Contratti a termine e recesso anticipato del lavoratore: è possibile inserire una clausola penale?

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Bollettino ADAPT 23 gennaio 2023, n. 3
 
In molti settori produttivi dell’economia italiana i contratti a termine e stagionali rappresentano una tipologia contrattuale molto utilizzata e diffusa in quanto strumento flessibile di regolamentazione del rapporto di lavoro.
 
Il contratto di lavoro a tempo determinato è per sua natura un contratto nel quale è stabilita una durata predeterminata, mediante l’apposizione di un termine. Entrambe le parti, datore di lavoro e lavoratore, nella stipula di tale tipologia contrattuale sono tenute a rispettare la scadenza concordata.  Tuttavia, come spesso accade in qualsiasi rapporto di lavoro, può nascere l’esigenza o la necessità di risolvere anticipatamente il rapporto prima della scadenza, per volontà di una delle due parti contraenti.
 
Sul tema, ci si è interrogati sulla possibilità di inserire nel contratto a tempo determinato stagionale una clausola penale da applicare in caso di recesso anticipato del lavoratore.
 
La disciplina del recesso nel rapporto di lavoro a tempo determinato è contenuta nell’art. 2119 c.c., secondo cui «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente».
 
La norma, dunque, chiarisce che ad entrambe le parti (datore e lavoratore) non è consentito recedere dal rapporto prima del termine stabilito. Tuttavia, il recesso anticipato è ammesso solo in presenza di una giusta causa, ossia di un fatto di gravità tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro.
 
Pertanto, il datore di lavoro potrà recedere dal contratto a tempo determinato solo allorquando il lavoratore si renda inadempiente adottando una condotta da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Allo stesso tempo, il lavoratore potrà recedere dal contratto a termine solo in presenza di una situazione che renda giustificabile le dimissioni; tra le ipotesi più frequenti vi è il mancato pagamento della retribuzione o della contribuzione obbligatoria, il prolungato nel tempo, la mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro, l’illegittimo demansionamento, il mobbing.
 
In assenza di una giusta causa, la giurisprudenza ritiene che il recesso anticipato non possa essere esercitato se non con la consapevolezza che da esso ne potrebbe derivare un danno – che va risarcito – in quanto la parte che recede dal contratto a tempo determinato senza una ragione giustificatrice, lede l’interesse dell’altra parte del rapporto, che faceva affidamento su una certa durata della relazione contrattuale.
 
Per quanto riguarda il lavoratore, fermo restando che non è possibile “rapire” il lavoratore e che nella prassi si ammettono le dimissioni, è da tenere presente che la risoluzione anticipata rispetto al termine può costituire dunque un inadempimento contrattuale che, come tale, può dare adito ad una richiesta risarcitoria nei confronti del lavoratore inadempiente (per un’analisi degli orientamenti giurisprudenziali e sulla quantificazione del danno si veda G. Piglialarmi, Tornando sul recesso anticipato dal contratto a termine: cosa rischiano datore e lavoratore?, in Bollettino ADAPT 22 novembre 2021, n. 41).
 
È evidente che il recesso anticipato del lavoratore, rispetto alla scadenza concordata, viola l’interesse del datore di lavoro che con la sua assunzione faceva affidamento su una maggiore durata della relazione contrattuale. Per sopperire a questa situazione di disagio, alcune imprese si sono interrogate sulla possibilità o meno di inserire una clausola penale nel caso di recesso anticipato del lavoratore. Tuttavia, è doveroso evidenziare che:
 
a) né la legge né tanto meno i contratti collettivi disciplinano la possibilità di inserire una penale di questo tipo nel contratto di lavoro. A tal proposito, ricordiamo, che nei rapporti di lavoro le clausole del contratto individuale, in deroga a quelle del CCNL applicato o alla legge, hanno validità solamente se migliorative per la parte cosiddetta “debole”, che è il lavoratore (così App. Roma, 2 aprile 2020, n. 817, secondo cui «Sussiste il divieto di deroga “in peius” per il contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto collettivo anche ove il lavoratore avesse rinunciato a tale trattamento. La garanzia del preventivo controllo sindacale previsto dalla contrattazione collettiva in ordine all’espletamento del potere organizzativo del datore di lavoro non è disponibile ad opera del singolo lavoratore che, se fosse abilitato a concedere in forma di contratto individuale il potere negato dal contratto collettivo, modificherebbe “in peius” le garanzie apprestate dalla contrattazione collettiva»);
 
b) la possibilità di inserire una clausola penale nel contratto di lavoro è connessa dall’istituto del patto di stabilità (un negozio giuridico atipico). All’atto della stipulazione del contratto di lavoro o anche successivamente, le parti possono pattuire una clausola di durata minima garantita (c.d. patto di stabilità) per effetto della quale una o entrambe si vincolano a non recedere per un periodo di tempo predeterminato, la violazione di questa previsione, nel caso di clausola penale, determina il pagamento di una somma di denaro. Tuttavia, tale istituto non è compatibile con i contratti a tempo determinato poiché, in tali casi, il rapporto risulta già limitato a livello temporale.
 
c) da ultimo, è utile segnalare una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24478 del 2021, che in tema di eccessiva onerosità del patto di stabilità ha affermato che «In tema di contratto di agenzia, l’art. 1750, comma 4, c.c., nel porre la regola inderogabile secondo cui i termini di preavviso devono essere gli stessi per le due parti del rapporto, esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza che è nullo per frode alla legge (art. 1344 c.c.) il patto che contempli, in aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola penale che, in quanto eccessivamente onerosa, incida in maniera significativa sulla normale facoltà di recedere di una delle parti, limitandola fortemente». La sentenza dunque, oltre a stabilire un principio di parità delle parti in materia di recesso, dichiara nullo per frode alla legge un patto avente ad oggetto una clausola penale, eccessivamente onerosa, che possa incidere in maniera tale da alterare la normale facoltà delle parti di recedere dal contratto.
 
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale così delineato, ovvero in considerazione del fatto che nessuna disposizione di legge preveda la possibilità di inserire una penale nel contratto a tempo determinato con finalità sanzionatorie per la parte che recede ante tempus, e nonostante la condizione di disagio che crea il recesso anticipato del dipendente, non sembrano esserci estremi per l’introduzione di tale clausola nei contratti a tempo determinato. In sostanza, la scelta di apporre una penale di questo tipo nel contratto di lavoro a tempo determinato, anche di carattere stagionale, potrebbe risultare rischiosa in quanto potrebbe esporre il datore di lavoro ad un eventuale contenzioso e ad una eventuale dichiarazione di illegittimità della clausola contrattuale.
 
Alessandra Sannipoli

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@alesanni1310

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