“Male respondent coacta ingenia; reluctante natura, irritus labor est” (Seneca).
O, guardando l’altro lato della medaglia, è proprio vero che, quando lo si fa con motivazione e partecipazione, ogni lavoro riesce, e le difficoltà, che ad un occhio esterno apparirebbero oggettivamente insuperabili, non si vedono nemmeno.
Dopo un primo momento di incredulità e di scoramento, è questo quello che è successo a Senigallia, cittadina di poco meno 45.000 abitanti della provincia di Ancona che il 3 maggio scorso è stata colpita dalla fuoriuscita dagli argini del fiume Misa, riversatosi violentemente su alcune zone residenziali della città per allagare poi anche moltissime attività turistiche e produttive.
A Senigallia, in pochissime ore, sono stati effettuati dai vigili del fuoco (arrivati anche da territori limitrofi) centinaia di interventi di emergenza per allagamenti, frane e smottamenti, evacuazioni di edifici pubblici e privati attraverso il recupero di persone rimaste bloccate sui tetti delle abitazioni e operazioni di soccorso ad automobilisti all’interno di vetture quasi completamente sommerse. Tutto questo, insieme al lavoro di chi (Prefettura, Protezione Civile, Polizia di Stato, Polizia Stradale, Carabinieri, Guardia di Finanza con il relativo reparto sommozzatori, Corpo Forestale dello Stato, Polizia Municipale, Capitaneria di Porto, Asur, Caritas, Croce Rossa, Regione e Provincia, oltre a diversi Comuni limitrofi e non), per le rispettive competenze e per quanto possibile, ha assistito la cittadinanza, ha provato la professionalità – quando non addirittura l’abnegazione – di figure il cui operato viene spesso sottovalutato, in una diffusa e qualunquistica tendenza a sminuire l’impiego pubblico.
Ma l’alluvione è riuscita a sfatare anche un altro luogo comune, quello della “disorganizzazione” del sistema del volontariato, visto che le associazioni presenti sul territorio si sono immediatamente attivate, coordinando perfettamente, da un lato, il lavoro di centinaia di volontari che ogni giorno si sono messi a disposizione, e, dall’altro lato, raccogliendo e distribuendo in maniera capillare ogni tipo di aiuto potesse essere necessario per chi aveva letteralmente perso ogni cosa.
Senigallia è riuscita così bene ad “autogestirsi”, nell’emergenza, che difficilmente potrà sorgere il sospetto che le donazioni (anche di tipo economico, al di là dei beni di prima necessità) raccolte dalle diverse associazioni non riescano poi a raggiungere direttamente chi ha avuto i maggiori danni: questo grazie a quel controllo sociale che effettivamente, in comunità relativamente ristrette come questa, si è rivelato ancora possibile.
Per tornare al tema del lavoro, quello che però ha colpito moltissimo la cittadinanza, oltre all’encomiabile contributo di chi professionalmente è chiamato a operare in circostanze come queste, è il lavoro prestato, con un sorriso, una generosità ed una energia che è difficile descrivere, da tutti i giovani che, con le scuole inagibili, si sono riversati nelle zone alluvionate della città offrendo il proprio aiuto a chi non possedeva più nulla che non fosse stato ricoperto dall’acqua e dal fango.
Nessuno di questi ragazzi si è tirato indietro di fronte ad alcuna attività che fosse richiesta come necessaria, per quanto potesse essere faticosa o “di bassa manovalanza”: anzi, a detta di tanti che hanno ricevuto questo “provvidenziale” aiuto, molti addirittura si sono lamentati che fossero loro risparmiati dagli adulti i lavori più pesanti. E pensare che i ragazzi di questa generazione sono stati definiti “choosy”…
È vero che le emergenze sono in grado di scatenare reazioni eccezionali e di motivare anche i più riluttanti, e che probabilmente la spinta propulsiva che l’alluvione ha rappresentato è destinata ad affievolirsi naturalmente con il tempo.
È anche vero, però, che l’alluvione ha insegnato a questi giovani tantissime cose su cosa è il lavoro, e, soprattutto, su quanta soddisfazione se ne può trarre, e questo è un valore che senza dubbio resterà loro impresso.
Pur essendo Senigallia una cittadina ad impianto fortemente turistico e con una delle scuole alberghiere più rinomate in Italia, per cui molti ragazzi lavorano, nel periodo estivo, presso le varie strutture ricettive, la maggior parte di loro ha potuto provare per la prima volta solo in questa occasione cosa vuol dire portare a termine un lavoro fino in fondo (svuotare un garage dal fango e renderlo di nuovo utilizzabile è un bell’esempio di cosa intendono i giuslavoristi per “risultato”), essere puntuali rispetto agli impegni presi, collaborare con persone che non si erano scelte e di cui è necessario rispettare personalità ed esigenze, ma anche, più semplicemente, arrivare la sera a casa “stanchi”, come spesso accade ai loro genitori.
È difficile pensare che questi insegnamenti possano andare persi. L’impressione è che invece rimarranno in questi ragazzi, i quali si approcceranno al lavoro in un modo molto diverso da chi “non ha mai preso una zappa in mano”.
Questo fa riflettere sulle molte polemiche che si sono sviluppate in questi anni sul lavoro dei giovani in generale e sull’apprendistato in particolare, soprattutto quello che in altri Paesi viene svolto regolarmente nell’ambito del percorso scolastico superiore, ma di cui in Italia molti non colgono l’eccezionale potenzialità educativa e formativa, fino a considerarlo quasi una forma di sfruttamento.
Ecco, se è vero che si deve trarre da ogni esperienza, per negativa che sia, un insegnamento, si può dire che Senigallia (e non solo i suoi giovani, a questo punto) ha imparato a ridare valore al lavoro, e anzi, ad ogni lavoro, anche quello generalmente considerato più umile: quello di chi pulisce, ricostruisce, “aggiusta”. Verrebbe da dire, il lavoro dell’artigiano (per inciso: moltissimi artigiani locali hanno fornito gratuitamente assistenza e consigli, anche diffondendoli tramite i principali social network, su come recuperare mobilio, motori, elettrodomestici, ecc.).
È per questo che ADAPT, per i valori che difende e per i temi che da sempre indaga, vuole con questo Bollettino Speciale testimoniare cosa è successo a Senigallia, come esempio davvero virtuoso di una città che si è attivata, pur con tutte le difficoltà che ora si fanno ancor più tangibili perché non più velate dall’emergenza, e si è attivata davvero a partire dai giovani.
Un ultimo esempio è esplicativo di quanto l’alluvione sia stata anche l’occasione, per alcuni di loro, di mettere a frutto le proprie competenze e di vederle riconosciute: ad un’ora di distanza dalla alluvione, un gruppo di ragazzi ha infatti creato una pagina Facebook chiamata “Sos Alluvione Senigallia”, attraverso la quale, diffondendo informazioni chiare e in tempo reale, sono state fornite alla popolazione tutte le informazioni che, anche in considerazione dei numerosi black out di quei momenti, era difficile ottenere sui siti internet o chiamando i numeri di telefono generalmente disponibili nelle emergenze. In questo modo sono stati agevolati i primi soccorsi e, in una seconda fase, anche gli aiuti e i servizi per gli alluvionati. L’iniziativa ha avuto un tale seguito che anche le associazioni e le Istituzioni locali si sono rivolte a questi giovani per le comunicazioni ufficiali e per coordinare le richieste di aiuto con le disponibilità fornite dai volontari. Volendo ragionare in senso più ampio sulle potenzialità e sull’uso delle tecnologie per la gestione delle emergenze, si dovrebbe anche precisare che questi ragazzi hanno operato, nelle prime fasi, da quattro città diverse (Milano, Bologna, Ravenna e Imola).
Ebbene, è auspicabile che questo progetto, nato in emergenza ed affinatosi “in corsa”, costituisca, prima ancora che un segno della vitalità e della resilienza di Senigallia, un esempio di messa a frutto eccellente di competenze differenziate e trasversali ed un modello da seguire per tanti giovani che stanno aspettando di entrare, finalmente, nel mercato del lavoro.
ADAPT Senior Research Fellow
@PasquiniFlavia