelle PMI italiane, che peraltro appare al di sotto della media UE (F. Pascucci, V. Temperini, Trasformazione digitale e sviluppo delle PMI. Approcci strategici e strumenti operativi, 2017, p. 13). Tuttavia, lo sviluppo delle competenze digitali appare particolarmente cruciale nel settore manifatturiero, visti i nuovi processi produttivi di Industria 4.0, basati su automazione, digitalizzazione e interconnessione dei macchinari: questo ha portato sia i sindacati italiani che le associazioni datoriali del settore metalmeccanico a prevedere, sin dal 2016, un diritto a 24 ore di formazione professionale in un triennio nei principali contratti collettivi nazionali applicabili alle piccole e medie imprese.
Per quanto concerne le attività di ricerca sul lavoro da remoto, invece, si segnala come esse siano state in prima battuta concentrate sugli aspetti terminologici ad esso relativi. È stato infatti rilevato come la definizione di “telelavoro” fornita dall’OIL, ossia “lavoro svolto tramite strumentazioni informatiche o telefoniche” (ILO, Defining and measuring remote work, telework, work at home and home-based work, 2020, p. 6) fosse la più appropriata al fine di indicare il tipo di lavoro che sarebbe stato considerato ai fini del progetto.
Tuttavia, il termine “telelavoro” non è oggi il termine oggi più utilizzato in Italia al fine di definire il lavoro da remoto svolto per mezzo di attrezzatura informatica. Dall’emanazione della legge n. 81 del 2017 le più recenti e comuni forme di lavoro da remoto in Italia prendono il nome di “lavoro agile”. All’incertezza relativa al significato dei termini “lavoro agile” e “telelavoro” si aggiunge il diffuso utilizzo della locuzione “smart working” all’interno del dibattito pubblico italiano, la quale, durante la pandemia da COVID-19, è stata frequentemente adottata al fine di definire il lavoro da remoto svolto esclusivamente dalla residenza dei lavoratori, al fine di prevenire il contagio all’interno dei luoghi di lavoro.
Si deve considerare, tuttavia, che secondo molti esperti il termine “smart working” caratterizza invece una filosofia manageriale fondata sul raggiungimento di obiettivi e sul rapporto di fiducia presente tra il datore di lavoro e il lavoratore la quale consente a quest’ultimo di svolgere le proprie attività al di fuori dei locali aziendali, e con un alto livello di flessibilità temporale (M. Corso, Sfide e prospettive della rivoluzione digitale: lo smart working, Diritto delle Relazioni Industriali n. 4, 2017, p. 980). Lo smart working non sembra essere un fenomeno unicamente proprio delle aziende italiane: secondo la reportistica internazionale, infatti, la pandemia da COVID-19 deve essere considerata come la scintilla che causerà un radicale mutamento nelle modalità di svolgimento del lavoro da remoto a livello globale, favorendo la diffusione di modelli organizzativi più flessibili rispetto a quelli adottati fin ora (ILO, Teleworking during the COVID-19 pandemic and beyond: A Practical Guide, 2020, p. 4).
Le difficoltà nello sviluppo della digitalizzazione nelle PMI, descritta nei precedenti paragrafi, si riflettono altresì nella diffusione del lavoro da remoto. Secondo i dati della Commissione Europea, infatti, essa risulta molto più bassa nelle PMI rispetto alle aziende più grandi, sia in Italia che negli altri stati dell’UE. Questo fenomeno risale agli anni immediatamente seguenti all’introduzione dell’Accordo Quadro sul Telelavoro del 2002: la letteratura scientifica ritiene che le sue cause siano principalmente da ritrovarsi nei costi del lavoro da remoto (P. Neirotti, E. Paolucci, E. Raguseo, Mapping the antecedents of telework diffusion: firm-level evidence from Italy, New Technology, Work and Employment, 2013, p. 31), nello scarso livello di fiducia di cui sono destinatari i lavoratori che svolgono la propria attività in tale modalità, e la scarsa attitudine al change management (K. Dickson and F. Clear, Comparative European Perspectives on the Diffusion and Adoption of Telework amongst SMEs, in M. Sherif, T. Khalil, Management of Technology: New Directions in Technology Management, 2007, pp. 273-274). Queste intuizioni sono state in massima parte confermate dalle risposte fornite dagli intervistandi contattati per il progetto IRESDES4.0. Quando agli stessi è stato chiesto di elencare gli elementi che caratterizzano l’implementazione del lavoro da remoto nelle PMI, alcuni hanno infatti menzionato le limitate risorse economiche delle imprese di ridotte dimensioni, le quali, insieme alla mentalità di alcuni piccoli imprenditori, abituati ad avere il controllo completo di tutti gli aspetti della loro organizzazione produttiva, potrebbero ostacolare o ritardare la digitalizzazione. Tuttavia, è necessario sottolineare come altri intervistandi avessero opinioni radicalmente differenti in materia, e abbiano infatti affermato che i limitati costi della tecnologia necessaria per il lavoro da remoto non dovrebbero ostacolarne l’implementazione nelle PMI.
In ultimo, durante la prima fase del progetto IRESDES4.0 sono stati analizzati 93 contratti collettivi aziendali, i quali regolano lo sviluppo delle competenze digitali e il lavoro da remoto nel settore metalmeccanico italiano. Per quanto concerne il primo elemento, l’analisi si è principalmente concentrata sullo strumento del Fondo Nuove Competenze, il quale come è noto condiziona l’accesso alle sue risorse alla conclusione di un accordo collettivo di livello territoriale o aziendale, le cui previsioni definiscano, tra gli altri elementi, il percorso formativo deli lavoratori ai quali lo stesso si applica. Gli accordi analizzati mostrano come le aziende del settore metalmeccanico forniscano un’ampia varietà di percorsi formativi, legati a competenze digitali strettamente considerate (modalità digitali di archiviazione di documenti, cybersecurity etc.) ma anche all’innovazione delle linee produttive aziendali. La regolazione collettiva del lavoro da remoto nelle aziende metalmeccaniche italiane è stata invece descritta in primo luogo tramite l’analisi di 36 accordi aziendali volti a implementare strutturalmente lo smart working come modello organizzativo. Questa attività ha mostrato, tra gli altri elementi, come il tema della flessibilità spaziale dei lavoratori da remoto sia molto più diffuso rispetto a quello della flessibilità temporale, e come solo pochissimi accordi contenessero sistemi di valutazione delle performance fondate sul raggiungimento di obiettivi, fondamentali per un’efficace implementazione dello smart working. Il lavoro da remoto nel settore metalmeccanico italiano è stato altresì descritto attraverso l’analisi di un campione di 43 protocolli aziendali anti-contagio, dato che il lavoro da remoto è stato utilizzato come metodo per evitare il contagio da COVID-19 fin dall’inizio della pandemia. Si è così potuto rilevare come i protocolli anti-contagio generalmente non forniscano una specifica descrizione delle modalità di implementazione lavoro da remoto emergenziale, limitandosi a sancirne l’introduzione o l’estensione di un progetto preesistente.
I risultati preliminari del progetto IRESDES4.0 descritti in questo articolo sono stati discussi da parte di un Board composto da esperti e stakeholder provenienti da diversi paesi dell’ Unione Europea, i quali hanno fornito diversi contributi relativi alla regolazione del lavoro da remoto e dello sviluppo delle competenze digitali nei contratti collettivi di lavoro dei paesi nei quali operano, e hanno altresì individuato alcune best practices in materia portate avanti attraverso lo strumento del dialogo sociale.
Gli elementi appena descritti, insieme alle informazioni che saranno raccolte grazie ad ulteriori interviste rivolte a parti sociali provenienti da diversi Stati membri dell’Unione, aiuteranno a espandere il campo di interesse del progetto IRESDES4.0. Inoltre, tali contributi risultano fondamentali al fine della stesura dell’output finale del progetto, ossia una serie di raccomandazioni, dirette alle parti sociali europee, per la gestione del lavoro da remoto e dello sviluppo delle competenze digitali attraverso la contrattazione collettiva e le pratiche di dialogo sociale.
Diletta Porcheddu
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@DPorcheddu
Margherita Roiatti
ADAPT Research Fellow