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Bollettino ADAPT 20 settembre 2021, n. 32
Il D.L. n. 73/2021, convertito nella l. n. 106/2021, c.d. Sostegni bis, introduce importanti modifiche alla disciplina del contratto a tempo determinato riconoscendo un ruolo assai ampio alla contrattazione collettiva anche aziendale (vedi M. Menegotto, Contratti a termine: nuovi spazi per la contrattazione collettiva, Bollettino ADAPT n. 30/2021). La norma ammorbidisce i rigidi vincoli introdotti nel 2018 dal c.d. Decreto dignità restituendo, finalmente, un ruolo centrale alla contrattazione collettiva nella negoziazione delle condizioni per la stipulazione, la proroga e il rinnovo dei contratti. Vediamo più da vicino che cosa è accaduto.
Cosa prevedeva il Decreto Dignità
Incurante della disciplina europea voluta dalle parti sociali con un accordo (recepito nella direttiva 1999/70), per scoraggiare la stipulazione di contratti a termine il c.d. Decreto dignità stabiliva che il contratto a tempo determinato poteva essere stipulato una sola volta per un periodo massimo di 12 mesi senza l’indicazione di una ragione giustificatrice (c.d. causale); se, invece, si voleva concludere un contratto a termine più lungo, fino al limite massimo complessivo di 24 mesi , era necessario indicare almeno una delle ragioni oggettive espressamente indicate dalla legge. La violazione di queste regole comportava una sanzione assai pesante per le imprese: la trasformazione del contratto a termine in un contrato a tempo indeterminato.
Già prima della pandemia l’introduzione di queste regole molto restrittive rispetto al Jobs Act, era stata molto discussa e criticata, perché la reintroduzione di causali così rigide – necessarie anche per ogni singolo rinnovo, anche se il primo contratto aveva avuto una durata limitatissima – unita all‘introduzione del limite massimo dei 24 mesi (36 mesi era il limite previsto precedentemente dal Jobs Act: art. 19 del d.lgs. n. 81/2015 come modificato d.l. n. 87/2018,) innesca, come è comprensibile, un esasperato turn over, di cui prova evidente emerge dai dati offerti dalle Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro. La realtà è che le fluttuazioni del mercato e l’incertezza economica con cui sono costrette a misurarsi molte imprese spiegano e giustificano il ricorso a forme flessibili di lavoro.
Le deroghe al Decreto Dignità durante l’emergenza sanitaria
Durante la pandemia moltissimi lavoratori con un contratto a termine hanno perduto il posto di lavoro, o per la naturale scadenza del termine, oppure a causa del raggiungimento del periodo massimo consentito. In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, prima il governo Conte bis (d.l. n. 34/2020) poi il governo Draghi (d.l. n. 41/2021), per favorire l’utilizzo della cassa integrazione, in deroga alla disciplina del Decreto Dignità hanno autorizzato la proroga o il rinnovo dei contratti a termine in corso, fino al 31 dicembre 2021 senza bisogno di alcuna giustificazione, ferma restando la durata massima complessiva di ventiquattro mesi per ciascun contratto. I datori di lavoro possono in tal modo fruire del contratto a termine, inclusa la somministrazione, senza la necessità di dover apporre condizioni a proroghe e rinnovi nel limite di 24 mesi.
Il graduale superamento del Decreto Dignità
Ora l’art. 41-bis del d.l. n. 72/2021, c.d. Sostegni bis, in continuità con le norme emergenziali, ammorbidisce l’impianto del d.l. Dignità modificandone la disciplina delle causali, delle proroghe e dei rinnovi.
La prima novità riguarda, finalmente, il ruolo della contrattazione collettiva che viene delegata a indicare specifiche esigenze aggiuntive per la stipulazione del contratto a tempo determinato della durata superiore a 12 mesi (lett. b–bis aggiunta al comma 1 dell’art. 19). Si tratta di contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle loro rappresentanze a livello aziendale o dalla r.s.u. a norma dell’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015. L’Ispettorato nazionale del Lavoro, con una nota del 14 settembre, specifica che ai suddetti contratti collettivi è permesso d’individuare nuove casistiche in presenza delle quali sarà possibile stipulare un contratto a termine di durata iniziale superiore ai 12 mesi, fino al massimo di 24 mesi. Queste causali aggiuntive non hanno vincoli contenutistici, ma devono soltanto indicare le esigenze “specifiche” dell’azienda o del settore produttivo.
Questa norma, sostenuta dal PD, è di straordinaria importanza perché, per effetto del gioco dei rinvii interni alla stessa disposizione normativa, proietta i suoi effetti non soltanto sulla stipula del primo contratto a termine superiore a 12 mesi ma anche sulla disciplina della proroga del termine dello stesso contratto o dei rinnovi con riassunzioni successive dello stesso lavoratore. In altre parole, a decorrere dal 25 luglio i contratti collettivi sono abilitati per effetto della delega legislativa, a indicare le esigenze specifiche aggiuntive rispetto a quelle legali sia per la stipulazione del primo contratto a termine di durata superiore a 12 mesi sia per rinnovare o prorogare un contratto a termine. La delega alla contrattazione collettiva lascia libere le parti sociali di individuare di volta in volta quali sono i fabbisogni di personale a termine in relazione alle specifiche caratteristiche di ogni singola organizzazione produttiva.
In risposta a questo emendamento, per favorire la stipulazione di contratti a termine di qualità, il M5S ha voluto introdurre una seconda disposizione volta a limitare nel tempo la delega alla contrattazione collettiva – nazionale o aziendale – di cui abbiamo detto sopra. La norma (comma 1.1 dell’art. 19) stabilisce che soltanto fino al 30 settembre 2022 – dunque a ridosso della ormai prossima elezione del nuovo Parlamento – i contratti collettivi possono negoziare condizioni diverse da quelle legali per favorire la stipulazione di contratti a tempo determinato. Ma per una sorta di eterogenesi dei fini, dopo il 30 settembre 2022, come chiarisce nella sua nota l’Ispettorato nazionale del lavoro, sarà possibile stipulare un primo contratto a termine superiore a 12 mesi soltanto per le esigenze previste dalla legge mentre le proroghe e i rinnovi restano assoggettati anche alla disciplina negoziale. La norma a differenza della prima – che invece ha carattere strutturale – ha carattere transitorio e una portata limitata, poiché il limite temporale si applica soltanto alla stipulazione del contratto. In altri termini, dopo il 30 settembre 2022 sarà possibile prorogare o rinnovare i contratti a termine in ragione anche delle causali previste dalla contrattazione collettiva.
Questo importantissimo ampliamento della competenza della contrattazione collettiva necessita di essere capito e condiviso dalle parti sociali, che devono affrontare la sfida della fluttuazione dei mercati post pandemica senza gli occhiali dell’ideologia e indirizzare – anche con un accordo interconfederale in cui indicare quali tutele aggiuntive si possono negoziare sul piano delle politiche per l’occupazione in cambio della riduzione dei vincoli – la contrattazione aziendale sulla strada della flessibilità contrattata.
Lucia Valente
Ordinario di diritto del lavoro
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”