Più l’azienda va meglio, più si guadagna. La regola finora è valsa soprattutto per l’imprenditore, ora potrebbe estendersi anche ai lavoratori. Che vedrebbero legati i futuri aumenti contrattuali esclusivamente alle performance aziendali. Così vorrebbe Confindustria. Ma i sindacati non sono d’accordo. Intanto però Squinzi, nella sua relazione in assemblea, ha lanciato il sasso nello stagno: occorre favorire la contrattazione aziendale «virtuosa» che «lega i salari ai risultati aziendali». E per questo chiede ai sindacati di «andare avanti nel processo di decentramento della contrattazione collettiva». Che il governo, dal canto suo, dovrebbe premiare fiscalmente «in modo significativo e strutturale». Consentendo l’applicazione di queste agevolazioni anche nel caso la parte di retribuzione legata ai risultati, nasca «da decisione autonoma dell’imprenditore», ovvero senza la mediazione del sindacato.
Il concetto è meglio spiegato nel documento che pochi giorni Squinzi ha consegnato al Ministro del lavoro, Giuliano Poletti, in vista della discussione parlamentare sulla delega di riforma del mercato del lavoro. «Decontribuzione e correlata detassazione» si legge nel documento devono potersi applicare «anche a quelle erogazioni concesse unilateralmente (non solo quelle derivanti da contrattazione collettiva) collegate a indici di produttività e redditività aziendale o, comunque, a parametri quantitativi verificabili». Inoltre Confindustria propone di «consentire alle imprese che hanno la contrattazione aziendale di negoziare solo incrementi retributivi effettivamente collegati ai risultati aziendali senza quindi, riconoscere gli aumenti fissati dai contratto nazionale di categoria». Le altre imprese (quelle che non hanno la contrattazione aziendale) dovrebbero avere la possibilità «di optare, secondo le previsioni dei singoli Ccnl, tra l’applicazione tout court degli incrementi economici da essi previsti e l’applicazione di schemi o modelli retributivi che abbiano un collegamento con i risultati aziendali predisposti dagli stessi ccnl».
La proposta però non piace nemmeno alla Cisl che da anni si batte per un maggior peso della contrattazione di secondo livello. Spiega il leader Raffaele Bonanni: «Così si rischia il paternalismo che non porta ad effetti virtuosi». Le minori tasse «devono premiare gli accordi di maggiore produttività e la collaborazione tra imprese e lavoratori su obiettivi condivisi. E da questa collaborazione deve scaturire il premio fiscale» dice Bonanni. Un no arriva anche dal numero uno Uil, Luigi Angeletti, che per il resto apprezza la relazione di Squinzi. La bocciatura è totale da parte della Cgil di Susanna Camusso.
La norma attuale
La detassazione del salario di produttività esiste dal 2008, ma è una misura non strutturale. Lo sgravio fiscale (aliquota sostitutiva Irpef e delle addizionali regionale e comunale al 10%) è comunque limitato ai bonus (tetto massimo 3.000 euro) erogati ai lavoratori dipendenti del settore privato con uno stipendio annuo fino a 40.000 euro.