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Bollettino ADAPT 20 aprile 2020, n. 16
Di fronte all’inedita e imprevedibile crisi economica e sociale che stiamo vivendo il lavoro deve assumere una centralità nuova. Il problema, tuttavia, è quello di capire come tradurre concretamente questa riscoperta dei lavori – a partire da quelli più umili e invisibili sino ad arrivare ai medici e infermieri in prima linea – in un cambiamento strutturale anche nella quotidianità dei luoghi di lavoro. E di come farlo prima che il progressivo ritorno alla normalità finisca per riportare le cose all’ordine ereditato dal Novecento industriale che ha fatto del lavoro un puro fattore economico al punto da essere facilmente sostituibile con macchine e tecnologie avanzate. Si tratta di riscrivere ora, in vista della ripresa e senza rinviare ai logori dibattiti sul futuro del lavoro, le scale di priorità.
Rivalutare cioè come calcoliamo e remuneriamo il valore aggiunto e la qualità del lavoro. Potremmo per esempio partire dai due milioni di lavoratori domestici, in larga parte senza tutele contrattuali e senza ammortizzatori sociali, per chiederci se la cura della persona e l’assistenza alla famiglia sia da valutarsi solo in termini economici paragonandola a un tradizionale rapporto produttivo dell’industria come rapporto tra ore lavorate e beni prodotti.
E potremmo poi subito porre l’attenzione a quello che chiamiamo settore primario, l’agricoltura, e che tuttavia abbiamo a lungo trascurato e abbandonato per poi accorgerci oggi che le filiere produttive che arrivano all’industria alimentare e alla grande distribuzione spesso si reggono su manovalanze di invisibili. E questo ragionamento lo potremmo affidare in primis a noi stessi, come consumatori finali, attenti al costo di quello che compriamo senza però pensare al costo e al valore di produzione che ‘impone’ come legge di mercato, modelli organizzativi che si fondano sullo sfruttamento di persone che abbiamo ora imparato a conoscere e apprezzare perché ci forniscono beni di prima necessità che abbiamo sin qui dato per scontati. Uno dei primi elementi da prendere in considerazione, per evitare eccessive astrazioni, è dunque quello di far emergere dalla informalità proprio quei lavori oggi più necessari che fino a ieri abbiamo fatto finta di non vedere.
Ci troviamo oggi a contare proprio su quelle figure che abbiamo per decenni marginalizzato. E qui la soluzione non può essere solamente normativa, le leggi ci sono e basterebbero a garantire standard equi. Occorre creare un vero sistema di relazioni contrattuali e personali che governi e tuteli un mercato regolare dei lavoratori domestici, di cura, dell’agricoltura, dei servizi alla persona. Un sistema che si appoggi anche alla rinnovata sensibilità nei confronti di questi lavoratori che sta maturando in questi mesi.
C’è poi tutta un’altra fetta di lavoro che soffre e vive tutto il peso dell’incertezza e delle contraddizioni del momento. Sono quei lavoratori occupati sia nelle fabbriche che nei servizi che si trovano tra l’incudine del timore di perdere il lavoro a causa di chiusure obbligate che ormai proseguono da diverse settimane e il martello della salute. Anche all’interno di questo complesso dilemma il ruolo delle relazioni contrattuali e personali è centrale per diversi motivi e a diversi livelli. Da un lato importante è stato il Protocollo firmato nei primi momenti dell’emergenza per dettare condizioni generali di sicurezza nei luoghi di lavoro, così che fossero chiari gli standard richiesti. Dall’altro le rappresentanze di imprese e lavoratori, in virtù della loro prossimità alle singole realtà produttive possono ora districarsi meglio di norme nazionali nelle differenze organizzative e logistiche dei singoli settori in linea con le loro peculiarità.
Per questo vanno sostenuti e accompagnati quegli accordi aziendali che hanno come oggetto proprio le procedure che consentono una riapertura in sicurezza coinvolgendo, laddove presenti, i sindacati anche come garanti di queste procedure. Si tratta dell’unica strada perché la ricostruzione di un sistema duramente colpito passi dalla ricostruzione dei rapporti tra le parti. Laddove il sindacato non è presente è possibile muoversi in una logica territoriale di accordo tra le parti. Questo chiede una grande responsabilità a tutti, certi però che sbagliare questa fase, con imprudenze più o meno consapevoli, rischierebbe di riconsegnarci allo scenario di inizio marzo. Scenario che nessuno, imprese e lavoratori, possono permettersi.
Presidente Fondazione ADAPT
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico ADAPT
@MicheTiraboschi
*pubblicato anche su Avvenire, 16 aprile 2020