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Bollettino ADAPT 14 marzo 2022, n. 10
Le recenti cronache hanno registrato un costante impegno dei tribunali alle prese con la tutela dei diritti di informazione e consultazione del sindacato nella gestione delle crisi aziendali. Si tratta di casi in cui le procedure di riorganizzazione del personale sono state invalidate proprio perché le aziende in questione non si sono adeguatamente confrontate con le organizzazioni sindacali.
La comunicazione intesa quale dialogo e confronto con la controparte è resa obbligatoria da normative specifiche previste per i diversi casi di crisi. Si pensi ai procedimenti obbligatori di consultazione previsti per richiedere gli ammortizzatori sociali (art. 24 della L. n. 148/2015), nonché a quelli di comunicazione necessari per procedere a licenziamenti collettivi (art. 4 della L. n. 223/1991). Lo scopo di tali obblighi è quello favorire la trasparenza delle procedure e, dunque, l’effettiva partecipazione delle parti sociali, al fine di individuare eventuali misure alternative al recesso e conservative dei livelli occupazionali o, laddove non concretamente praticabili, di condividere e ove possibile concordare criteri di scelta del personale in esubero (fra le più recenti, cfr. Trib. Monza 8 ottobre 2021 (caso Giannetti Ruote), Trib. Firenze 20 settembre 2021 (caso GKN), nonché Trib. Napoli 4 gennaio 2022 (caso Jabil), tutte in www.bollettinoadapt.it). Inoltre, non si può escludere che il legislatore abbia voluto coinvolgere il sindacato nella gestione di tali dinamiche per affidargli un compito di “sorveglianza” sul corretto esercizio dei poteri datoriali, evitando il puro arbitrio o decisioni che possano poi sfociare in condotte discriminatorie.
Rispetto a tali obblighi, come si è detto, è stato possibile registrare una particolare attenzione della giurisprudenza relativamente alle procedure previste dall’art. 4 della legge 223/1991, norma che statuisce gli obblighi di informazione e consultazione previsti in caso di eccedenza di personale. Tale previsione contribuisce a disegnare un preciso iter a garanzia del contraddittorio con le associazioni sindacali. Dapprima l’azienda è tenuta a comunicare l’intenzione di aprire la procedura di licenziamento collettivo alle rappresentanze sindacali ed all’ufficio provinciale del lavoro e, ove richiesto entro 7 giorni dalle organizzazioni sindacali, si può poi procedere ad un esame congiunto per verificare possibili misure alternative conservative dei livelli occupazionali. Quanto emerge dal confronto sarà poi oggetto di comunicazione all’ufficio provinciale del lavoro.
Non è però solo la legge a regolare le procedure di gestione delle crisi aziendali e il ruolo della rappresentanza all’interno di esse. Alcuni contratti collettivi, tra cui si annovera quello della meccanica, hanno reso obbligatorio un confronto costante rispetto all’andamento economico-finanziario dell’azienda e alle conseguenti modifiche o ricadute relative i livelli occupazionali. In questa prospettiva, nel caso in cui si debba procedere a licenziamenti collettivi, il confronto con il sindacato non si traduce in una mera attività di informazione ma si estende alla fase della formazione della decisione. Secondo i giudici, il senso dell’obbligo assunto è evidentemente quello di consentire al sindacato di esercitare al meglio le proprie funzioni, ivi compresa quella di condizionare (con le ordinarie e legittime modalità di confronto ed eventualmente di contrasto) le future determinazioni e scelte gestionali dell’azienda.
Procedendo con ordine, riteniamo di primario interesse la sentenza relativa il caso Jabil. Dopo una complessa vicenda di passaggio dell’organico da Jabil S.p.a. a Orefice S.r.l., all’interno della quale anche grazie all’intermediazione del MISE si prevedeva la reindustrializzazione del sito, ai lavoratori veniva richiesto il trasferimento presso un sito a 600 km di distanza.
La Corte, alla luce della direttiva CE 98/59 in materia di licenziamenti collettivi e della relativa interpretazione della Suprema Corte, ha ritenuto che la richiesta di trasferimento presentasse gli estremi del licenziamento collettivo secondo la nozione eurounitaria. Si trattava, infatti, di un atto unilaterale idoneo ex ante a determinare una modifica sostanziale delle condizioni di lavoro dal quale può derivare quale ragionevole conseguenza la cessazione del rapporto. A questo proposito, il tribunale sottolineava che non veniva rispettato il requisito della procedura di consultazione previsto sia dalla legislazione nazionale sia dalle direttive europee, necessario in una prospettiva di condivisione di risoluzioni alternative delle crisi aziendali. Come sostenuto costantemente dalla giurisprudenza europea (cfr. ex multis, Corte di Giustizia 4 Giugno 2020 C- 32/20, paragrafo 30), l’obiettivo principale della direttiva sarebbe proprio quello di far precedere i licenziamenti collettivi da un’idonea informativa e da un confronto con le organizzazioni sindacali.
La giurisprudenza si è poi espressa affermando la violazione degli obblighi informativi previsti dal CCNL metalmeccanici nel caso GKN (Trib. Firenze 20 settembre 2021). Benché infatti risulti chiaro dalla lettera di apertura della procedura di licenziamento collettivo ex art. 24 della L. n. 223/1991 che la decisione dell’azienda in merito ai licenziamenti fosse stata a lungo ponderata – si legge infatti che “Negli ultimi mesi, il quadro si è stabilizzato e ha fornito una base robusta per le pianificazioni future” – ai sindacati nei mesi antecedenti i fatti non è data notizia relativa alla chiusura dello stabilimento e alla delocalizzazione della produzione.
Nel caso in questione, l’obbligo di informare in maniera assidua le organizzazioni sindacali sulla situazione economico-finanziaria e le relative ricadute occupazionali derivava sia dalle previsioni del CCNL Metalmeccanici, sia da un accordo aziendale siglato in data 9 luglio 2020. La Corte ha sostenuto che dal tenore letterale della norma contrattuale emerge che l’obbligo di informazione gravante sul datore di lavoro non è limitato alla comunicazione della decisione assunta ma si estende alla fase di formazione della decisione stessa, segnatamente sulla base di alcune delle espressioni in essa contenute, quali “andamento prevedibile dell’occupazione”, “previsioni di rischio per i livelli occupazionali”, “previsioni sulle dinamiche occupazionali anche in relazione all’andamento della domanda e dei conseguenti carichi di lavoro”. Da queste locuzioni, si evince che parte datoriale è tenuta a condividere con il sindacato non solo i dati aziendali (sull’andamento del mercato, i livelli produttivi ed altro), ma anche ogni valutazione effettuata in ordine ai suddetti dati, tutte le volte che, come nel caso di specie, tale valutazione comporti una “previsione di rischio per i livelli occupazionali”. Inoltre, già nel 2020 GKN si era impegnata “al confronto con la RSU in caso di mutamento del corrente contesto e condizioni di mercato”, nell’eventualità in cui avesse dovuto procedere a licenziamenti coercitivi. In definitiva, la GKN era tenuta ad informare il sindacato non solo dei dati relativi all’andamento dell’azienda, ma anche del fatto che il quadro delineato dai suddetti dati stava conducendo i vertici aziendali ad interrogarsi sul futuro dell’azienda stessa.
Le violazioni si evincono dalla ricostruzione dei fatti: in data 8 giugno GKN aveva rappresentato possibili esuberi (tra le 15 e le 29 unità) tanto alla RSU che alle organizzazioni sindacali; tuttavia, alla proposta dei sindacati presentata in data 29 giugno di soluzioni alternative al licenziamento non è mai giunta risposta. In seguito ad un sollecito, l’azienda ha promesso un incontro per discutere di tutte le questioni in data 7 luglio, omettendo di specificare quanto sarebbe accaduto il giorno seguente: la chiusura dell’intero stabilimento e la delocalizzazione della produzione.
Per il giorno 8, inoltre, era stato predisposto un fermo produttivo motivato dalla perdita di una commessa. Come è ormai noto, lo stabilimento non ha mai riaperto; la comunicazione ai lavoratori è stata data infatti in data 9 luglio ed essi sono stati posti con effetto immediato in aspettativa retribuita. Appare chiaro secondo la Corte che “vi sia stato un intento di delegittimare il sindacato per elidere la possibilità di reazione dello stesso, che si riscontrerebbe dalle modalità con cui è stata disposta la cessazione dell’attività”. All’immediata cessazione della produzione non è stata attribuita da parte dell’azienda alcuna spiegazione; la Corte ha ravvisato in tale iter una mancanza di buona fede e correttezza da parte dell’azienda e ritenuto plausibile che quest’ultima volesse limitare l’attività del sindacato.
È dunque configurabile un’evidente violazione dei diritti del sindacato, messo davanti ad un fatto già compiuto e privato della facoltà di intervenire sull’iter di formazione della decisione datoriale, nel solco di un confronto costruttivo e democratico che dovrebbe caratterizzare le parti (giova sul punto ricordare quanto osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 99 del 1980, la quale esclude che il rapporto tra impresa e sindacato sia connotato da “un inevitabile e irriducibile contrasto fra datori di lavoro e lavoratori”, nonché da “un incessante conflitto fra opposti interessi degli uni e degli altri”).
Nel caso Giannetti Ruote (Trib. Monza 8 ottobre 2021), invece, la Corte non ha ritenuto violate le norme di legge, in quanto l’azienda non si è sottratta al confronto ed ha di fatto dato previa comunicazione della riduzione del personale alle organizzazioni sindacali. Invero, l’azienda ha proceduto prima ad una comunicazione diretta ai lavoratori nella quale si annunciava la chiusura dello stabilimento e che gli stessi sarebbero stati posti in ferie sino ad una successiva comunicazione, rispettando però l’iter previsto prima di aprire effettivamente la procedura di licenziamento. La Corte in tal caso non ha nemmeno ravvisato la violazione degli obblighi previsti dal CCNL Metalmeccanici, in quanto come provato dall’azienda si sono tenuti incontri con frequenza mensile in cui veniva fedelmente rappresentata la situazione economico-finanziaria.
Come si desume dal dato normativo e contrattuale, dunque, nel corso della gestione delle vertenze il sindacato può utilizzare le leve della comunicazione per legittimare il proprio ruolo e il proprio intervento all’interno delle dinamiche di gestione dei rapporti di lavoro rispetto alle situazioni di crisi, che a quanto pare non sono solo ad appannaggio dell’imprenditore.
Il caso GKN in questo senso è particolarmente ricco di spunti: al licenziamento dei 422 lavoratori nel luglio 2021 sono seguite azioni di protesta a livello regionale, un’attenzione mediatica particolarmente alta, un processo che si è basato proprio sulla necessità del confronto con le organizzazioni sindacali. La vicenda, benché ancora non del tutto conclusa, si è evoluta grazie ad un accordo siglato il 21 gennaio 2022 presso il MISE, che prevede la re-industrializzazione del sito e il mantenimento dei livelli occupazionali grazie all’ausilio della cassa integrazione straordinaria. Il sindacato e i lavoratori sono riusciti a indirizzare gli esiti vertenziali grazie agli strumenti comunicativi interni ed esterni, mediatici e previsti da norme e contratti, descritti sin ora.
Il caso GKN è solo un esempio fra tanti che prova quanto sostenuto da numerosi studiosi delle relazioni industriali: se una delle parti coinvolte agisce unilateralmente ed abbandona il confronto la crisi assume quasi sempre i caratteri dello scontro sociale (sul punto, cfr. G. Castano, Relazioni industriali e contrattazione collettiva nella gestione delle crisi aziendali, in Working Paper ADAPT, 2022, n. 2).
In conclusione, le pronunce in analisi, oltre a mostrare la portata particolarmente ampia della direttiva europea in materia di licenziamenti collettivi, dimostrano anche come i diritti di consultazione e informazione – specialmente quelli di natura contrattuale – stiano assumendo crescente rilevanza nella tutela dei diritti dei lavoratori.
Serena Bergamaschi
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena