Bollettino speciale ADAPT 11 dicembre 2024, n. 7
Lo scorso 21 ottobre 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo preliminare delle “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”, ovvero del Codice degli appalti pubblici.
Con l’art. 2 dell’Allegato I.01, rubricato “Identificazione del contratto collettivo applicabile”, il Governo è intervenuto, tra l’altro, per integrare l’art. 11 del D.lgs. 36/2023 stabilendo i criteri che le stazioni appaltanti dovranno seguire per individuare il CCNL applicabile ai lavoratori impiegati nei servizi e forniture oggetto degli appalti pubblici e concessioni.
Le associazioni datoriali, durante le diverse audizioni che si sono fino ad ora susseguite, hanno avuto modo di presentare le loro opinioni critiche ma anche le loro proposte integrative alle modifiche che il c.d. decreto correttivo apporta all’articolo 11 del D.lgs. 36/2023 ovvero al principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore.
Con riferimento al tema della misurazione della rappresentatività, l’art. 2, co. 4 e 5 dell’Allegato I.01 stabilisce in via residuale dei criteri attraverso i quali determinare la maggiore rappresentatività comparata delle organizzazioni sindacali e datoriali.
Le associazioni datoriali di Confindustria, unitamente all’Associazione Bancaria Italiana (ABI), all’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), a Confcommercio, alla Confederazione delle Cooperative italiane (Confcooperative), alla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (Legacoop), proprio in relazione a questo tema, hanno inviato ai Presidenti delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato e ai Presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato una nota tecnica ove vengono illustrate le motivazioni che sorreggono il loro posizionamento critico rispetto ai parametri stabiliti all’art. all’art. 2, comma 4, dell’Allegato I.01.
In primo luogo, viene evidenziato che il criterio del numero complessivo delle imprese associate, di cui alla lett. b) del comma 4, non è utilizzabile ai fini dell’individuazione degli agenti contrattuali comparativamente più rappresentativi in quanto, allo stato attuale, non esiste un meccanismo generalizzato ed omogeneo di rilevazione di tale criterio che possa garantire che il relativo dato abbia carattere di obiettività e verificabilità per tutti i settori produttivi e le diverse forme di impresa. Diverse critiche sono sollevate anche nei confronti del criterio della diffusione territoriale delle associazioni di rappresentanza, di cui alla lett. c) del comma 4, in quanto si osserva che i vari settori produttivi rappresentati dalle associazioni datoriali hanno un “tessuto imprenditoriale” che risponde a diverse forme di impresa e, di conseguenza, a diverse strutture organizzative e pertanto risulta essere difficile trovare un criterio universale fondato sulla “diffusione territoriale” delle sedi. Da ultimo, viene valutato altrettanto critico (e fuorviante) e ritenuto non affidabile il parametro costituito dal numero di CCNL sottoscritti, di cui alla lett. d) del comma 4. A conferma di ciò, il fatto che dalle verifiche effettuate dall’INPS, risulta molto frequente che il numero di lavoratori che vedono regolato il loro rapporto da moltissimi contratti depositati al CNEL sia del tutto esiguo, se non inconsistente.
Anche il criterio della verifica della presenza dell’Associazione/Confederazione interessata nel Consiglio del CNEL (previsto dall’art. 2, comma 5) è oggetto di critica in quanto tale requisito risulta, comunque, dipendere da una scelta della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Le stesse organizzazioni datoriali nella nota tecnica hanno proposto dei criteri per la verifica della maggiore rappresentatività comparata. Il primo criterio è quello della storica presenza della Confederazione/Associazione nel panorama delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva (c.d. “seniority” dell’associazione). Segue poi il criterio che valuta il numero dei rapporti di lavoro regolati, nell’ambito di ciascun settore produttivo o per forma di impresa, da un determinato CCNL di categoria. Il terzo criterio si basa sull’appartenenza e sulla partecipazione dell’associazione datoriale ad organismi di rappresentanza europea e/o internazionali e, infine, l’ultimo criterio è quello fondato sulla circostanza che le associazioni datoriali abbiano costituito nella contrattazione nazionale forme di previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa e fondi di formazione professionale, dando luogo ad uno strutturato sistema di welfare di prossimità sulle anzidette tematiche. Viene osservato, infatti, come la compresenza di queste tre iniziative contrattuali di tutela dei lavoratori, che comportano oneri sia organizzativi che economici molto rilevanti, e che espongono i relativi enti anche a controlli da parte dell’autorità pubblica, ben può costituire un criterio che vale a qualificare la solidità dell’impianto regolamentare adottato e la sua affidabilità.
Gli stessi rilievi critici sono stati condivisi anche da Assosistema Confindustria. L’associazione ha infatti partecipato attivamente al dibattito fornendo il suo supporto alla redazione della nota tecnica, nonché attraverso la pubblicazione di un Dossier con l’obiettivo di offrire ai soci alcune prime osservazioni sul contenuto dell’intervento normativo, per come risulta allo stato attuale, con un focus sulla sostanziale modifica che il decreto correttivo apporta all’articolo 11 del d.lgs. 36/2023 ovvero al principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore.
È dello stesso avviso anche Confservizi, confederazione costituita da Asstra e Utilitalia, la quale non condivide l’impostazione di cui al comma 4, dell’art. 2 dell’Allegato I.01, soprattutto con riferimento agli indici relativi alla diffusione territoriale, sia per sedi presenti sul territorio a livello nazionale, sia con riferimento agli ambiti settoriali, e a quello relativo al numero dei CCNL sottoscritti. La stessa organizzazione datoriale propone di inserire unicamente gli indici relativi al numero delle aziende associate/sul totale delle aziende che nel settore applicano un CCNL per effetto dell’iscrizione ad un’associazione datoriale firmataria il CCNL, e quello dei lavoratori addetti delle suddette iscritte/sul totale dei lavoratori addetti alle aziende iscritte alle associazioni datoriali firmatarie del CCNL. Tuttavia, si prevede che per l’applicazione di tale criterio è necessario predisporre ed ideare un meccanismo per il rilevamento dei suddetti indici, che certifichi la veridicità dei dati dichiarati dalle associazioni datoriali (attualmente autocertificati e non soggetti ad alcuna forma di controllo). Viene dunque proposto un controllo da parte di enti terzi su elementi quali l’iscrizione formale delle aziende alle associazioni datoriali e l’attestazione del numero di dipendenti dalle stesse occupati.
Passando al tema dell’equivalenza, l’art. 3 dell’Allegato I.01, ha introdotto una presunzione di equivalenza, secondo cui: “Ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 11, comma 4, e della conseguente verifica, si considerano equivalenti le tutele garantite da contratti collettivi nazionali e territoriali di lavoro, sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali con organizzazioni datoriali diverse in base alla dimensione o alla natura giuridica delle imprese, a condizione che ai lavoratori dell’operatore economico sia applicato il contratto collettivo di lavoro corrispondente alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa”.
La disposizione introduce una “presunzione di equivalenza” tra contratti sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali (sottinteso “comparativamente più rappresentative”) con organizzazioni datoriali diverse in base alla dimensione o alla natura giuridica delle imprese.
Nella memoria presentata da Confindustria viene criticata questa norma e nello specifico viene criticato il criterio quantitativo della marginalità in quanto lo scostamento anche se “marginale”, apertamente ammesso dalla norma in esame, comporta un giudizio di valore con apprezzabili margini di discrezionalità da parte della stazione appaltante; discrezionalità che espone di conseguenza, ed ancora una volta, le imprese ad essere oggetto di valutazioni ampiamente opinabili quanto alla scelta del contratto applicato. Al contempo viene proposto di eliminare tale disposizione oppure in alternativa di precisare che la valutazione di equivalenza relativa alle tutele normative non può considerare “marginale” uno scostamento che attenga al difetto di adeguate forme di previdenza integrativa e di sanità integrativa. Infine, nel caso non venga eliminata tale disposizione, si propone che venga espressamente previsto che, nel caso l’impresa adotti un contratto “diverso”, non possa comunque avvalersi dei benefici normativi e contributivi di cui all’art. 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n.296.
Anche l’associazione datoriale ANCE ha espresso una valutazione negativa in relazione all’equivalenza dei contratti collettivi che, secondo l’associazione, dovrebbe tenere conto di tutte le tutele offerte dai contratti collettivi nazionali di settore (e relativa contrattazione integrativa territoriale) stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. I parametri per la valutazione dell’equivalenza economica dei contratti collettivi riportati nell’allegato, secondo ANCE, non risultano essere adeguati e sufficienti per una effettiva comparazione che, tra l’altro, permette anche uno scostamento marginale dagli stessi.
La stessa posizione critica viene condivisa anche da Confartigianato e CNA. Viene pertanto proposta una modifica della norma e la precisazione che la nozione di “equivalenza delle tutele” di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 11, deve essere declinata in conformità alle caratteristiche peculiari del settore. Le datoriali ritengono che è necessario ricomprendere alcuni parametri come le tutele contenute nei contratti stipulati dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, comprese quelle che riconoscono un ruolo al sistema bilaterale nell’ambito della normativa antimafia, della legalità e della regolarità di impresa, della erogazione di prestazioni economiche, normative e di welfare per i lavoratori, proprio sul presupposto della terzietà di tale sistema rispetto agli specifici interessi di parte.
In conclusione, le organizzazioni dei datori di lavoro sono state molto compatte nel criticare le modifiche che il decreto correttivo dovrebbe apportare al Codice Appalti in materia di relazioni industriali e contratto collettivo. Le modifiche proposte non sono condivise dalle rappresentanze datoriali e rischiano di favorire fenomeni riconducibili al dumping contrattuale, compromettendo il principio della maggiore rappresentatività.
Alessandra Sannipoli
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena