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Bollettino ADAPT 11 marzo 2024, n. 10
Un recente studio americano, realizzato da uno ricercatore del calibro di David Autor e pubblicato dal National Bureau of Economic Research, ha esaminato l’evoluzione delle competenze lavorative e professionalità dall’epoca artigiana fino ai giorni nostri, passando per la rivoluzione industriale, l’avvento dell’era informatica e, più di recente, l’introduzione dell’intelligenza artificiale (IA). La tesi sostenuta da David Autor è di particolare interesse anche per l’osservatore italiano: l’intelligenza artificiale apre nuove opportunità lavorative per la classe media, consentendo di accedere a ruoli che erano in precedenza riservati alle élite del mercato del lavoro.
Già la rivoluzione industriale aveva segnato un cambiamento nelle competenze richieste ai lavoratori: il lavoro artigiano, che richiedeva abilità manuali (nella fase procedurale) e capacità di giudizio (per adattare le abilità manuali a casi pratici fra loro differenti), venne progressivamente sostituito da lavori di produzione di massa. Con la rivoluzione industriale la produzione divenne meccanica, eseguita da operai addetti alla produzione, coadiuvati da macchinari e supervisionati da manager con alti livelli di istruzione. Le mansioni richiedevano scarse competenze e le paghe erano di conseguenza basse. Le competenze, infatti, definiscono il valore del lavoro. I lavori che richiedono poca formazione si trovano – negli Stati Uniti e nei paesi industrializzati – in fondo alla scala salariale.
Allo stesso tempo, emersero nuove figure professionali (elettricisti, meccanici esperti, operatori telefonici) alle quali venivano richieste alfabetizzazione e abilità numeriche, fattore che ha contribuito alla creazione di una nuova classe media, scolarizzata e benestante.
Con l’era dell’informazione, poi, i compiti manuali e routinari furono automatizzati grazie ai computer. I computer, con l’avanzare dell’innovazione informatica, si rivelarono precisi, veloci ed economici. Questi, però, non sostituivano il lavoro umano. Solo i lavoratori, infatti, potevano eseguire quelle attività che richiedevano capacità di analisi di casi concreti, ad alto rischio e con esiti incerti. Secondo l’Autore, i computer servirono come mero strumento al lavoro umano, aumentandone la precisione, la produttività e la completezza e, di conseguenza, il valore del lavoro. Questo comportò una cesura fra i lavori non routinari e i lavori routinari. I primi, soggetti a salari più alti, erano i lavori compiuti da professionisti laureati come medici, architetti, piloti, educatori, etc. I secondi vennero resi eseguibili dai computer e i lavoratori vennero reimpiegati in altre mansioni pratiche, come nei servizi di pulizia, di portierato, alimentare e di sicurezza.
La differenza di competenze e professionalità richieste e la conseguente differenza di retribuzioni portò a un aumento significativo delle disuguaglianze in questa fase storica.
Con l’introduzione dell’intelligenza artificiale si assiste oggi a un diverso scenario: è diventato possibile eseguire attività non routinarie che richiedono conoscenze tacite anche senza l’intervento umano. Grazie all’allenamento e all’esperienza, l’intelligenza artificiale è oggi in grado di prendere decisioni in modo autonomo.
Secondo David Autor la capacità di decisione, precedentemente appannaggio delle classi più elevate e scolarizzate della società, può pertanto essere oggi raggiunta anche dalla classe media tramite l’utilizzo dell’IA. Più precisamente: «by providing decision support in the form of real time guidance and guardrails, AI could enable a larger set of workers possessing complementary knowledge to perform some of the higher-stakes decision-making tasks currently arrogated to elite experts like doctors, lawyers, coders and educators». Tutto questo potrebbe migliorare la qualità del lavoro per i lavoratori senza laurea, attenuare le disuguaglianze salariali e, analogamente a ciò che ha fatto la rivoluzione industriale per i beni di consumo, potrebbe ridurre in modo significativo il costo di servizi chiave come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e le competenze legali.
Un esempio significativo è rappresentato dalla scrittura assistita da strumenti come ChatGPT che permette di produrre testi migliori in minor tempo. L’Autore sostiene che l’utilizzo di tali strumenti non appiattisca le qualità degli scrittori: i migliori rimarrebbero tali, mentre quelli meno esperti e qualificati avrebbero la possibilità di compiere dei lavori di qualità superiore.
L’IA integra infatti le competenze umane, non si sostituisce ad esse: sebbene l’IA sia in grado di eseguire attività che richiedono conoscenze implicite, non è affidabile sui fatti e sui numeri. Questo comporta che i lavoratori non esperti e non addestrati non saranno comunque in grado di svolgere attività particolarmente rischiose. Viene invece data la possibilità ai lavoratori con un’adeguata base di competenze di aumentare il proprio livello professionale.
I lavori oggi esistenti non sono tali poiché non ancora colpiti dall’automazione, ma poiché sono stati adeguati alle innovazioni tecnologiche e hanno permesso di sfruttare competenze nuove prima inimmaginabili.
Secondo l’Autore, inoltre, ci sono dei mestieri che non potranno essere sostituiti dall’IA. Un esempio è rappresentato dal tentativo – ritenuto fallimentare – di rendere automatica la guida: le necessità a cui deve rispondere (pedoni imprevedibili, evoluzione dei pericoli stradali e condizioni meteorologiche avverse) paiono difficili da interpretare e difficili da soddisfare tramite l’IA.
In alcuni settori come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’informatica la domanda di lavoro è in esponenziale aumento e l’autore rimane ottimista nel ritenere che l’automazione, creando innovazione e nuove possibilità umane, creerà molti posti di lavoro (a fronte, invece, di un progressivo calo demografico). Tuttavia, allo stato attuale dei fatti, l’automazione è superiore rispetto ai nuovi posti di lavoro. Se, dunque, da un lato vi è lo sviluppo di nuove competenze e nuovi impieghi, dall’altra vi sono settori in cui l’occupazione diminuirà.
In conclusione, tutto dipenderà dall’utilizzo che si farà di queste nuove tecnologie. Si pensi, ad esempio, all’IA impiegata per sorvegliare e reprimere i dissidenti negli Stati illiberali o, al contrario, al suo utilizzo per lo sviluppo di vaccini e cure mediche.
È di fondamentale importanza saper sfruttare gli strumenti a disposizione per migliorare le condizioni lavorative. Il rischio nel mondo del lavoro non è tanto la scomparsa della domanda di lavoro, quanto più la svalutazione delle competenze umane a fronte di competenze raggiungibili con l’IA. Come detto, questo può però contribuire a ridurre le disuguaglianze nelle professionalità e, di conseguenza, nei redditi. Riconosciuto il potenziale dell’IA, per David Autor dovremmo pertanto chiederci non più quali sono le conseguenze dell’IA, ma cosa vogliamo che essa faccia per noi.
Federica Chirico
ADAPT Junior Fellow