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Bollettino ADAPT 20 luglio 2022, n. 28
Negli anni della pandemia da Covid-19, la contrattazione collettiva e il dialogo sociale hanno rivestito un importante ruolo all’interno dei Paesi europei, concentrandosi prevalentemente sulla gestione della crisi esplosa nel marzo del 2020 e congelando di conseguenza i temi più “tradizionali” e i rinnovi dei contratti, anche in ragione della situazione economica dettata dai contagi e dall’incertezza.
Due anni dopo, il report Eurofound intitolato “Collective Bargaining and Social Dialogue – Back to normal in 2021?” analizza l’andamento del dialogo sociale e della contrattazione collettiva nell’anno passato, ponendosi nell’ambito di una serie di report che indagano la vita lavorativa durante la pandemia da Covid-19 all’interno dei 27 Paesi dell’UE più la Norvegia.
Per quanto concerne il dialogo sociale tripartito, ossia con il coinvolgimento dello Stato, non si registrano grandi sorprese rispetto al primo anno della crisi da Coronavirus, con pattern che indicano un’intensificazione dei trend e delle pratiche presenti fino al 2019. Tra i Paesi dove ciò è apparso più evidente si annoverano Ungheria, Grecia, Romania e Francia. Per quanto riguarda i transalpini, in particolare, nel 2021 è stato concluso a questo livello un solo accordo, peraltro sulla formazione, in contrasto con i numeri pre-pandemici.
Dove invece questo tipo di concertazione è storicamente forte, come ad esempio in Austria, Belgio, Norvegia e Danimarca, si sono ottenuti ottimi risultati – in alcuni casi anche superiori rispetto ai periodi precedenti. È questo il caso danese, dove da marzo 2020 sono stati raggiunti 21 accordi tripartiti, di cui 7 nell’ultimo anno, prevalentemente legati alla pandemia. Altro esempio interessante da notare è quello irlandese: qui la principale organizzazione datoriale ha accettato di partecipare a una speciale task force predisposta dal Leef (Labour Employment Economic Forum) con un ampio spettro di compiti, tra i quali una disamina di come la contrattazione collettiva possa svilupparsi in maniera sinergica con la competitività delle imprese del Paese.
Per quanto riguarda i temi principali, si nota uno shift verso la gestione della crisi pandemica verso policy di ripresa e argomenti tipici di una concertazione “ordinaria” a questo livello. In tutti i Paesi europei i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza hanno occupato molto spazio, insieme a temi classici come riforme del mercato del lavoro e discussioni su salario minimo e condizioni lavorative. Il caso spagnolo in questo senso merita una menzione particolare con riferimento a due accordi tripartiti di tutela del lavoro, che hanno permesso di estendere l’utilizzo di ammortizzatori sociali fino a febbraio 2022, e l’accordo tra le parti sociali per la risoluzione delle controversie in sede extragiudiziale dell’aprile 2021. Inoltre, dopo lunghe negoziazioni, si è giunti al termine dello scorso anno all’introduzione di una riforma di grande portata innovativa del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva, volta a ridurre l’incidenza dei contratti a tempo determinato e a mitigare gli impatti della riforma del 2012.
Per quanto riguarda, invece, gli accordi tra le sole parti sociali, questi hanno avuto due ruoli principali: innanzitutto hanno avuto una funzione complementare alla concertazione vista in precedenza all’interno dei processi di dialogo sociale e, in seconda battuta, hanno funzionato da meccanismo di gestione del mercato del lavoro e delle relazioni industriali. Ciò ha avuto un impatto ancora più importanti negli anni del Covid, grazie all’implementazione di schemi di riduzione dell’orario lavorativo e a protocolli di sicurezza a livello aziendale.
Con riferimento alla prima funzione enunciata, un caso interessante da considerare viene dalla Francia dove, a causa di un’insoddisfazione a livello di concertazione tripartita, le parti sociali hanno rafforzato i rapporti tra di loro, dando il via a negoziazioni volte a una modernizzazione dell’approccio verso un’azione condivisa dalle parti sociali (modernisation du paritarisme) che proponga un’agenda economica e sociale diversa da quella del governo.
Sul fronte della contrattazione collettiva, si è registrato un forte aumento dopo le frenate degli anni precedenti, seppur senza raggiungere ancora i livelli pre-pandemia (è questo, ad esempio, il caso dell’Italia). A tal proposito si segnala quanto accaduto in Portogallo, dove, per prevenire buchi di copertura contrattuale per i lavoratori, il governo lusitano è intervenuta sospendendo le scadenze degli accordi collettivi per un periodo di ventiquattro mesi.
Come è naturale che sia, con il passare dei mesi e l’evolversi del quadro pandemico, il tentativo di tornare alla normalità ha portato con sé una riduzione delle clausole contrattuali direttamente collegate alla pandemia, nonostante non siano scomparse del tutto. In Germania, ad esempio, nel settore metalmeccanico IG Metall e Metall NRW, le organizzazioni sindacali e datoriali, hanno raggiunto a giugno 2021 un accordo sulla base di un’una tantum di 500€ per supportare i lavoratori relativamente alle criticità finanziarie della pandemia.
In conclusione, il report registra come già anticipato un tentativo di ritorno alla normalità nel campo della contrattazione collettiva e del dialogo sociale, con un focus maggiore su strategie di ripresa e temi tradizionali delle relazioni industriali. Ciò ha portato anche al ritorno di trend rilevabili negli anni precedenti, come l’aumento degli accordi di secondo livello in Italia e in Finlandia. Tuttavia, resta da vedere come reagiranno le Parti sociali alla situazione di fortissima incertezza in atto causata dall’inflazione e dall’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, oltre che da possibili recrudescenze pandemiche.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena