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Bollettino ADAPT 16 settembre 2019, n. 32
Buggerru è un piccolo paese della costa sud occidentale della Sardegna con 1066 abitanti, nella regione del Sulcis-Iglesiente. Agli inizi del 1900 la popolazione era cinque volte superiore a quella attuale e venivano censiti 5.749 abitanti; il motivo era dovuto all’intensa attività mineraria, che in quegli anni raggiunse i picchi di maggior produzione. Proprio alle vicende minerarie è dovuta la nascita del borgo di Buggerru nel 1864, sullo sbocco a mare di una impervia valle, il Canale Malfidano, dal quale deriverà il nome della più importante miniera della zona, la Miniera Malfidano[1].
Il 30 giugno del 1840 venne promulgato il Regio Editto che riformò la legge sulle miniere e prevedeva la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo, dando a chiunque la possibilità di richiedere l’autorizzazione ad effettuare ricerche minerarie. La legge, che diede inizio al cosiddetto sistema industriale capitalistico[2] e che segna l’inizio della storia della moderna industria estrattiva[3], entrò in vigore in Sardegna solo nel 1848 con il R.D. del 6 settembre, dopo che Carlo Alberto di Savoia proclamò la c.d. Fusione Perfetta tra la Sardegna e gli stati di terraferma appartenenti ai Savoia. La legge, facilitando l’ottenimento di concessioni minerarie (tra l’altro perpetue), richiamò nell’isola numerosi imprenditori stranieri, liguri e piemontesi in primis e così nacquero le prime Società minerarie.
Nel 1864 nel territorio di Buggerru l’ingegnere belga Jean Eyquem scoprì il più grosso giacimento di calamina (silicati e carbonati di zinco) dello Stato e forse d’Europa[4]; una scoperta importante perché in Sardegna non esistevano ancora miniere di zinco. Eyquem fondò con capitali francesi la Società Anonima delle Miniere di Malfidano “avente sede a Parigi, con un capitale di 12,500,000 lire, diviso in 25,000 azioni di lire 500“[5]. La scoperta diede un forte impulso alla produzione, il minerale era abbondante ed estraibile facilmente, gli imprenditori fecero enormi profitti e un numero sempre più grande di minatori raggiungeva Buggerru: nel 1868 la Miniera Malfidano era già la più produttiva di tutta la Sardegna con 18.436 tonnellate[6]. In Sardegna dai 3.000 minatori nel 1859 si passò a 9.171 nel 1869.
Iniziarono ad arrivare tecnici da vari paesi europei e impiegati amministrativi e operai specializzati da altre regioni del Regno. Gli operai sardi erano subalterni all’interno della classe operaia stessa e ricevevano salari inferiori rispetto agli operai italiani; secondo gli ingegneri ciò era dovuto alle ridotte capacità fisiche e ai limiti culturali derivanti dalla loro estrazione contadina[7] e al fatto che fossero meno abili[8]. In ogni caso ai sardi erano riservati i lavori più duri infatti “quasi la metà dei manovali per l’estrazione e la prima pulitura dei minerali, e la totalità del personale addetto allo spezzamento, alla cernita e lavatura loro, sono forniti dai villaggi più prossimi alle varie coltivazioni”[9] e rappresentavano un ottimo esercito di riserva per l’estate in quanto “più resistenti agli insulti della malaria”[10]. Tutto ciò rispondeva da una parte alla spietata logica del profitto che guida gli industriali e dall’altra mostrava la mentalità del colonialista che caratterizzava i capitali italiani ed europei in Sardegna.
Al principio del XX secolo la situazione per i 3.431 minatori di Buggerru non era molto migliore.
Le miniere si strutturavano in maniera più complessa, le Società cambiavano dirigenti e Buggerru era ormai diventata nota come petite Paris. Infatti i dirigenti vi si erano trasferiti con le loro famiglie e avevano ricreato un ambiente culturale parigino, con il cinema, il teatro, la scuola, negozi e circoli elitari. Ma era la loro città, una città parallela, perché quella dei minatori era ben diversa.
I minatori vivevano in case messe a disposizione dalla Società Mineraia che, come in tutto il mondo, avevano lo scopo di tenere gli operai sempre disponibili; la Commissione d’Inchiesta sulle condizioni dei minatori sardi iniziata nel 1907 dirà che i minatori vivevano “in cameroni luridi, senza aria e senza luce, contro ogni principio di igiene e di umanità” e che “si difetta di acqua potabile e non è strettamente osservata l’applicazione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli e quella degli infortuni“; i minatori svolgevano turni massacranti, stavano anche 8 ore ininterrotte sotto terra, senza giorno di riposo, per paghe bassissime. I salari nelle miniere sarde erano tra i più bassi del mondo; se nel 1893-1894 variavano da una media di 2,81 lire per un minatore a 1,64 per un manovale, nel 1903-1904 per le stesse figure professionali si arrivava a 2,43 lire e 1,95 lire[11]. Per le donne cernitrici e i ragazzi la paga oscillava da 0,60 a 1,20 lire[12]. “Le donne erano addette alla cernita ed alla Laveria dei minerali, ai crivelli ed alla vuotatura delle casse di minerale”[13], avevano una età compresa tra i 12 e i 60 anni e lavoravano in posizione quasi immobile, eretta e generalmente a piedi nudi; a Buggerru in particolare “erano quasi tutte anemiche, clorotiche e amenorroiche“[14].
Gli strumenti di lavoro erano a carico dei lavoratori, anche l’olio delle lampade; il peso degli arnesi di lavoro poteva variare dai 20 ai 30 chilogrammi[15]. Inoltre vigeva il sistema del truck system, cioè l’obbligo di acquistare i beni di prima necessità negli spacci aziendali della Malfidano, infatti “a Buggerru quasi tutto apparteneva alla miniera, doveva essere acquistato dalla miniera, ai prezzi della miniera. E quando lo stipendio era pagato in ritardo, fatto molto frequente, il minatore era costretto a contrarre debiti o a richiedere dei buoni spendibili nei magazzini della società”[16].
Spesso si verificavano incidenti mortali sul lavoro.
Era l’inizio del 900, in tutto il mondo i lavoratori si organizzavano e rivendicavano diritti e dignità, e i minatori sardi non erano da meno.
A Buggerru i minatori si organizzarono nella “Lega di Resistenza di Buggerru”, affiliata alla Federazione dei Minatori e guidata da due militanti socialisti, Giuseppe Cavallera e Alcibiade Battelli. Fu proprio Giuseppe Cavallera a proporre, durante il secondo congresso nazionale della Federazione che si svolse a Massa Marittima nell’agosto del 1903, la costituzione in Sardegna di un “Comitato Regionale della Federazione dei minatori Sardi” con il compito di coordinare e disciplinare l’organizzazione e gli scioperi spontanei che erano sempre più frequenti.
In Sardegna gli scioperi complessivi tra il 1879 e il 1903 sono stati 26 e più della metà tra il 1900 e il 1903[17], segno di un conflitto sempre più intenso. Lo sciopero più imponente, e che rappresentò il primo sciopero moderno e di massa organizzato in Sardegna[18], avvenne nella miniera di Montevecchio a Guspini (vicino Buggerru) e durò dal 8 Agosto al 17 Agosto del 1903; lo sciopero, nato spontaneo, venne poi guidato dal Partito Socialista. Le prime rivendicazioni dei minatori erano l’abolizione del cottimo, la determinazione della paga su base giornaliera e la durata massima della giornata di lavoro a 8 ore per i lavori interni[19]. Nei tredici giorni di sciopero furono arrestati 18 operai. Il 7 maggio 1904 a Buggerru ci fu l’ennesimo incidente sul lavoro e 4 minatori morirono, riaccendendo la rabbia operaia.
Il 2 settembre l’ingegner greco Achille Georgiades, direttore della miniera Malfidano, diramò una circolare con la quale stabiliva il ritorno all’orario invernale con un mese di anticipo e la riduzione di un’ora della pausa tra il turno del mattino e quello del pomeriggio. Chi non rispettava l’ordine veniva licenziato. I minatori insorsero e cominciarono subito uno sciopero spontaneo. Il 4 settembre il leader socialista Cavallera e altri dirigenti sindacali incontrarono Georgiades nella sede della dirigenza per trattare e trovare una soluzione. I duemila scioperanti si radunarono davanti alla palazzina in sostegno alla delegazione. Georgiades temporeggiava: si scoprì poi che alle 6 del mattino aveva richiesto l’intervento dei militari; secondo Alcibiade Battelli della Lega dei Minatori il direttore “voleva guadagnare tempo, perché attendeva l’arrivo delle truppe per poter respingere tutte le domande dei minatori“[20]. Alle 16 arrivarono i soldati del Regio Esercito. Gli animi dei minatori si infiammarono; dopo qualche spinta e qualche sasso l’esercitò aprì il fuoco e sparò ad altezza d’uomo. I minatori Felice Littera e Salvatore Montixi morirono all’istante, Giustino Pittau morì dopo quindici giorni in ospedale, Giovanni Pilloni morirà venti giorni dopo e tantissimi furono i feriti. Ancora una volta l’esercito uccise proletari per difendere l’ordine pubblico e i padroni.
Quell’eccidio fu uno spartiacque nella storia del movimento operaio italiano[21].
Il 9 settembre la Camera del Lavoro di Monza voterà un ordine del giorno secondo cui a una nuova strage si sarebbe risposto con lo sciopero generale; l’11 settembre la Camera del Lavoro di Milano lancerà un appello a tutti i lavoratori per uno sciopero da svolgersi nei successivi otto giorni con la richiesta di una legge sul disarmo delle forze dell’ordine in occasione di conflitti del lavoro. Sorsero contrasti tra il sindacato e il Partito Socialista circa l’opportunità e gli obbiettivi dello sciopero e si susseguirono diverse riunioni. Ma il 14 settembre arrivò notizia dell’ennesimo eccidio: a Castelluzzo in provincia di Trapani i carabinieri spararono sui contadini e ci furono due morti e dieci feriti.
Non c’era più tempo per le riunioni. La Camera del Lavoro proclamò lo Sciopero Generale dal 16 settembre al 20 Settembre.
Fu il primo sciopero generale di tutti i lavoratori della storia d’Italia e d’Europa.
Marco Contu
Studente del corso di laurea magistrale in Relazioni di lavoro
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
[1]Cfr. parcodessi.it.
[2]Cfr. Salvatorico Serra, Un’antica civilità del futuro, Profilo storico del settore minerario sardo nella storia della Sardegna dalle origini ai giorni nostri, pag.68. Consultabile integralmente qui.
[3]Cfr. Francesco Manconi, Prefazione in Quintino Sella, Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, Nuoro, 1999, p.7. Consultabile integralmente qui.
[4]Cfr. Salvatorico Serra, op.cit. p.69, “La scoperta avvenne in modo del tutto occasionale e fortunosa. L’Eyquem, che aveva lavorato a lungo in Sardegna, notò su una partita di Galena contenuta nelle stive di una nave nel porto di Anversa un minerale: la Calamina (Silicato di Zinco)“.
[5]Cfr. Quintino Sella, Relazione alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle Condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, Firenze, 1871, p.68. Consultabile integralmente qui.
[6]Cfr. Francesco Manconi, op.cit., p.10.
[7]Ivi. p.11.
[8]Ivi. p.12.
[9]Ivi. p.12.
[10]Ivi. p.12.
[11]Cfr. Salvatorico Serra, Conflitti sociali e ambiente di vita e di lavoro nelle miniere sarde, p.79, anche per una comparazione del salario con altre realtà minerarie.
[12]Cfr. Valentina Orgiu, Bugerru: per non dimenticare la storia della lotta operaia, in «La donna sarda», 11 settembre 2014.
[13]Cfr. Salvatorico Serra, op.cit., p.81.
[14]Ivi.
[15]Cfr. Sandro Ruju, I mondi minerari in Sardegna e il caso dell’Argentiera, 1860-1960, p.327, in Stefano Musso, Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento, 1999.
[16]Cfr. Walter Falgio, in Domenica 4 settembre 1904, sangue operaio su Buggerru, in L’Unione Sarda, 4.09.2014.
[17]Cfr. Girolamo Sotgiu, Lotte sociali e politiche nella Sardegna contemporanea (1848-1922), Cagliari, 1974, pp. 223-224.
[18]Cfr. Luciano Marrocu, I minatori sardi in lotta. Il primo sciopero a Guspini in La Nuova Sardegna, 11.7.2016.
[19]Cfr. sardegnaminiere.it per vedere le altre rivendicazioni.
[20]Cfr. Walter Falgio, op.cit.
[21]Cfr. Carlo Ghezzi, Lo spartiacque, in Rassegna Sindacale n. 42/2004.