Dalla Dichiarazione di Pechino a oggi: il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità
Interventi ADAPT, Mercato del lavoro
| di Margherita Roiatti
Bollettino ADAPT 10 marzo 2025, n. 10
Quest’anno la Giornata Internazionale della Donna si celebra in un momento cruciale. Sono passati trent’anni dalla storica Dichiarazione di Pechino del 1995, che segnò un punto di svolta nel riconoscimento dei diritti delle donne e nel loro ruolo nell’economia globale. Tuttavia, nonostante i progressi, la strada verso l’uguaglianza è ancora lunga e irta di ostacoli. Oggi, nel mondo, il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,4%, mentre quello maschile è del 69,5%. In tre decenni, il divario di genere nell’occupazione si è ridotto di soli quattro punti percentuali e, al ritmo attuale, ci vorranno oltre 190 anni per raggiungere la parità.
Non si tratta solo di una questione di equità. Parlare di parità significa parlare di sviluppo economico, di benessere collettivo, di un’Italia più moderna e competitiva. La Corte dei Conti Europea, citando uno studio dell’ European Institute for Gender Equality (EIGE), stima che, colmando il divario di genere, il PIL, in determinati Stati membri tra cui l’Italia, potrebbe crescere fino al 12% entro il 2050. Un’opportunità enorme che, purtroppo, stiamo sprecando.
Ma dove siamo oggi? E soprattutto, cosa dobbiamo fare per cambiare questa situazione?
Per capire il punto di partenza, guardiamo ai numeri. L’EIGE, attraverso il Gender Equality Index, misura ogni anno la parità di genere nei paesi dell’Unione Europea. Nel 2024, l’Italia ha ottenuto un punteggio di 69,2 su 100, sotto la media europea di 71 punti. Nel dettaglio, dal 2021 il punteggio complessivo dell’Italia è aumentato di 1 punto. Nel breve termine, il principale fattore che ha determinato tale aumento è stato il miglioramento del “dominio del potere” (+ 3,8 punti). Tuttavia, a causa dei progressi più rapidi compiuti in altri Stati membri, dal 2021 l’Italia è scesa di una posizione nella classifica. Rispetto ai margini di miglioramento, le disuguaglianze di genere nel nostro Paese risultano particolarmente pronunciate nel dominio del lavoro, per il quale il punteggio si attesta a 65,5. In questo dominio dal 2010 l’Italia si colloca costantemente all’ultimo posto tra tutti gli Stati membri e dal 2021 il punteggio dell’Italia è aumentato di 0,5 punti. All’interno del dominio del lavoro, l’Italia si ritrova agli ultimi posti (27º) nel sottodominio della partecipazione, con un punteggio di 70,0 punti, in aumento di 1,1 punti rispetto al 2021. Tuttavia, il punteggio più basso (61,4 punti) l’Italia lo ha ottenuto nel sottodominio della segregazione e della qualità del lavoro, collocandola al 22º posto nell’UE per quanto riguarda questo sottodominio.
Il dato preoccupante è che, in termini generali, il principale freno alla parità in Italia è proprio il mondo del lavoro: le donne italiane lavorano meno, guadagnano meno e fanno più fatica a fare carriera rispetto agli uomini.
Secondo l’ultimo Rendiconto di Genere dell’INPS, nel 2023 solo il 52,5% delle donne italiane ha un’occupazione, contro il 70,4% degli uomini. Un dato già allarmante di per sé, ma ancora più grave se confrontato con il resto d’Europa: dalle rilevazioni CNEL-ISTAT e guardando ai dati più recenti emerge chiaramente che nel III trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media UE e il divario di genere nell’occupazione in Italia è quasi il doppio di quello europeo (17,4 p.p. contro 9,1 p.p.).
E non è solo una questione di quante donne lavorano, ma di come lavorano. Nel 2023 3.856.987 donne hanno lavorato part-time, mentre tra gli uomini il valore assoluto è di 2.133.640 nel 2023 (INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo) e, nello stesso anno, la percentuale di occupate che hanno svolto un lavoro a tempo parziale perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno sul totale degli occupati è del 15,6% a fronte del 5,1 della componente maschile. Sempre secondo il rapporto CNEL-ISTAT “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità“, se consideriamo la fascia di età 25-54 anni, la disparità è ancora più evidente: solo il 6,6% degli uomini lavora a tempo parziale, contro il 31,3% delle donne. La differenza si accentua in presenza di figli: tra gli uomini con figli il part-time scende ulteriormente al 4,6%, mentre tra le madri sale al 36,7%. Inoltre, avere figli in Italia sembra ridurre drasticamente la probabilità di lavorare: tra le madri tra i 25 e i 34 anni meno della metà delle madri risulta occupata, a fronte di oltre il 60% nella fascia tra i 35 e i 54 anni. Per leggere correttamente questo dato va ricordato che per la componente maschile senza figli tra i 35 e i 54 anni il tasso di occupazione è del 77,3%, oltre 8 punti percentuali in più rispetto alle donne, e questa differenza si porta a circa 30 punti percentuali quando i genitori hanno figli minori (rispettivamente 91,5 e 61,6%).
Ancora, il 12,3% delle donne tra i 15 e i 24 anni, è NEET, cioè non studia, non lavora e non è in formazione, un dato, purtroppo, ancora nettamente superiore rispetto alla media in Europa del 9.1 (dati Eurostat 2023).
Tra i grandi ostacoli che impediscono alle donne italiane di entrare e rimanere nel mercato del lavoro, nonostante alcuni miglioramenti, persiste la carenza di servizi per l’infanzia: secondo l’INPS attualmente l’offerta dei posti disponibili negli asili nido, con marcate differenze territoriali, soddisfa solo una parte limitata delle richieste. Ciò contribuisce ad acuire disparità significative di genere nella suddivisione dei compiti di cura e nell’accesso ai servizi per la prima infanzia. Un dato su tutti che conferma quanto appena descritto: sempre secondo l’INPS le donne nel 2023 hanno utilizzato14.441.895 giornate di congedo mentre gli uomini appena 2.166.761.
Inoltre, le dinamiche della segregazione lavorativa orizzontale permangono: la maggioranza delle donne occupate lavora nei servizi, mentre gli uomini dominano i settori industriali e tecnologici, che, generalmente, peraltro offrono salari più alti e più opportunità di crescita. Peraltro, come descritto nel Rendiconto di Genere 2024 “le lavoratrici domestiche, sia italiane sia straniere, hanno numeri molto più alti dei colleghi uomini, ad evidenziare ancora una volta come il lavoro di cura venga inteso come prettamente femminile”.
E, anche quando le donne lavorano, guadagnano meno degli uomini. Secondo l’Eurostat, il cosiddetto gender pay gap (divario retributivo di genere) nel 2023 in Italia era ufficialmente del 4,2%, un dato apparentemente basso rispetto alla media UE del 12,7%. Tuttavia, questo dato considera solo la differenza salariale oraria media e non tiene conto del numero di ore lavorate, del tipo di impiego e della progressione di carriera. Se, invece analizziamo il reddito mensile e annuo totale, il divario è molto più ampio, tanto che sempre secondo l’Eurostat le donne di 16 anni e più a rischio di povertà sono state il 21% nel 2024: una percentuale più alta sia della media maschile (18%), sia della media femminile europea (17%). Differenze certamente riconducibili al part-time involontario, alla minore rappresentanza nei ruoli apicali e alla concentrazione femminile nei settori a bassa retribuzione.
Il cosiddetto “soffitto di cristallo” non è solo un’espressione simbolica. È un dato di fatto: le donne continuano ad essere ampiamente sottorappresentate nelle posizioni di apicali e di leadership aziendale. Ad esempio, considerando le grandi società quotate in Borsa, secondo il CNEL e l’ISTAT nel 2024 in Italia solo il 2,9% degli amministratori delegati è donna a fronte di una media europea del 7,8%. Il divario è molto significativo anche se si guarda ai direttori d’azienda: l’Italia si colloca nelle posizioni di coda della graduatoria dei Paesi europei con il 15,6% delle dirigenti donna, una performance molto inferiore alla media UE27 del 22,7%. E questo non accade solo nei vertici aziendali. Anche in politica, nelle istituzioni, nelle università, le donne faticano a raggiungere posizioni di leadership (per una disamina puntuale dei vari indicatori relativi al glass ceiling si rimanda al Rapporto CNEL-ISTAT già menzionato).
Come già anticipato, oltre alle disuguaglianze nel mercato del lavoro, uno dei principali ostacoli alla piena partecipazione economica delle donne è la disparità nella distribuzione del lavoro di cura non retribuito. A livello globale, secondo l’OIL le donne dedicano in media 3,2 volte più tempo degli uomini al lavoro domestico non retribuito (il riferimento è ad esempio alla cura di figli, anziani e persone con disabilità). In Europa, la situazione è simile: quasi una donna su tre che si trovava al di fuori della forza lavoro ma che desiderava lavorare nel 2023, rispetto a un uomo su dieci, ha dichiarato che ciò era dovuto alle responsabilità di assistenza (Eurostat, Inactive population not seeking employment by sex, age and main reason). In Italia, sempre secondo l’OIL le donne dedicano in media 305 minuti al giorno a attività riconducibili al lavoro di cura non retribuito quali lavoro domestico (servizi domestici per uso finale all’interno della famiglia, assistenza indiretta), servizi di assistenza ai membri della famiglia (assistenza diretta) e lavoro volontario (servizi di assistenza alla comunità e aiuto ad altre famiglie, sia assistenza diretta che indiretta), contro i 108 minuti degli uomini. Va ricordato che le responsabilità di cura non retribuite spesso comportano interruzioni delle traiettorie lavorative dei caregiver e spiegano in larga misura non solo il divario salariale ma anche il divario pensionistico di genere.
A tutto questo si aggiunge un altro aspetto spesso trascurato: la sicurezza sul lavoro. Per l’OIL le donne sarebbero 1,6 volte più a rischio di violenze e molestie rispetto agli uomini (8,2% delle donne rispetto al 5,0% degli uomini). In Italia, le lavoratrici vittime di aggressioni o violenze rappresentano nel 2023 il 5,3% di tutti gli infortuni femminili avvenuti in occasione di lavoro, riconosciuti dall’INAIL. Tra queste, “oltre il 44% svolge professioni sanitarie e assistenziali. Seguono specialiste dell’educazione e della formazione (6,1%), insegnanti di scuola primaria (5,1%) e impiegate postali (4,7%). A livello territoriale, nel periodo 2019-2023, circa sei casi di violenza a donne su dieci sono stati denunciati al Nord. Seguono Centro e Mezzogiorno con circa un quinto dei casi per entrambe le ripartizioni geografiche” (per un approfondimento si veda INAIL, Dossier Donne 2025).
In conclusione, la Dichiarazione di Pechino rimane oggi un faro nel percorso verso la piena uguaglianza di genere. Se c’è una lezione che possiamo trarre, è che il cambiamento è possibile, ma richiede azioni concrete. Investire nella parità di genere non è solo una scelta di giustizia, ma anche di progresso. Garantire maggiore accesso ai servizi per la famiglia, ridurre il divario salariale, promuovere trasparenza e meritocrazia, valorizzare il lavoro di cura sono tutti passi essenziali per costruire un Paese più giusto e più competitivo. Guardando avanti, sappiamo che non possiamo permetterci di aspettare altri 190 anni per colmare il divario di genere nel lavoro.
ADAPT Research Fellow
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