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Bollettino ADAPT 15 febbraio 2021, n. 6
Le conseguenze del fenomeno epidemiologico COVID-19 hanno avuto e continuano ad avere impatti dirompenti su una pluralità di aspetti e ambiti relativi al mercato del lavoro, uno di questi è rappresentato dalla formazione erogata ai lavoratori assunti con contratto di apprendistato professionalizzante.
Sappiamo infatti che la componente formativa risulta essere coessenziale alla natura dell’istituto stesso dell’apprendistato, il cui obiettivo è il conseguimento di una qualificazione valida ai fini contrattuali.
Per quanto riguarda la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere “interna”, è erogata secondo quanto previsto dal piano formativo allegato al contratto individuale ed è svolta sotto la responsabilità del Datore di lavoro, che è tenuto a registrare la formazione effettuata e la qualifica professionale acquisita dall’apprendista ai fini contrattuali con gli strumenti messi a disposizione dalla normativa.
Essenziale in questo contesto è la figura del Tutor o Referente aziendale, il cui ruolo travalica l’aspetto formativo prettamente tecnico e investe anche la dimensione del sapere più ampio, legato all’ambiente e alla cultura organizzativa del contesto in cui si agisce ed in cui è necessario che la figura di riferimento abbia interiorizzato e metabolizzato tali pratiche per poterle trasmettere.
In un bellissimo testo di Bertagna, si sottolinea infatti che, come diceva Aristotele, si possono insegnare soltanto conoscenze ma lavorare è molto più che avere le conoscenze che lo rendono possibile, coinvolge l’esperienza personale, l’essere stesso di chi lavora. Imparare un “mestiere” da un “mastro” significa “rubarlo”. Rubarlo da persona a persona, rivivendolo in sé, per “simpatia”, copiarlo per intrusione, indovinando per intuizione ciò che tiene nascosto, predarlo, enucleando razionalmente quanto è nucleato, superando la refrattarietà dell’artista (o di chiunque si dimostri «esperto» nel fare bene qualcosa) a condividere la “sua” competenza, il che poi vuol dire la “sua” irripetibile e non trasmissibile esperienza personale, per farla “nostra” per quanto possibile, con un “nostro” altrettanto personale atto creativo che ci forma mentre lo svolgiamo e che, mentre ci forma, ci aiuta anche a riconoscere che noi siamo sempre molto di più di questa forma che a mano a mano esibiamo e delle forme che andiamo via via assegnando al mondo ed al nostro rapporto con le cose (G. Bertagna, Apprendistato e formazione in impresa, in Diritto delle Relazioni Industriali, n.4, 2011, Giuffrè editore, pp. 1050-1051).
Ponendo ora l’attenzione sulla modalità di erogazione della formazione prevista dalla contrattazione collettiva, questa può assumere diverse forme, tra le più ricorrenti all’interno dei CCNL troviamo la formazione on the job, in affiancamento, esercitazioni di gruppo, testimonianze, action learning, visite aziendali ma anche, non di rado, in modalità e-learning.
Proprio quest’ultima modalità, come è noto, ha rappresentato una buona opportunità sia durante il periodo di lockdown sia in questi mesi di ripresa delle attività produttive in un contesto comunque caratterizzato da limitazioni e restrizioni che incidono sull’organizzazione dei corsi in presenza o che hanno visto il classico affiancamento on the job sul posto di lavoro trasformarsi in affiancamento da remoto svolto in smart-working.
Molti CCNL prevedevano già al loro interno la possibilità di erogare la formazione a distanza e/o in e-learning e alcune aziende si sono quindi trovate maggiormente pronte ad organizzare le ore di formazione interna attraverso queste modalità senza dover prorogare il termine ultimo previsto nel contratto individuale di apprendistato oppure senza dover ricorrere a discipline d’urgenza ad hoc per l’introduzione e la sperimentazione della FAD.
In alcuni casi, invece, la cosiddetta formazione in aula è stata convertita o modificata in formazione a distanza proprio per far fronte ai nuovi assetti organizzativi che la pandemia ha comportato. Questo passaggio può aver rappresentato una riduzione di ore rispetto a quanto stabilito generalmente dai PFI a causa dell’impossibilità di svolgere specifiche attività di teamworking o altri percorsi non facilmente sostituibili con una formazione da remoto per la specificità degli obiettivi formativi da traguardare.
Prendiamo un caso concreto seguito negli scorsi mesi per un’azienda del settore metalmeccanico, il secondo contratto collettivo più utilizzato in Italia per l’apprendistato, dopo quello del commercio, e molto attento a tale disciplina soprattutto in merito alla definizione dei profili specifici e competenze tecnico professionali sulla base dei quali gli operatori possono attingere per progettare il profilo formativo idoneo alle esigenze lavorative dell’apprendista stesso e dell’impresa.
Nello specifico, il CCNL del settore della meccanica prevede l’erogazione da parte dell’azienda di un percorso formativo per un totale di minimo 240 ore da svolgere nell’arco dei 30 mesi di durata del contratto. La formazione viene suddivisa dall’azienda in “Formazione in aula” e “Training on the job”.
A causa dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e la conseguente impossibilità di organizzare corsi in presenza per un numero elevato di risorse, la formazione che generalmente viene svolta in aula attraverso l’Academy aziendale, viene erogata da remoto ed ha conseguentemente subito una riduzione delle ore e la sospensione di alcune attività formative che per essere efficaci è necessario svolgere in presenza.
Un’azione intrapresa al fine di compensare la diminuzione delle ore in aula e raggiungere il totale delle ore di formazione senza dover prorogare il termine del contratto di apprendistato, è stata quella di integrare con una ridefinizione condivisa, le attività di training on the job che erano state precedentemente previste attraverso il supporto del Tutor o Referente aziendale.
Nel dettaglio alcuni PFI di percorsi di apprendistato professionalizzante per il conseguimento della qualifica di Project Engineer, composti da 104 ore di Formazione in Aula in cui sono previste, ad esempio, attività di change management, project management, financial accounting, formazione sulle principali attività strategiche e processi interni, le principali aree di business aziendali e un laboratorio esperienziale, hanno visto parte di questa formazione ridotta nel numero di ore, in quanto prevede, ad esempio, dei percorsi in cui gli apprendisti devono svolgere “esercizi” di team building o di condivisione di esperienze e conoscenze da effettuare in gruppo, volti a sviluppare le loro soft skill e conoscere, attraverso pratiche informali di condivisione, i colleghi e le diverse realtà dell’azienda in cui operano.
È stato quindi utile, nell’ambito delle attività di monitoraggio periodico dei Piani Formativi che vede coinvolti il Tutor e l’Apprendista, andare a modificare la struttura iniziale del Piano Formativo Individuale e ridefinire l’impegno formativo su tematiche specifiche, sulla base delle competenze e conoscenze su cui si ritiene necessario lavorare al fine di raggiungere gli standard professionali di riferimento relativi alla qualificazione che la risorsa dovrà conseguire ai fini contrattuali.
In questa fase si sono quindi andate ad incrementare le 136 ore inizialmente previste di attività della cosiddetta “formazione tecnica” o di “training on the job”, inserendo nel Piano Formativo altre ore di affiancamento su tematiche che nel corso dell’apprendistato, tutor e apprendista, hanno capito di dover sviluppare maggiormente per la definizione e la valorizzazione del profilo professionale.
Dunque, l’attività di revisione del PFI può rappresentare un’ottima opportunità anche per ampliare l’occupabilità dell’apprendista puntando sulla sua formazione in quanto persona, senza limitarsi a renderlo adatto soltanto a poche mansioni specifiche, aumentando anche la sua fidelizzazione e soddisfazione personale.
La riflessione che potrebbe nascere è certamente legata al tipo di esperienza che l’apprendista riceve nello svolgimento di gran parte delle attività formative a distanza. Se nulla vieta infatti che parte della formazione venga svolta da remoto, è comunque necessario ricordare che l’affiancamento e il confronto in presenza tra tutor e apprendista è una componente irrinunciabile dell’essenza dell’apprendistato.
È ormai passato un anno dall’insorgere nel fenomeno epidemiologico che ha stravolto le nostre abitudini e se da un lato è vero che ha consentito l’accelerazione di sviluppi organizzativi più moderni (pensiamo all’ampia diffusione del lavoro agile), mostrando possibilità e opportunità per le quali si sarebbe dovuto attendere ancora molti anni, ha, forse, al contempo anche dimostrato che non tutto può essere “remotizzato”, che alcuni bisogni formativi per esprimere la loro piena funzionalità necessitano della presenza, presenza che implica uno scambio tra “maestro” e apprendista che consente quel “rubare il mestiere da persona a persona, rivivendolo in sé, per “simpatia”, copiarlo per intrusione, indovinando per intuizione ciò che tiene nascosto, predarlo, enucleando razionalmente quanto è nucleato” (G. Bertagna, Apprendistato e formazione in impresa, in Diritto delle Relazioni Industriali, n.4, 2011, Giuffrè editore, pp. 1050-1051).
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena